Le Cenerentole della Musica

di Enrico Pagnin

Tante volte nelle rassegne ci siamo esibiti assieme a cori polifonici. Una parte di noi del Marmolada canta, o ha cantato nel passato, anche in queste formazioni. Per cui, pur non ritenendomi un appassionato e tanto meno un esperto di tale tipo di musica, penso di possedere una certa capacità di riconoscere il disegno melodico svolto da ognuna delle voci, di cogliere la complessità della concatenazione di accordi e dei cambi di tonalità, di individuare elementi espressivi del fraseggio.

Qui a Venezia, poi, la possibilità di ascoltare canto polifonico di alto livello si offre spesso. Talvolta gratuitamente.

Assistendo a concerti di questo genere musicale, dopo un primo periodo di "assestamento" in cui devo trovare la concentrazione, vincere il fastidio che mi provocano le voci femminili, spesso stridule negli acuti e liberarmi dai miei schemi interpretativi (perché milito da decenni in un coro maschile che canta un altro genere), il piacere dell’ascolto piano piano invade la mente, che si abbandona alle sensazioni.

Di solito, dopo un po’ di tempo, un pensiero si affaccia timidamente alla coscienza. Ne intuisco il contenuto e lo ricaccio indietro, sommergendolo di argomentazioni di ogni tipo, da quelle a carattere cultural-sociologico (la Scuola che non dà una formazione musicale, la società dell’"usa e getta" che tutto consuma e dimentica, l’incessante martellamento della pubblicità che impone i gusti anche in campo musicale….), a quelle filosofico-antropologiche (siamo diventati incapaci di fare il silenzio attorno a sé e il vuoto dentro di sé , per riconoscere il Bello, il Buono, il Giusto), a quelle frutto di un’incursione nel campo psicologico-analitico ( vai a vedere che quei coristi in smoking e abito lungo, così sicuri e così preparati, fanno riemergere dal mio subconscio una qualche frustrazione dell’infanzia o della giovinezza ) , e così via…

Ma il pensiero prende forza. Il trascorrere dei minuti lo rende più incalzante. Alla fine irrompe nella mente che ormai sta per capitolare. Pensiero, per qualsiasi cultore della Musica (con la "m" maiuscola) blasfemo, brutale nella sua essenzialità di due sole parole e un punto esclamativo: che palle!

Ebbene, sì. Il canto polifonico (ma anche altri generi come il iazz, la musica rinascimentale, il blues ed il gospel, il canto gregoriano e la musica etnica di popoli lontani ecc) trova senza dubbio molti appassionati che, nel tempo, aumentano la propria sensibilità e competenza e lo apprezzano sempre di più. Ma il grosso del pubblico, no. La maggior parte della gente inizia l’ascolto con molto interesse, ma dopo un po’ di tempo si stanca.

Credo che ciò dipenda dal fatto che il popolo degli "ascoltatori comuni" non riesce a cogliere "l’anima" nei generi musicali sopra citati. Vale a dire che quei tipi di espressione musicale non fanno parte del vissuto comune, non rimandano ad esperienze e ricordi collettivi. Non si esprimono con linee melodiche e armonie semplici e sentite da tutti come naturali.

La musica leggera, prima con la radio, poi nel tempo con strumenti sempre più sofisticati, ha presentato all’ascolto migliaia di brani. Però soltanto un numero limitato è entrato a far parte del sentire comune, canzoni o anche motivi orchestrali che tutti riconoscono a distanza di anni e talvolta provano ad intonare.

La musica operistica, che raccoglie un grande numero di appassionati cultori, ha ottenuto assai di meno: si contano con una mano le arie celebri entrate nel bagaglio musicale collettivo.

Il canto di ispirazione popolare, intendendo con questa espressione sia ciò che è stato tramandato dalla tradizione, sia il brano d’autore che in qualche modo vi si innesta, si pone in uno stato di continuità con la tradizione, assumendone lo stile e le finalità (presentare situazioni di vita), ancor più della musica leggera è presente nell’anima di un popolo, perché già oggetto di trasmissione orale tra generazioni e tra gruppi sociali. Naturalmente è molto più legato ad un territorio e alla sua gente, anche se alcune canzoni hanno oltrepassato i confini regionali e anche nazionali. (Riesce difficile immaginare un italiano del sud che non abbia mai sentito "La montanara", o uno del nord che non abbia mai sentito "Vitti ‘na croza").

Per questo sono convinto che cori come il mio, di ispirazione popolare, siano favoriti quando si presentano nelle chiese o nei teatri, in città o in provincia, ma sempre ad un pubblico eterogeneo, fatto soprattutto di gente comune. Perché presentano qualcosa di familiare, anche se si tratta di un brano d’autore, che rimanda a ricordi d’infanzia e giovinezza, a momenti di svago e convivialità, a persone e ambienti scomparsi ancora vivi nella memoria.

Raccogliamo poi il frutto di tanti musicisti che hanno armonizzato semplici pezzi della tradizione popolare, rendendoli più ricchi e raffinati, oppure ne hanno composto di nuovi, mantenendone l’anima popolare. Molti autori inoltre, sempre seguendo questa impostazione di rivolgersi ad un pubblico non specialista, sono andati ad attingere presso altre culture e altri generi. Addirittura sconfinando nella musica "dotta". E questo rappresenta senz’altro un grande fattore di crescita culturale per noi coristi , ma anche per gli ascoltatori che ci seguono.

Dicevo prima che il nostro genere di canto parte favorito rispetto ad altri, eppure, paradossalmente, è successo che in questi ultimi decenni siamo diventati le Cenerentole delle manifestazioni musicali. Il grosso del pubblico non ci segue più. I giovani ci ignorano. Certo i "mostri sacri" come la SAT riempiono i teatri, ma in percentuale, quanta gente della popolazione italiana apprezza e conosce il canto di ispirazione popolare?

Sarebbe interessante analizzare le cause di questo declino, ma probabilmente possono essere ricondotte ad un un’unica causa: la lenta ma inesorabile scomparsa di "mondi" come quello montanaro, contadino, operaio, urbano con le loro "culture" in cui il canto svolgeva un ruolo importante (basti pensare al canto in osteria, o quello delle gite, il canto sui luoghi di lavoro, il canto nelle processioni religiose).

Curiosamente poi, non pochi maestri hanno creduto di liberarsi dal "retaggio popolare" proponendo armonizzazioni così complesse , da divenire astruse. Una tortura per l’ascoltatore e un crudele banco di prova per gli esecutori, che spesso vedono messi spietatamente in luce i propri limiti. Questo fatto non favorisce certo l’approccio di nuovi appassionati.

Credo sia necessario, per recuperare pubblico, in particolare giovane, prima di tutto un’opera di decondizionamento, una presa di coscienza della povertà e banalità di tanta musica che ci viene incessantemente propinata dai media.

Contemporaneamente, avanzare delle serie proposte per far incontrare i giovani e anche i giovanissimi col nostro tipo di canto, conducendoli a percepirne la bellezza musicale e poetica, ma anche l’anima, cioè il legame con la nostra identità. E dal semplice ascolto passare a riflettere sulla peculiare sensibilità del nostro e di altri popoli, nell’affrontare i grandi temi dell’amore, la guerra, il lavoro, la sofferenza, la fede, il rapporto tra le generazioni……

E infine un’ultima cosa: sono convinto che permane un diffuso stereotipo che fa associare i cori di ispirazione popolare di sole voci maschili ad allegre compagnie di beoni. Se si riesce a farsi ascoltare anche una sola volta, molta gente scoprirebbe la differenza tra il cantare spontaneamente e occasionalmente in compagnia e l’eseguire un brano all’interno di un coro. E ne rimarrebbe piacevolmente sorpresa.

Per noi coristi , cantare e far apprezzare questo tipo di musica diventa dunque un impegno e anche una sfida.

home