LA PAROLA AI PROTAGONISTI ( 6 )

Intervista a Marinella Smiderle, Direttrice del Coro Note del fiume di Taglio di Po (RO).

A cura di Paolo Pietrobon

Si estende su Marmoléda la riflessione sul canto di ispirazione popolare, e con accenti via via più netti ed incisivi, anche sul versante delle proposte. In questo numero presentiamo gli interventi di Enrico Pagnin e Renato Vezzi (seconda parte), e precedentemente, pur senza iscrizione formale alla rubrica, è continuato tra noi e con altri lo scambio di opinioni, è continuata una ricerca: basti pensare alle analisi storiche di Sergio Piovesan sui testi di tante "cante", o all’intervento di Toni Dittura ("non basta un passato glorioso…a meno che esso non sia la spinta per una proiezione nel futuro…"); o di Lorenzo Bettiolo, sull’impegno che spetta ai cori per la non cancellazione storica "di testi e musiche dei canti popolari"; o di Enrico Pagnin il quale, riprendendo una fortunata battuta di Francesco Cavasin sul tema dell’interpretazione ("dobbiamo indossare il saio per rendere il senso -esemplificando- del pregare monacale…"), insisteva sull’apporto dato da una corretta sensibilità interpretativa al successo del Marmolada stesso; o infine degli amici del Monte Cauriol, e con quale spirito!, sulla necessità di arrivare al cuore di chi ci viene ad ascoltare.

Ma non solo: a suo tempo (Dicembre 2003) il nostro giornale ospitò una riflessione sul canto corale di ispirazione popolare svolta dalle "donne del Marmolada", persone che preziosamente sostengono l’attività del Coro, e che a loro volta amano, senza pretendere particolari protagonismi, l’esperienza e l’emozione della coralità. Da quella riflessione era pure emersa, tra le battute e le cose dette a mezza voce, il desiderio e l’intenzione di alcune fra loro di praticare, appena le circostanze l’avessero permesso, un’attività corale da protagoniste, di cantare finalmente, e di scegliere cosa cantare.

Non c’è dubbio che dietro a tutto ciò esiste e si muove una problematica assai complicata, quella dei rapporti tra l’essere donna e le mille implicazioni di una prospettiva di "piena cittadinanza effettiva" di tutti e di tutte nell’attuale condizione di vita e di lavoro.

Così, se tale complessità va oltre le finalità e la "capienza" di Marmoléda, la presente rubrica può però validamente contenere un’intervista ad un Coro di donne, e alla loro Direttrice, protagoniste vere di quanto sopra ventilato sia come donne, sia come componenti di un complesso corale, non solo a mio parere attualmente tra i più interessanti e determinati. Ho chiesto allora a Marinella Smiderle, Direttrice delle "Note del fiume", attive in Taglio di Po (RO), di rispondere per noi ad alcune domande.

 

Quando e come prende forma il Coro "Note del fiume"?

Nel 1988 dirigevo da circa tre anni un coro di voci bianche" I gabbiani del Po". Poiché diverse ragazzine terminavano la scuola media e volevano continuare a cantare in coro, ho parlato con alcune amiche e studentesse di liceo, invitandole ad unirsi a loro per formare un coro femminile, che potesse essere il naturale proseguimento della realtà corale già esistente. Così sono nate le Note del Fiume che inizialmente contavano 14 elementi, ma nel giro di un anno raggiunsero le 26 unità.

Inizialmente eseguivamo il repertorio tipico dei cori popolari maschili ( a Taglio di Po avevamo come esempio il coro "Voci del Delta"), ci piacevano soprattutto i canti di montagna e di Bepi De Marzi, ma già allora avevamo in repertorio qualche canto inconsueto per il periodo, come "We are the world" e la scelta, ricordo, fu motivata soprattutto dalla giovinezza e dalla vivacità delle coriste che, pur non disdegnando ancora il repertorio popolare tradizionale, preferivano la musica leggera.

Il maestro De Marzi che ci sentì agli esordi in un concerto a Rovigo ci disse: Venite dal Delta e cantate We are the world?-

Allora non colsi o forse non capii la velata provocazione: mi interessava solo cantare e l’entusiasmo che le ragazze ci mettevano nell’affrontare certi brani, piuttosto che altri, mi spinse ad armonizzare canti di autori decisamente insoliti per il mondo corale, come Baglioni, Zucchero e i Beatles.

Quale e destinato a quale pubblico è oggi il suo repertorio?

Oggi il repertorio del coro è molto vario: di popolare nel senso classico del termine credo sia rimasto solo un brano, che parla del Po e della nostra terra. Per noi "popolare" è la musica latino-americana e quella afro- cubana; molte sono le canzoni di musica leggera, da Modugno ai Tokens, ai Beatles, alla musica anni 50 d’oltre oceano; non mancano tuttavia brani sacri, nati da armonizzazioni personali di semplici canti gregoriani mariani e … un po’ di gospel.

Qualcuno potrebbe giustamente obiettare come sia possibile eseguire bene e soprattutto saper interpretare correttamente brani tanto diversi tra loro per provenienza, stile, sensibilità musicale, tradizioni…Certo non ho la presunzione di dire che il mio coro sappia eseguire magistralmente ogni cosa, tuttavia ho potuto notare che privilegiando la varietà, anche la qualità ne ha tratto vantaggio, perché in ogni genere musicale il coro ha sperimentato tecniche vocali particolari e utili per la crescita del complesso, senza contare che in questo modo ci siamo potute avvicinare a un pubblico assai variegato, dai giovanissimi fino alle persone anziane, che non disdegnano neppure i brani con percussioni che proponiamo.

Visti gli accenni al "protagonismo femminile" della premessa, puoi rappresentare brevemente le difficoltà (se vi sono state) e comunque i problemi da voi incontrati in merito a fatti come l’organizzazione, la disponibilità di tempo, la risposta di appassionati ed osservatori del "canto corale"?

Gestire un coro femminile non è facile: molti problemi "domestici" incombono, se l’età delle coriste supera i 30- 35 anni; se più giovani, sono lo studio, l’università e i fidanzati a scontrarsi con la realtà corale(anche se devo dire che questi ultimi, nel mio coro, sono tolleranti e pazienti), senza contare che le donne di oggi hanno molteplici cose di cui occuparsi e che il coro viene vissuto come uno spazio privato e personale da concedersi dopo i figli, la famiglia, la casa, il lavoro…la palestra! Nonostante tutto, però, la passione della "donna-corista" ha il sopravvento e così, stressata, stanca, a volte lunatica, a volte serena, arriva in sala prove e mi dice che vuole divertirsi: posso proporle qualche canto triste o melenso, che parli di donne abbandonate, di destini segnati o di amori svaniti?

E’ esperienza comune di chi incontra le comunità di origine italiana in giro per il mondo scoprire che è stata sostanzialmente la donna, le nonne in particolare, strumento, determinata difesa e tradizione delle memorie e della cultura dei progenitori, quasi sempre tradizione di fonte orale, spessissimo affidata al canto, e che intorno a quelle donne si teneva in piedi, nonostante sacrifici e privazioni, lo stesso nucleo familiare e comunitario. Allora perché sono relativamente poco numerosi i cori femminili? Può essere collegata anche a questo fatto la situazione di difficoltà innegabile oggi incontrata dal canto corale in genere, di quello di ispirazione popolare in particolare?

Siete brave, ma siete poche!- quante volte mi sono sentita dire questa frase dai colleghi uomini che cantano in grossi complessi maschili.

Poi, guardandomi intorno mi consolo, perché solitamente i cori femminili sono spesso inferiori alle 18 – 20 unità. Sinceramente non so spiegare questo dato di fatto, non credo possa dipendere da stati di crisi o di difficoltà, quanto piuttosto dalla condizione di essere donna e di avere meno tempo e disponibilità degli uomini da dedicare al canto. Nella mia provincia, comunque, i cori femminili sono abbastanza numerosi, quindi la bandiera delle "voci rosa" ha ben motivo di sventolare.

Anno 1987. Nella prefazione a Voci di cristallo, testamento artistico di Giancarlo Bregani, Dino Bridda pone il problema della qualità del nostro cantare in questi termini: "l’ansia del cantare, espressione malatestiana, è innanzitutto scrupolo dell’artista ... siamo in parte responsabili di certi scadimenti in una generica amatorialità, nel pressappochismo strapaesano … (e dell’allontanamento) di quel pubblico che sempre meno si accontenta dei suoni onomatopeici di Me compare Giacométo". D’altra parte, Bepi De Marzi, nel suo modo, scrive "I cori maschili cantano ancora "Ta-Pum", ma hanno inserito nei repertori qualche canto dei Beatles e "Guantanamera" e… "Il tango della gelosia". Perché, santo Dio, "Guantanamera"? Perché il tango?….Il nervosismo e la divisione che stanno distruggendo il nostro Veneto, ma anche la nostra nazione, fermentano anche nei complessi corali che, si dice, anzi, si diceva, cantano soprattutto per amicizia…..Sono andato, giusto un anno fa, a Trento per i 75 anni del Coro della SAT….atmosfera un poco dimessa, pubblico dalla mezza età in su, presentazione altrettanto dimessa…ma esecuzioni perfette, con voci precise e sempre con quella tenuta tra il falsetto e il timbro pieno che ha caratterizzato tutta la storia dei nostri cori maschili ispirati dal complesso trentino. Ho avuto però la sensazione di essere al capezzale della nostra felicità….".

E proprio Marinella Smiderle replica al grande Bepi -mi pare di ricordare con affettuosa ironia- rivendicando la possibilità di cantare senza troppe complicazioni teoriche o rigide filologie di repertorio e linguaggio. Allora, Marinella, si può cantare di tutto? C’è o non c’è l’esigenza di caratterizzare ciò che chiamiamo " canto corale di ispirazione popolare"? E quale estensione dai tu a tale definizione?

Dal momento che la voce è l’unico strumento a poter offrire illimitate possibilità di espressione e produzione del suono, sì, penso che teoricamente si possa cantare di tutto, è pur vero però che la molteplicità di questo " tutto" deve essere arginata da criteri qualitativi, interpretativi, estetici e soprattutto pratici, poiché l’atto del cantare fine a se stesso non ha alcun senso, ma è sul piano emozionale che la musica prende forma e vita.

La vera questione non sta in "cosa si canta" ma in che "cosa si vuol cantare" e qui aprirei una parentesi per direche, probabilmente, molte delle disquizioni teoriche che nascono oggi attorno al mondo della coralità popolare e del suo precario stato di salute, non avrebbero ragion d’essere se si guardasse con occhi diversi il termine "canto popolare".

La tradizione ci insegna che il genere popolare abbraccia tutte quelle forme di musica che rimandano alle tradizioni di un popolo, dalle memorie del passato alla cultura dei suoi progenitori, e così, nella mente di tutti, si associa inevitabilmente ai canti di montagna, o di lavoro, o d’amore d’altri tempi, con storie che ormai ci sembrano lontane e poco stimolanti. Eppure basterebbe prendere un comune dizionario per leggere: POPOLARE= musica conforme ai gusti del popolo, e ancora, ciò che è noto e diffuso tra il popolo; che gode la simpatia del popolo.

A mio avviso basterebbe riflettere su queste definizioni e chiederci: ciò che cantiamo piace al "popolo"? Rispecchia i gusti del nostro tempo? Cosa vorrebbe ascoltare da un coro lo spettatore di oggi?

Nella mia esperienza di esecutore, ma anche di spettatore, ho notato che, per i non addetti ai lavori, è abbastanza difficile essere coinvolti dalla musica colta o dal mondo corale.

Spesso sono pregiudizi del tipo " sempre le solite cose" a bloccare il pubblico che teme di annoiarsi. E’ vero comunque che qualche genere musicale come la lirica( che ha sempre avuto la sua cerchia di appassionati) e ultimamente il gospel (forse perché più coinvolgente e pubblicizzato) cattura spettatori, insieme a tutti quegli spettacoli (musicals o recitals) che sembrano dare maggiori garanzie di divertimento e di qualità.

La gente di oggi, soprattutto i giovani, vuol dinamismo, partecipazione, colpi di scena, in una parola cerca la novità. E la novità certamente è difficile trovarla nel passato.

Allora non ha più senso coltivare le tradizioni? Certo che no, ma sarebbe interessante allargare gli orizzonti del canto popolare oltre le sue origini e la memoria storica, per calarlo nella realtà di oggi. Non siamo di fronte ad un genere musicale statico, unicamente ancorato al passato, ma in continua evoluzione, anche se non è facile riconoscerne i parametri nella quotidianità.

Un tempo i canti si tramandavano, si cantavano nei luoghi di lavoro, alle feste popolari, e oggi?

Oggi dobbiamo fare i conti con i mass-media. La colonna sonora di un film, una canzone di musica leggera trasmessa alla radio, la musica da ballo: questa è la nostra musica popolare; la nostra memoria corre piacevolmente agli anni 80, 70, 60 che possono offrire una vasta gamma di canzoni di sicuro effetto perché conosciute e possedute, quindi condivise dal "popolo".

Anche se può non farci piacere, è molto più vivo l’interesse per la musica straniera che italiana e…bisogna tenerne conto.

Per finire, Marinella, nell’attuale sbandieramento che viene fatto di feticci quali "modernizzazione"(che è altra cosa da modernità condivisa), "globalizzazione"(che è altro da una seria integrazione), "comunicazione globale"(che forse non può limitarsi ai 30 milioni di telefonini attivi in Italia, primi in Europa!), ma anche nella constatazione frequente di quanto rimangano forti e diffusi l’isolamento e la solitudine di tante persone che non riescono ad adeguarsi a tale sfarfallìo ed intanto vedono svanire antiche certezze ed abitudini comunitarie, può avere una funzione sociale e culturale importante il nostro lavoro sulla cultura popolare e sul canto corale che tanta parte di essa esprime? E soprattutto, per la tua esperienza e sensibilità, come e con quali aspettative possiamo rivolgerci ai giovanissimi?

E’ giusto conoscere la cultura popolare, come ogni altro genere musicale che si rispetti, tuttavia ritengo non ci si debba fermare alle origini del canto popolare, ma sia necessario cogliere l’evoluzione di questa musica, permeandola di quella modernità che potrà darle un tocco di freschezza e di novità. E per avvicinare i giovani penso sia più facile proporre canti conosciuti e vicini alla loro esperienza, in quanto "patrimonio personale", che musiche troppo lontane dalla loro quotidianità.

Ma allora dobbiamo cantare solo canzonette?

Già da diversi anni io ho intrapreso questa strada e non mi sono pentita affatto della scelta, per cui mi sentirei di incoraggiare i direttori dei cori popolari a considerare l’idea di "modernizzare" il proprio repertorio con nuove armonizzazioni; ma se un coro, per scelta, vuole ancora portare avanti una linea popolare tradizionale: perché no?

L’importante è amare ciò che si canta!

Grazie davvero Marinella, a nome del Coro Marmolada, grazie alle tue coriste e alla famiglia tutta delle "Note del fiume" per la cortesia e la disponibilità con cui avete corrisposto al nostro "intrigante" invito e per l’impegno e la qualità delle argomentazioni da voi messe a disposizione del nostro giornalino …con la speranza di applaudirvi al più presto.

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