Montagnutis

Montagnutis, montagnutis ribassaisi,
fait un fregul, fait un fregul di splendor.
Tant c'o viodi ance une volte
là co levi, là co levi a fa' l'amor.
O vò stele, o vò stele tramontane
Se savessi, se savessi fevelà,
un salut a di chè frute
jo par vo, vores mandà.

Montagnutis montagnutis...

I canti dell’emigrazione

di Sergio Piovesan

Uno dei più noti ricercatori e studiosi di musica popolare, Roberto Leydi, pone i canti dell’emigrazione nella categoria dei canti sociali e politici. L’emigrazione fu, infatti, un fenomeno sociale molto determinante, e lo è ancor oggi, nella vita di milioni di uomini e nella storia di molti paesi, sia di quelli dai quali gli emigranti partivano come di quelli in cui gli stessi si stabilivano e dove, con il loro lavoro, contribuirono, a volte anche in modo determinante, alla crescita economica degli stati ospiti.

L’emigrazione si sviluppò in modo particolare nel nostro paese dopo la sua unità politica ed il fenomeno, che interessò in modo esclusivo la classe popolare, non poté non lasciare il segno su quella che gli studiosi definiscono "musica popolare".

Chi abbandonava il paese e la famiglia, da solo o in gruppo, per cercare di migliorare le sue condizioni di vita e quelle di chi rimaneva a casa, viveva sentimenti di tristezza, di nostalgia, di malinconia e di speranza che autori, il più delle volte ignoti, seppero esprimere in testi, a volte molto poetici, sia in lingua ma, soprattutto, nei dialetti delle varie regioni italiane. Questi testi uniti a musica semplice, a volte già esistente e famosa fra il popolo, formarono i canti popolari dell’emigrazione.

Il repertorio del "Marmolada" comprende due di questi canti, uno friulano, "Montagnutis", ed uno appartenente a tutta l’area del settentrione, "Emigranti", conosciuto anche come "Trenta giorni di nave a vapore".

Il primo è un canto friulano che vuole significare come questo popolo, che non si è mai lasciato intimorire da difficoltà di vario genere (guerre, invasioni, carestie, terremoti, mancanza di lavoro), abbia risposto in ogni occasione positivamente legando le sue "fortune" all’esigenza di lavorare lontano di casa. La lontananza poteva essere determinata da emigrazioni stagionali e, quindi, in paesi relativamente vicini (la vallata accanto a quella in cui vivevano, Venezia, Austria, Ungheria () ) ed il lavoro era legato in modo particolare all’agricoltura, alla pastorizia, alla silvicoltura ed all’edilizia. Dopo l’unità d’Italia le emigrazioni s’indirizzarono verso paesi più lontani, in Siberia per la costruzione della ferrovia Transiberiana, od oltre oceano, specialmente nell’America del Sud.

"Montagnutis" nasce con le prime emigrazioni, quelle al di là delle montagne di casa, alle quali l’emigrante, usando un vezzeggiativo, chiede di abbassarsi per rivedere i luoghi cari, i luoghi in cui andava a far l’amore (tristezza e nostalgia) (). Si rivolge anche alle stelle e, tramite loro, vuole mandare un saluto alla sua donna che l’attende (speranza).

Il canto "Emigranti" nasce invece con l’emigrazione di fine ‘800 verso i paesi dell’America Meridionale, dove s’indirizzarono maggiormente i contadini dell’Italia Settentrionale ().

Le navi partivano da Genova e dopo "... trenta giorni di nave a vapore..." gli emigranti sbarcavano in "...Merica"; e l’America era la loro terra promessa, era un sogno. () Ma l’America era anche un paese dagli spazi sconfinati ("... l’America l’è lunga e l’è larga ...") dove non c’era neppure un po’ di paglia per poggiare la testa e riposare. Ma, nonostante i disagi e la fatica, gli italiani, aiutandosi fra loro ("... e con l’aiuto dei nostri Italiani ...") () , contribuirono in modo determinante allo sviluppo dei nuovi paesi.

L’emigrazione italiana si è conclusa negli anni ‘50-’60, ma questo fenomeno, nonostante ci sia chi pensi di poterlo fermare, ha ripreso, ora in senso inverso, e forse, in futuro, ascolteremo nuovi canti che evocheranno le nostalgie delle savane e dei deserti africani oppure le malinconie e le dolcezze delle primavere nelle steppe orientali.

Sergio Piovesan

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