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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Aprile 2015 - Anno 17 -n.1 (63)

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Grande Guerra - Ritorno ai "Caleghèri" per noi del "Marmolada"

di Paolo Pietrobon

 

Su proposta di ‘Promoculture‘, e con il patrocinio della Municipalità di Venezia, Murano e Burano, la Scoléta dei caleghèri ha ospitato l’incontro dello scrivente e di Sergio Piovesan con gli interessati al tema del rapporto tra la commemorazione del Centenario della Grande Guerra e la canzone, quella dei soldati e l’altra, forse più rappresentata, quella degli autori.

Non per la prima volta, poiché già nell’Aprile del 2008 avevamo affrontato il tema più generale della ‘ canzone di guerra’, ma non potevano mancare le novità indotte dalla ricorrenza storica sulla quale tutto il paese sarà impegnato nei prossimi tre anni: per esempio, nell’intervento di Piovesan, la ricerca e l’analisi dei testi e delle musiche nati intorno ai fatti di quella guerra terribile ma ignorati per decenni dalla cultura di regime, o dall’esigenza di preservare della guerra le prevalenti stimmate politico-militari ‘di vertice’, anche l’indiscutibile e da tanta buona italianità risorgimentale sognato ottenimento di una consistente unità nazionale, a scapito però di una doverosa sincerità sui costi umani e sociali patiti in quei tre anni da milioni di soldati, dalle loro famiglie stremate dal terrore e dall’indigenza, ma anche sui vuoti disastrosi lasciati e non risolti – come sempre avviene nelle guerre – nella vita economica e morale della popolazione, e nelle relazioni internazionali prodotte dalla Pace di Parigi, in buona sostanza esse stesse prodromi delle tensioni autoritarie e della conseguente seconda guerra mondiale – se possibile peggiore della prima – che avrebbero sconvolto ancora la vecchia Europa ( che non ha pace – ahimè – nemmeno ora) … Tra questi testi della verità storica, ovviamente, importanza speciale hanno avuto canti come O Gorizia tu sei maledetta, o quelli degli sfollati, nonché i riferimenti alla recente intenzione di istituzioni e ricerca storica tesi a restituire dignità e segni evidenti ai soldati fucilati ( quante volte per un ghiribizzo del generale di turno) e consegnati ingiustamente, o quanto meno con risibili motivazioni, alla gogna di una non-memoria.

E’ esistita pure un’analisi meno ‘ consueta ‘ di taluni canti, nel senso di ricercarne ed esplicitarne il mondo degli affetti, delle emozioni, dei pensieri profondi, anche drammatici e moralmente impegnativi, sovente nascosti dietro a melodie e ‘parole semplici’, quelle del soldato o dello scrittore di allora, non necessariamente letteratissimo o avvezzo alle finezze filosofiche indotte dagli schianti fisici e psicologici di una guerra atroce come quella. Con una considerazione speciale, tra gli altri, nelle parole di Pietrobon, de Il ritorno, l’ottimo testo dell’insostituibile duo ‘De Marzi – Gemignani‘, un quadro di triste ironia e di acuta modernissima compassione disegnato intorno del soldatino che, forse partito con baldanza giovanile e incolpevole illusione di un rapido successo, trova invece una tragica desolazione, anche affettiva, ma ne riesce stupendamente, nel senso di una comprensione dolorosa del comune destino di rovina riservato a quei ‘poveri cristiani’, così: E’ la storia di un uomo comune travolto dalla guerra: uomo-soldato, come i tanti chiamati a quella maledizione: forse, chissà, anche i moderni ‘rambo’ della guerra tecnologica e ‘professionale ’ in fondo a se stessi, nel pozzo privato delle emozioni incedibili? Sconvolto, letteralmente, dalla guerra dei ‘grandi’, oltreché – ma fu assai spesso conseguenza irresistibile – defraudato da quella dei ‘piccoli’ (la fragilità di chi rimane, anche una moglie innamorata), dal ‘si salvi chi può.…poco importa come….’ generato dall’oscuramento della ragione e riversato impietosamente sulle creature ‘minori’ della più crudele lotta di sopravvivenza: le cento corna in fronte al posto dell’alloro al valore.

Ma prima, e insieme, l’ambiguità tristissima di quella donna, essa pure sconvolta, per la quale, nelle parole terribili perché candide del figlioletto alla porta, non si sa comprendere se tra i ‘mestieri’ necessari alla sopravvivenza esistano le voglie più riposte di uomini depredati loro pure, nella contestualità di uno strazio fisico e morale illimitato, della ‘continenza’ altrimenti ( nel tempo della pace, della razionalità, dell’umanità) dovuta a quella donna e in quella situazione … ‘ ghe xe posto par tutti i congedati / qua i militar soldati / fan tappa note e dì…’.

Ancora la donna colpevole più degli altri, la donna che doveva resistere, a prescindere, donna tra altre che nelle guerre, sul baratro dello smarrimento assoluto, di una notte che poteva essere l’ultima, di una disperazione debilitante di quei soldatini, loro sì da compatire…. aveva donato uno squarcio di tenerezza, o colto per sé un’intuizione di sopravvivenza…