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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Dicembre 2015 - Anno 17 -n.4 (66)

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DIAMOCI UN TONO (O FORSE PIÙ D’UNO)

 

(Breve viaggio nel magico mondo della musica)

 

di Alessandro Zanon

 

Quante volte il maestro ci informa che abbiamo “calato” o che siamo “crescenti”? Quante volte magari per questo ci siamo abbattuti o siamo andati “giù di tono”?  Ma che cos’è il tono e perché è così importante per noi?

Vi voglio guidare a un breve (e spero curioso) viaggio all’interno del magico mondo della musica per capire.

Premetto, non sono un musicologo, solamente un appassionato.   Per cominciare “Tono” deriva dal greco τόνος che a sua volta deriva da un verbo che significa: “Allungarsi“. In musica è un’unità di misura degli intervalli musicali.

La storia della musica “moderna“ nasce poco prima dell’anno 1000 (più o meno l’altro ieri) ad opera di un monaco, Guido d’Arezzo che mise in musica un inno, composto da un certo Paolo Diacono, dedicato a San Giovanni Battista.

Il testo, che in italiano suona:  Affinché  i tuoi servi possano cantare   con voci libere le meraviglie delle tue gesta, cancella il peccato dal loro labbro impuro, o San Giovanni “ ha un fraseggio che cambia tono ogni riga ed è il seguente :  Ut queant laxis /Resonare fibris/Mira gestorum/Famuli tuorum/Solve polluti/Labii reatum/Sancte Iohannes .

Come potete vedere le iniziali delle sillabe sono i nomi delle noteUT (che nell'800 verrá mutuato in DO da parte del maestro Doni che userà parte del proprio cognome)/RE/MI/FA/SOL/LA. Non esisteva l'ultima nota perché nel Canto Gregoriano e nella musica medievale non c'era il concetto di nota Sensibile. Essa verrá aggiunta nel 16° secolo. E come mai si chiamerà? Ovviamente con il nome del Santo: Sancte Iohannes (SI)

 

Dopo Guido d’Arezzo la musica subì una grande rivoluzione con il compositore e teorico della musica veneziano Gioseffo Zarlino, vissuto nel '500 che  inventò la musica "tonale" o a toni, (quella che noi ancora oggi usiamo) sovvertendo la musica sino a quel tempo eseguita.

Tutto risolto? Magari! Il problema restava l'altezza dei suoni. Se un musicista italiano ed uno tedesco decidevano di fare un concerto insieme, erano problemi in quanto ognuno aveva il suo modo di intendere l'accordatura.

Ci pensò a risolvere il problema, almeno in parte Johann Sebastian Bach nella sua celebre opera Il clavicembalo ben temperato del 1722 (da bambino pensavo fosse un clavicembalo molto appuntito!) che studiò le prime forme del cosiddetto                        "temperamento equabile" cioè la stessa altezza dei suoni. La nota la3 ,quella del diapason per intenderci, ad esempio è definita per convenzione a 440 Hz, valore stabilito dalla conferenza internazionale di Londra del 1939.

Fra i primo ad usare queste innovazioni ci fu l'Enfant Prodige della musica:  Wolfgang Amadeus Mozart. In un meraviglioso film biografico ("Amadeus" , da guardare senza però lasciarsi ingannare da un inesistente  complotto ordito da Salieri) gli viene criticato di mettere "troppe note" nella sua musica. Forse fa sorridere ma Mozart era visto dai suoi contemporanei un po' come i musicisti rock erano visti negli anni '60 dai puristi della musica "seria".

L'ultimo passaggio di questa  storia tormentata ma avvincente fu ideato da un compositore moderno nato in Austria ma naturalizzato americano: Arnold Schönberg . Fu  uno tra i primi, nel XX secolo, a scrivere musica completamente al di fuori dalle regole del sistema tonale, e fu uno degli applicatori del metodo dodecafonico, basato su una sequenza (detta serie, da cui il termine “musica seriale) comprendente tutte le dodici note della scala musicale cromatica temperata e cioè le 7 note della scala piú i 5 accidenti (le note nere del pianoforte) ovvero do diesis  altrimenti detto re bemolle, re diesis o mi bemolle,  fa diesis o sol bemolle, sol diesis o la bemolle,  la diesis o si bemolle).

La composizione di   di Schönberg  che meglio esprime questo nuovo concetto di musica è indubbiamente  l’opera  in 3 atti  Moses und Aron (in italiano Mosè e Aronne) composta tra il 1930 ed il 1932 e lasciata incompiutaSi tratta di un lavoro magistrale da ascoltare con molta attenzione, anche da parte di chi fosse scettico su questo genere di musica “strana”.

Il coro di voci bianche “ La voce del roveto ardente” del primo atto è talmente difficile da eseguire, che fino a qualche anno fa ne veniva addirittura proibita l’esecuzione per potenziali “danni permanenti all’apparato vocale”. (oggi invece viene eseguito ma solo da coristi professionisti dopo un estenuante lavoro sull’estensione dei suoni)

 

Ci sarebbero molte altre cose da dire, degli aneddoti anche divertenti da  raccontare.

Lo farò nel prossimo numero di "Marmoléda".

Sempre che abbia ancora un po' … di tono!!!