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Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Ottobre 2016 - Anno 18 -n.3 (69)

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Canti della guerra: "Era sera"

 

di Paolo Pietrobon

 

Era sera di un giorno di festa, la mia bella mi stava accanto, mi diceva ‘io t’amo tanto’ …/ … i tuoi occhi son neri son belli / i tuoi capelli sono di oro …/… Dammi un ricciol dei tuoi capelli / che li serbo per tua memoria” …..

Qui l’avvio del canto pare davvero non curarsi degli affanni dell’esperienza di guerra. Prevalgono i toni idilliaci, di un paesano smisurato romanticismo, soprattutto in quel ricciolo portato con sé dall’amante quale ricordo, pagana sempliciotta reliquia cui rivolgere il pensiero d’amore, o della sua lontananza. E intorno, di nuovo, i sintagmi allusivi al frammento di serenità esistenziale, alla pausa dal lavoro feriale, al silenzio ritrovato della prima sera, alla tanto ambita presenza di una fanciulla, bella e vivace quanto innamorata e sincera…

Vengono a mente per un’associazione spontanea altri acquarelli deliziosi regalati alla penna e alla bacchetta di scrittori e musicisti da tale speciale convergenza di fortunate percezioni ambientali e psicologiche ( anche ricorrendo, con rispetto e ammirazione, allo splendore sobrio e ovattato della Sera del dì di festa di Giacomo Leopardi : “ Dolce e chiara è la notte e senza vento, / e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / posa la luna, e di lontan rivela / serena ogni montagna. O donna mia,… /… tu dormi, che t’accolse agevol sonno / nelle tue chete stanze; e non ti morde / cura nessuna…”, o, dello stesso autore, al patetico contemplare di A Silvia : “ sonavan le quiete /  stanze, e le vie dintorno, / al tuo perpetuo canto,… / … era il maggio odoroso: e tu solevi / così menare il giorno. / Io gli studi leggiadri / talor lasciando e le sudate carte,… /… porgea gli orecchi al suon della tua voce, / ed alla man veloce / che percorrea la faticosa tela…”). Con la considerazione, ovvia, della diversità dei contesti, e del relativo feeling che traspare tra gli innamorati, ma l’utile evidenza di quanta poesia e letteratura ‘ leggera’ vengano dalla tradizione classica.

 

Ecco allora, per cenni, l’estensione di tale poesia ‘minore’: a cominciare dai mormorii incantevoli del Canto de not ‘n montagna ( “ La sera là sui prai de la montagna / che se gà el bosco nero sotto i piè / e gh’è n’mucio de stele / ‘n tel seren… / … sluse ‘l foc fòr de l’us a ogni baita / ‘ntorno ‘ntorno gh’è / ‘n bon odor de fen…” ), o dai crepitii sommessi di Entorno al foch ( “ Se smorza ‘na fiamèla, / se ‘npiza ‘n toch de zoca, / … e se sta lì a vardar… / … se pensa a la morosa / a nossa pòra mama / se ‘npiza ‘n’altra fiama / che la va drita al cor…”), o ancora dal brillìo sensuale, appena velato di pudore, della Brasolàda ( “ Soto la luna / la strada de montagna se strapèga: / la par ‘na lunga bava de lumèga / e i sassi i xe d’argento. In alto, solo / ghe brila el ciciolar d’un usignolo. / Impìssa el fogo e séntete lì rente, / la boca rossa, e i oci, i oci, / no li ricordo. Te digo solamente: / te do el me còre, tienlo sui zenòci…”), o infine dalla vasta elegia di Vien morettina vien ( “ Vien morettina vien / in campagna a voltar el fen. / Quand ch’el fen sarà ben voltà / noi godremo la libertà / l’aria pura in mezzo al prà. / In mezzo al prà e in mezzo ai fior / morettina farem l’amor…”).

 

Gli elementi dell’abbandono all’ambiente naturale complice e carezzevole ci son tutti, così come l’ammissione tranquilla degli amori incolpevoli di quei giovani, anche in Era sera, se non che, qui, il fantasma del buio che cancellerà le tinte morbide dei tramonti, nella borgata da abbandonare e nell’immaginazione che chissà per quanto dolorosamente la sostituirà, sbuca dall’idillio, oscuramente, nascondendo al lettore volto e ghigno minaccioso, l’annuncio del male soverchiante che s’avverte premere sui loro gesti e sui loro pensieri, della guerra, ancora.

I capelli neri e i riccioli d’oro dell’amata sono il talismano di una salvezza necessaria contro la disperazione, che è bestemmia nel piccolo devoto borgo, mentre lo sguardo vibrante del giovane soldato, levato alto sul capo dell’amata a scrutare l’orizzonte vale l’augurio, anzi, la previsione trascendente della vittoria: la vittoria, sì, eroicamente evocata a coprire la tristezza del distacco, gridata a se stesso per l’inevitabile onorevole adesione al sermone patriottico, o anche al convincimento della redenzione nazionale vicina.