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Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Ottobre 2016 - Anno 18 -n.3 (69)

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La "Grande Guerra" vista e .... "sentita" in alcuni canti friulani

di Sergio Piovesan

 

Durante la Grande Guerra, il Liceo Ginnasio Stellini di Udine  venne sequestrato dai Carabinieri e utilizzato come sede del Comando Supremo dell'esercito italiano. Questo fu uno dei motivi per cui Udine venne ribattezzata "Capitale della guerra".

Per la sua collocazione all’estremo limite del confine orientale, la città e tutta la provincia friulana vissero con intensa drammaticità, sconosciuta al resto d’Italia, l’esperienza della prima Guerra Mondiale. Tutta la sua vita ne fu trasformata e la sua stessa identità subì i mutamenti imposti dal regime di guerra.

Una guerra che, come sappiamo, portò in quelle terre distruzioni, miseria, violenze, morti e anche fuga della popolazione a seguito della rotta di Caporetto e del successivo dilagare delle truppe austro-tedesche  

In questo contesto nacquero poesie e canti che raccontano quel periodo, alcuni assurti alla notorietà ed altri meno conosciuti e che, quindi, vogliamo riproporre e far conoscere.

I confini, si sa, sono sempre stati causa di contese, sia fra privati che fra stati, contese che hanno portato a guerre. Il confine è sempre stato una chiusura anche se le comunità vicine, molto spesso, hanno condiviso i fatti, le calamità e le gioie che coinvolgevano il territorio sia quello di qua che quello al di là della linea immaginaria creata dall'uomo.

Arturo Zardini, l'autore del famoso brano  "Stelutis alpinis", ancora nel 1911 e quindi prima dei fatti che sconvolsero la sua terra e l'Europa  intera, scrisse testo e musica de "Il confin" nel quale descrive, quasi come un dipinto, la sua zona che allora era attraversata dal confine, contrassegnato dal torrente Pontebbana.

Fu, a partire dalla fine del I millennio, confine tra amministrazioni ‘italiche’ (il Patriarcato, prima, la Serenissima Repubblica, dopo) e tedesche (il Vescovado di Bamberga e, in seguito, l’Impero asburgico). Da allora e fino alla grande Guerra, la cittadina era divisa in due realtà amministrative, prendendo il nome di Pontafel nel settore in sinistra idrografica dove assunse caratteristiche proprie della cultura e delle tradizioni tedesche, mentre  il paese alla destra, Pontebba, era italiano. 

 

Questo il testo di Zardini che, al di là delle divisioni, coglie la bellezza di tutto il territorio:

Dopo  qualche anno la visione di un confine,  quasi un sogno, diventa tutta un'altra cosa: la tranquillità e la serenità di quel paesaggio, ma anche di tutto il territorio friulano,  vengono sostituite dalla sofferenza, dalla fame e dalla paura.  Il rumore di un motore di aeroplano  e la sirena che annuncia il suo arrivo, suoni sconosciuti fino a qualche anno prima, ai quali si aggiunge quello delle campane del Duomo, mettono paura e i cittadini udinesi vanno a ripararsi nelle cantine. A Udine c'è un posto d'osservazione naturale, la collina del Castello, da dove, durante l'attacco aereo, sparavano  le batterie contraeree.

Adriano Blasich, poeta e musicista udinese, con il canto "La sirene", descrive il momento dell'attacco aereo e della sua conclusione che vede il velivolo "todesc"  allontanarsi  e il conseguente fine allarme con il suono delle campane. 

Un  bellissimo canto, pur  se molto armonioso e  accompagnato da un festoso suono di campane che mette allegria, anche questo nasce durante la guerra.

Le campane, il cui allegro suono annuncia la festa, devono anche, poeticamente, infondere sentimenti di speranza e di preghiera.     

Su testo di Francesca Nimis-Loi, il musicista Luigi Garzoni compone la musica di   "O cjampanis de sabide sere" con una dolce armonia, definita nel canto  quasi una "musiche pie".  Nell'ultima strofa, però, l'autrice trasforma il testo di una poesia in una preghiera invitando le campane a serbare il loro allegro suono per la fine della guerra. Sappiamo, invece, che poche campane poterono suonare nel novembre del 1918 perché con l'invasione dell'esercito asburgico quasi tutte furono requisite e fuse per costruire cannoni e solo negli anni successivi i campanili del Friuli furono dotati di nuove campane. 

 

Il 27 ottobre 1917 -dopo la battaglia di Caporetto del 24-25-  sulla stretta di San Quirino, allo sbocco della Valle del Natisone, a est di Cividale, quattro brigate di fanteria, composte per metà da rimpiazzi, trattennero per dieci ore quattro divisioni di veterani tedeschi per consentire la ritirata della 2a e 3a Armata dal fronte dell'Isonzo.

Siamo a pochi chilometri da Udine e già gli abitanti della città, come anche del resto del Friuli, si apprestano a scappare. Da Udine, che contava 47.617 abitanti, fuggirono in 31.279, da Codroipo su 6574 residenti furono 2083 le persone che presero la via della fuga. Complessivamente dal Friuli scapparono oltre 130.000 abitanti. Questa fuga, o meglio l'inizio della fuga, che vede la chiusura della casa ed il riversarsi in strada, viene descritta nel canto "27 di otùbar" di Arturo Zardini anche lui profugo dalla natia Pontebba a Firenze dove, il mese dopo, compose il suo canto più famoso "Stelutis alpinis" .

Profughi che sentono la vergogna e che pensano anche che stiano meglio i morti che non conoscono il tormento della fuga, dell'abbandono e dell'ignoto.

Ma in loro resta sempre la speranza del ritorno e si affidano, per questo, alla Fede.

Una prima strofa descrittiva è seguita da altre tre nelle quali vengono espressi sentimenti, nostalgie e speranze.

 

Dei canti in questione riportiamo i collegamenti (links) per gli spartito e per l'ascolto della musica digitale ricavata dagli spartiti stessi. 

 

Il confin                                           Spartito (pdf)                         Musica (mp3)    

 

La sirene                                          Spartito (pdf)                         Musica (mp3)

 

O ciampanis de sàbide sere               Spartito (pdf)                         Musica (mp3)

 

27 di otùbar                                     Spartito (pdf)                         Musica (mp3)