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Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Dicembre 2017 - Anno 19 - N. 4 (74)

 

 

 

Ancora su "Stelutis alpinis"

 

e sul suo autore Arturo Zardini

 

di Sergio Piovesan

 

Quest'anno 2017, oltre a far parte del periodo nel quale si fa memoria  della prima guerra mondiale, è occasione, almeno nel mondo corale ed in Friuli,  per ricordare la nascita di un canto divenuto famoso nella terra d'origine dell'autore e nel resto d'Italia, soprattutto perché divenuto canto degli Alpini.

Ho avuto occasione di scrivere più volte sulle colonne di "Marmoleda" ([1])  relativamente a "Stelutis alpinis", ma, vista l'occasione del centenario, ritengo doveroso tornare sull'argomento.

Innanzitutto desidero far presente che il Coro Marmolada, proprio per ricordare questo "compleanno", ha prodotto un video di una propria esecuzione intercalata da bellissime immagini, video inserito in "youtube". ([2])  

Per quanto scritto già su questo canto vi rimando, quindi, ai miei articoli di cui alla nota n.1, e preferisco riassumere brevemente la biografia dell'autore ed evidenziare altri canti, fra cui alcuni inediti e canti meno noti.  

L'autore, Arturo Zardini di Pontebba, nel novembre del 1917 giunse profugo a Firenze ([3]) a seguito della rotta di Caporetto, e lì -si dice presso la locanda "Al Porcellino"- scrisse e compose, ispirato dai tragici eventi  bellici, questo bellissimo canto che poi venne eseguito per la prima volta nel gennaio del 1918, sempre presso lo stesso locale, da un gruppo di altri profughi friulani.

Zardini morì nel 1923, a soli 53 anni e non conobbe, se non in minima parte, i successi di questa sua opera. Ma non conobbe neppure le diatribe e le falsità che sorsero negli anni successivi, fino quasi agli anni '60, diatribe e falsità contro le quali la moglie oppose acerrime difese. (v. sempre alla nota n. 1).

Chi era Arturo Zardini? Nacque a Pontebba nel 1869 e lì frequentò le prime tre classi delle scuole primarie dimostrando anche una notevole sensibilità musicale ed una passione per la cornetta. A 15 anni circa, come molti ragazzi  del Friuli, emigrò in Austria esordendo come manovale  nell'edilizia; un lavoro durissimo in un ambiente socialmente ostile verso gli italiani ma, nonostante il poco tempo disponibile, profittò per farsi una cultura da solo.

Questo periodo è senz'altro  l'ispiratore di un altro suo bellissimo canto, "L'emigrant" ("Un dolôr dal cûr mi ven...") ([4])

Rientrato in Italia nel 1887, l'anno dopo si arruolò nel Regio Esercito, e fu destinato -come allievo cornettista- alla banda dl 36° R.to Fanteria di Modena.  Lì fece carriera perfezionandosi, prima presso l'Istituto Musicale di Alessandria e poi presso il Conservatorio "Rossini" di Pesaro,  diventando, quindi, direttore della banda dello stesso reggimento. Congedato nel 1902, dopo 14 anni, rientrò al suo paese dove iniziò a lavorare presso il Comune in qualità di applicato.

Nonostante la vita famigliare non troppo serena (perdette una figlia di appena un anno e poco dopo anche la moglie e, rimasto vedovo, si risposò ed ebbe quattro figli dei quali restarono solo due figlie) continuò con l'attività musicale, dirigendo banda e coro, e componendo musiche corali, per banda e sacre.

In molti suoi canti esprime il suo amore per la Patria che nacque in lui fin dalla giovane età. Ne sono esempio alcune sue composizioni si per banda che come canto; per banda compose due marce, "Ascari" e "Derna", ispirate dalle guerre in Africa e divenute famose, senza alcuna propaganda, fra le bande e fanfare di vari reggimenti.

Come canto compose, ma forse è solo un abbozzo, un canto per singola voce chiamato "Bandiera" ed un'altro, molto avverso all'Austria, "Le due bandiere". Quest'ultimo, purtroppo, per quanto riguarda la parte musicale finale, non è decifrabile. 

Non poteva mancare un "Inno agli Alpini" -per banda e coro- composto nel 1915, il cui spartito ho trascritto con notevole fatica data la difficoltà nella lettura della copia della documentazione in mio possesso ([5]).

Segnalo infine, in questo breve e incompleto excursus su Zardini e su alcune sue opere,  un inedito: una classica villotta friulana, di una sola strofa, dal titolo "Ste ariute", scritta e composta a pochi mesi dalla sua morte ([6])  e, quindi, l'ultima sua opera, che viene oggi  pubblicata a cura del Coro Marmolada, dopo essere stata copiata dall'originale. Questa è consultabile "cliccando" qui  e se desiderate ascoltare la musica prodotta in fase di digitazione dello spartito, "cliccate" qui.

 

Prossimamente verrà pubblicato un opuscolo -in edizione digitale- a cura dell'Associazione Coro Marmolada, che conterrà partiture di alcuni brani inediti e di meno conosciuti.

 


[3] Proveniva da Moggio Udinese dove era arrivato nel maggio del 1916 da Pontebba, paese proprio sul confine con l'Austria.

 

[4]  Parole e musica di Arturo Zardini (1912)

Un dolôr dal cûr mi ven
dut jo devi bandonâ
patrie, mari e ogni ben
4e pal mont mi tocje lâ

Za jo viôt lis lagrimutis
di chel agnul a spontâ
e, bussànt lis sôs manutis
jò 'i dîs: "mi tocje lâ"

Traduzione

Un dolore dal cuor mi viene
tutto devo abbandonare
patria, mamma ed ogni bene
4per il mondo mi tocca andare

Già io vedo già le lacrimuccie
di quell'angelo spuntare
e, baciando le sue manine
8io le dico: "devo andare"

[5] Trattasi di materiale messomi a disposizione da Rui Giuliano, di Pontebba, nipote di Arturo Zardini

 

[6]  Vilote "Ste ariute"

   di A. Zardini

Ste ariute benedete

nus invide a spassizâ,

ogni stele è une ciandele

che risplend senze scottâ.

Oplalà, oplalà.......

 

Traduzione

Questa arietta benedetta

che ci invita a passeggiare,

ogni stella è una candela

che risplende senza scottare.