MARMOLADA: IL PERCHÉ DI UN NOME AFFASCINANTE

Paolo Pietrobon

 

Inutile negare che don Natale, l’arguto essenziale sacerdote che a San Damiano Macra ci ha rivolto il saluto della comunità parrocchiale al termine di un concerto davvero ben riuscito, ha preso tutti alla sprovvista quando, con l’aria (e la bonaria ironia) di un semplice iniziato, ha chiesto ai cori presenti il ‘perché’ e il ‘da dove’ dell’affascinante denominazione del coro veneziano, il nostro ‘Marmolada’. Non che nelle reminiscenze o nelle sensazioni di alcuni di noi fosse assente del tutto un riflesso fonetico-semantico di quella probabile radice marmo, ma una ricerca effettiva non era stata mai fatta, almeno che io sapessi o sappia. In fondo, come in tutte le cose di per sé rilevanti agli occhi e al sentimento di tutti, la Marmolada ‘è la Marmolada’, che altro serve dire? Quasi come chiedere l’etimologia di ‘mamma’… A che serve? La mamma è la mamma, cavolo, perché dirne di più?

Se non che, nell’atmosfera densa della serata e nel susseguirsi degli eventi del concerto, la domandina di don Natale è rimasta senza risposta. E da quelli del ‘Marmolada’ più di qualcuno se la sarebbe aspettata … Tra l’altro lo squisito intervento di don Natale (e forse la curiosità stessa di qualcuno di noi) la meritava e la merita tutta, ragione per la quale, senza pretendere di proporre una spiegazione che contenga interamente il secolare pensiero, di immagini e di parole, delle comunità umane vissute ai piedi della ‘regina’, credo utile, e doveroso nei confronti del simpatico sacerdote, presentare in breve il risultato di una mia ricerca di questi giorni, a disposizione di eventuali altri contributi e osservazioni che ne arricchiscano le conclusioni.

Gli essenziali riferimenti etimologici

(da Sabatini-Colletti, Dizionario italiano, 1999, Ed. Giunti, Prato)

1.  Marmo: nella lingua letteraria marmore, dal latino marmor, indica la nota roccia calcarea e metamorfica di esteso uso nell’edilizia abitativa, ed è usato nelle similitudini e nel linguaggio figurato quale simbolo di durezza, freddezza, biancore.

2.  Marmolaio: il marmista, dal latino marmorarium e derivato marmoraria, l’arte della lavorazione del marmo, con marmorario, di nuovo il marmista.

(da Biblioteca di Repubblica, L’Enciclo- pedia, 2003, Utet, Torino)

1.  Marmo: per estensione roccia lavorata, materiale pregiato.

2.  Marmora: è Comune in provincia di Cuneo (!).

3.  Marmore (cascata delle): nei pressi di Terni.

4.  Marmara (Mare di): mare interno tra i Dardanelli e il Mar Nero.

5.  Marmàrica : è regione dell’Africa nord-orientale, tavolato prossimo al mare, al quale scende per gradoni, desertico all’interno, abitata anticamente dai Marmàridi.

(da Georges-Calonghi, Dizionario della lingua latina, 1954, Torino)

·    Marmor : dal greco màrmaros, è il marmo, la pietra lavorata, anche l’incrosta- zione, e, per estensione poetica, il piano, la superficie piana e lucente del mare ( anche ‘ogni piano reso lucente dallo scorrere d’acque’ -n.d.r.)

(da Artemisia Progetti, Dizionario Etimologico, 2007, Rusconi Libri)

·    Marmo : dal latino marmor, greco màrmaros, nel significato di splendente, con ascendenza intermedia dal greco marmaìro (risplendo) e/o amarýsso (splendente).

Altamente probabile il riferimento del presente quadro analitico alla radice indoeuropea mar, e quindi al sanscrito marici (raggio di luce) e marakata (smeraldo), ma anche al sanscrito mrn-màru (terra, pietra, macigno) e alla radice del greco marnasthai (frantumare). Del resto per lo stesso termine mare vige un’ipotesi di derivazione dal mar indoeuropeo.

Possibili conclusioni. Premesse

1.  Prevalgono e si integrano con sufficienti razionalità e giustificazione, per marmor, i riferimenti alla pietra chiara e lucente (calcarea, metamorfica), o insieme crostosa e dura (arida, frantumata), fredda ma splendente insieme (raggio di luce, smeraldo), fino a coprire per analogia e rappresentazione simbolica l’oggetto piano lucente, distesa scintillante, forse addirittura ogni piano reso luminoso dalla presenza e scorrimento d’acqua superficiale.

2.  Accanto alle terminazioni in rario/ia, che rendono aggettivante le radici primitive, rendendole utili alla descrizione morfologica e ‘televisiva’della grande montagna, vanno considerate  quelle in latus/a, atte ad altra aggettivazione, relativa alla vastità dell’oggetto osservato (il latino latus vale appunto ‘largo’, ‘esteso’), con possibilità agevoli di riscontro di un carattere ‘rappresentativo della fisicità’ in tante denominazioni di monti e loro parti ( Peralba, per ‘pietra chiara’; Punta nera; Cristallo; Croda Rossa; Monte Bianco; Croda Rotta, e così via elencando. Tra l’altro, il riferimento a latus/a invece che a rarius/ia meglio fa i conti, almeno a livello specialistico, con la tendenza alla rotacizzazione (trasformazione della ‘l’ in ‘r’, non il contrario) presente spessissimo nelle congiunzioni di terminazioni a radici. Nel nostro caso la successione marmor-latamarmo-latamarmo-lada consente alla ‘l’ di rimanere stabile nella composizione senza imporre alla ‘r’ una rotacizzazione impropria; mentre non è mai problema la decadenza di ‘t’ in ‘d’, o il suo contrario, come per latalada, vista la comune generazione ‘dentale’ delle due consonanti e la conseguente storica intercambiabilità.

Interpretazione

Rimane variamente opinabile, almeno per le mie conoscenze, l’attribuzione di genere per la nostra montagna. Probabilmente il grande invaso occupato dal ghiacciaio, dal gioco di volumi e depressioni immensi e aperti, può aver suggerito all’emozione contemplativa dei valligiani il busto di una donna tesa all’abbraccio, o comunque un ambito di comprensione e illimitata accoglienza, quello di un’entità femminile insomma (ho in mente numerose altre denominazioni di oggetti naturali avvicinabili a quanto detto per la ‘femminilità’ della Marmolada: catena, valle, conca, rada, baia, calotta …).

Quanto alla generazione semantica di Marmolada, mi appare significativamente credibile, per quanto sopra esposto, la figliazione marmorlata(e/o marmorata) marmo-lata marmolada Marmolada dal punto di vista strutturale. Il significato attiene invece da un lato all’imponenza e vastità spaziale dell’oggetto naturale, di quella montagna, aperta e comprensiva dell’intero orizzonte visuale nella sua conca ghiacciata, e per effetto dei suoi ghiacciai e delle acque nivali di scorrimento nel tempo estivo splendente e vivida, come oggi da ogni angolazione è facile e gratificante scorgere (qui trovo pertinenti del tutto i richiami etimologici al piano di luce, allo splendore dello smeraldo, alla distesa luminosa, come di un mare, appunto). Sotto di che, ecco l’altro aspetto, prevalgono pietra, deserto, l’incro- stazione edificata dai millenni, e la paura, il mistero, il freddo aspro di gole e anfratti ignorati dal sole inducono timori ancestrali di male sorti e ostili deità, capaci di scomporre e perennemente ricomporre nelle forme del caos la materia costitutiva del mondo.

Ed è qui che la suggestione popolare e la spontanea fantasia che sostiene la fatica del comprendere misteri e fatica del vivere intravedono presenze angoscianti, ricchezze inconoscibili e appartenenti a lontane barriere temporali, quelle di gnomi e nani padroni di boschi e miniere straordinarie, qui la malizia e la cattiveria di streghe e sortilegi attanagliano e avviliscono le anime belle e candide, i sogni di felicità e d’amore. Come avviene alla povera Conturina che il Coro Marmolada canta, nonostante ‘l sol rege che de ses rajes incorona la montagna, le giazzes incantà, il maleficio che l’incatena alla più aspra solitudine…ma non può impedirle di alzare dal mont il suo canto, eterna.

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