La cantilena del battipalo
di
Sergio Piovesan
Premessa
Da una vecchia fotocopia
degli anni ‘60,un tipo, quindi, che facilmente “svanisce” ho ricopiato alcuni
versi della “Cantilena del battipalo”. Il documento originale è un estratto di
”ATENEO VENETO”, anno CXXXIII, Volume 129, n,4-5-6, Aprile-Maggio-Giugno 1942 e lo scritto è di Lodovico Foscari.
Già in passato ho
trattato di questo canto che il Coro Marmolada ha in repertorio (vedi http://www.piovesan.net/Vi_racconto/Il%20canto%20dei%20battipalo.pdf ) (ascolta http://www.coromarmolada.it/CD-201303.htm ).
Il testo che i due
solisti del “Marmolada” cantano, in un’edizione musicale adattata per un
complesso vocale a quattro voci virili, è solo una piccola parte di quello che,
nel corso dei secoli, i diversi operai che effettuavano questo lavoro hanno
intonato proprio per aiutare e concordare i movimenti.
Il Foscari
riporta quattro, versioni che riproduciamo di seguito.
(I) Oh giovanotti ... ohhhh...
oh giovanotti ... ehhhh...
forza e coraggio / del lungo viaggio
che noi faremo / con questa barca
noi ce ne andremo / verso le terre
della Galizia / verso de quelle
della Liosama
/ Napoli bela
Roma santa / là dentro in Roma
la Messa i canta / canta la Messa
canta per noi / e noi che siamo
gran servi suoi / che Dio ne salva
e la Madonna / e la Madonna
agiuta noi / noi che siamo
gran servi suoi / noi che dobbiamo
gran Dio servire / la santa fede
vòi mantenire / fede di
Cristo
fede cristiana / quella dei Turchi
la xè pagana
/ anca i pagani
cani de mori / lori no crede
che Dio ghe
sia./ E Dio xè nato
da Maria / e Maria Madre
xè tanto bela / ciara luzente
come una stella / e come quela
de l'oriente / da brava zente
che la sia finia
/ po' ghe diremo
l'Ave Maria.
|
(II) Oh issa ... ohhh ...
Dàghene una ... ehh
e un'altra ancora / e così parla
la Scrittura / perciò che l'anema
la sia sicura / la sia portata
nel logo santo / nel logo santo
del Paradiso / dove si fanno
gran feste riso / dove si fanno
gran feste gioco / anca le mùneghe
de Malamoco
/ le ga el pelo
su l'articioco
/ e le se mete
una bragheta
/ la se la onze
co la manteca / perciò che i frati
no ghe lo
meta.
Issa ... ohhhh
...
E issa ancora ... ehhh
Anca da Lissa
/ xè le sardele
anca in Venezia / le pute bele
le ghe fure / le scarsele
a sti povari / lavoranti
e noi nel mondo / che semo tanti
noi nel mondo / che siamo iscritti
prima i grandi / dopo i più piccoli
démole ciare / démole forte
che le se senta / sino a le porte
fino a le porte / de l'Arsenale
dove si fanno / vascelli navi
vascelli navi / brichi
e golete
per poi andare / a veleggiare
in alto mare.
|
(III) Forza ... ohhh...
Oh leva ... ehh...
Dai che l'è belo / a Sant'Elena
i fa el
biscotto / sopa farem
co del vin grosso / co del
vin grosso
co del vin puro / forza ancora
che el bate saldo / el trova duro
sto maledeto
/ tanto el va dreto
oh giovanotti / mi ve la canto
mare de Puglia / la terra piana
ma la Calabria / la sta in montagna
questo è il canale / e del Piombino
porto de Genova / l'è un porto fino
porto di Genova / città l'è bela
come Marsiglia / l'è so sorela
issa ancora / sora
la panza
della signora / che la ga un tagio
che se innamora / el
burcinella
gaveva un gallo / tuta la note
monta a cavallo / el
burcinella
gaveva un can / tuta la note
feva bacan / el ghe sonava
la campanella / evviva el can
del burcinella
/ el burcinella
gaveva un gato / tuta la note
montava sora
/ de la sportela
de la signora / oh giovanotti
la xè finia / po' mi ve imbarco
ve mando via / in Costantinopoli
la zo in
Turchia / in mar che nàvega
la nostra zente
/ al mondo tutto
per dare poscia / el
so tributo
per dare poscia / el
so tributo
per dare poscia / la so pozzanza
e se venisse / el
re de Franza
trentanove / e una quaranta
quarantadue / quarantaquattro
i va in piaza
/ che xè a San Marco
coi colombini / tanto carini
vegnim becarmi / in su la mano
perché che dasse
/ un po' de grano
venze de grano / per le nostre tose
bisogna pensar / ad altre cose
intanto femo
/ breve riposo. |
(IV) Oh issa ... ohhh...
compagno mio ...ehhh
vustu che andemo / che andemo frati /
lassemo el mondo / a chi lo sa
lo sa godere / porta per porta
se ne andemo
a battere /
la carità povaro
frate / povaro frate
cordon che el porta / se no gera el frate
sarave morta / in cao a nove
mesi
partorio ho un bambino / tuto somegiava
padre capuccino
/ ma giovenotti
mi ve la canto / e ve la voi cantare
cominciamo / col buon giorno
col buon giorno / di Natale
quando le viene / noi da Dio
speriamo il bene / ancor da l'Angelo
Santo Miciele
/ pesa le àneme
giuste le tiene / peséla
giusta
l'anéma mia
/ cussì la vostra
salva la sia / su un bon liogo
la sia menata / nel liogo santo
del Paradiso / ora che v'ò
dito la mia / mi ve ricanto
l'Ave Maria.
|
Non contento di quanto
trovato e riportato, ed essendo il sottoscritto un “topo di biblioteca”,
ho potuto riprendere l'altra pubblicazione,cui ho fatto riferimento nel
precedente mio articolo, più datata come sappiamo e riportante altri testi (“Canti
pel popolo veneziano” di Iacopo Vincenzo
Foscarini stampato nel 1844).
Ecco dunque i testi
riportati dal Foscarini, opportunamente preceduti dalle sue considerazioni
sugli stessi.
“Non è fuor del vero la proposizione che Venezia, la bella, la cara, la
poetica Venezia fosse fabbricata col canto; né mai forse la mitologica favola
si verificava così appuntino come al nascere di questa, che dai secoli più
tardi sarà forse creduta favolosa città.
......
Venezia, e chi nol
sa? riposa tutta sopra de' pali confitti nelle più remote viscere della terra,
da secoli e secoli: gli artefici impiegati nel piantar le palizzate chiamansi
batti-pali, e questi principalmente hanno una loro cantilena particolare senza
della quale non potrebbero (per quanto mi assicurano) far volentieri il loro mestiere.
Al momento pertanto che più fervea ne' lontani tempi
l'opera del fabbricar questa mirabil città, doveva la
laguna veneta risuonar tutta all'intorno di quella monotona salmodia che i
batti-pali intuonavano, e che noi udiamo ancora
oggidì laddove si gittano le fondamenta di qualche
nuova fabbrica, o si drizzano dirimpetto alle rive delle case quegli alti e
lunghi pali che servono in parte d'ornamento all'esterno delle abitazioni, ed
in parte a facilitare ed a render sicuro l'approdo.
Le canzoni de' batti-pali son varie,
ma tutte però convengono ad un dipresso negli stessi concetti, talché molto fra
loro si rassomigliano; ed eguale è poi per tutte quante la musica, la quale ha
un suono triste, monotono, e finisce costantemente in un ritornello che somiglia
ad un grido prolungato.
Figuriamoci sei, otto uomini
raccolti in un gruppo attorno ad un palo mezzo dentro e mezzo fuori della
belletta: tutte quelle sedici braccia nerborute tengono afferato
un grosso e pesante cilindro di legno; uno d'essi intuona
un verso della canzone; a quell'invito tutti gli altri in coro fanno eco colla
voce, mentre sollevano in alto e lasciano piombare il battente che cade sonante
sul palo, nel punto che il ritornello finisce; dimodoché
quei colpi formano per così dire il metro che misura in cadenza la lor barbara musica.
Le due canzoni surriferite sono
delle meno imbrogliate; di quelle ch'han più filo e sentimento; le altre, che
riportiamo qui sotto, compongono una selva di spropositi, di versi lunghi
e corti, di rime che Apollo n'abbia misericordia. Ma lo spirito di patria o di
religione le domina tutte quante; e v'han sempre dentro allusioni o a vittorie
riportate, o a sdegni con nemiche nazioni, e principalmente co'
turchi, che i veneziani abborrirono mai sempre
come i loro più acerrimi nemici. Vi si nominano ordinariamente, il Signore
Iddio, la Vergine, s.Marco, e quasi tutti i santi del
martirologio, se il canto si prolunga per alcune ore di seguito.
Sovente essendomi io stesso
arrestato per lungo tempo ad ascoltare la canzone del batti-palo, rimasi in
dubbio se non forse alcune di queste fossero improvvisate al momento da quello
fra que' poveri artigiani che ha più vena e fantasia;
né avrei punto maravigliato di trovare anche fra i
batti-pali de' poeti, essendo in un secolo dove i vati spuntano come i funghi.
Ma udendo poi altrove le stesse
parole, quasi una per una ripetute, ebbi invece a convincermi che quei canti,
per lunghi che sieno, son veramente canti
tradizionali, mandati, da chi meglio e da chi peggio, a memoria.
Il senso di questi che riferiamo,
mostra pur chiaro che provengono dai tempi della repubblica, e che il popolo li
ritenne.
Così anche per estrarre i pali
dall'acqua, allorché fa di bisogno rimetterne de' nuovi, hanno i batti-pali la
loro canzone apposita.
Eccone qui cinque non certo indegne
di rimarco.”
El se sicura eh! eh!
assicurando eh! eh!
deghe una bota
eh! eh!
deghene un'altra eh! eh!
e un'altra ancora eh! eh!
che la se senta eh! eh!
sin a le porte eh! eh!
del'arsenal
eh! eh!
dove vien fora eh! eh!
vaseli e neve eh! eh!
brick e fregate eh! eh!
va in alto mare eh! eh!
a contrastare eh! eh!
contra el
nemico eh! eh!
l'è el turco
cane eh! eh!
e Alessandrino eh! eh!
ch'el magna
porco eh! eh!
e el beve
vino eh! eh!
e po' rosolio eh! eh!
de maraschino eh! eh!
|
Isselo in alto eh! eh!
fin al capelo
eh! eh!
e poi lasselo
eh! eh!
andare abasso
eh! eh!
ne le caverne eh! eh!
orende e scure eh! eh!
dove nol
vede eh! eh!
né sol né luna eh! eh!
né manco almen
eh! eh!
persona alcuna eh! eh!
de questo mondo eh! eh!
che è fato tondo eh! eh!
come la luna eh! eh!
la luna e el
sole eh! eh!
che guida in mare eh! eh!
a trionfare eh! eh!
co la speranza eh! eh!
e la costanza eh! eh!
che Dio concede eh! eh!
a chi ga
fede eh! eh!
e ben lo prega eh! eh!
né mai se nega eh! eh!
né casca in man eh! eh!
del turco can eh! eh! |
Quella che segue si canta nell'estrarre
i pali dal terreno.
Da bravi puti eh! eh!
da brava zente
eh! eh!
che Dio ne agiusti
eh! eh!
no pensé gnente eh! eh!
raccomandeve eh! eh!
col cuor in mente eh! eh!
a la divota
eh! eh!
orazione eh! eh!
che la se dise
eh! eh!
tre volte al zorno
eh! eh!
a la matina
eh! eh!
a mezzo zorno
eh! eh!
e po la era
eh! eh!
l'avemaria eh! eh!
forza e coragio
eh! eh!
ch'el pal vien via eh! eh!
|
Deghe una bota,
e fé che se ghe senta
el rimbombo in laguna
e sul canal;
deghene un'altra ancora
e un'altra spenta,
che se senta al porton
dell'arsenal,
dove i fa galere
che spaventa
el turco can,
nemigo universal,
e l'Algeria corsaro,
e el Marochin
che a bordo el
magna porco
e el beve
vin.
|
Da bravi isselo
in alto,
in alto isselo
fino al capelo,
e dopo andar lasselo;
lassé ch'el vaga abbasso
e ch'el se
interna
de Cafurlon
nell'orida
caverna,
dove nol
vede
spechio de laguna,
né la fazza
del sol
né de la luna
|