Quando ero in seconda media ai “Cavanis”, per onorare la visita del
Patriarca, abbiamo imparato una Santa Messa a quattro voci, naturalmente
in latino. Quando l’abbiamo cantata ( in seicento), il Rio Terà Santa
Agnese era gremito di gente, che sicuramente mai aveva sentito un
volume di voci di quella portata.
Molti anni più tardi, nel 1962 , in occasione del cinquantenario della
ricostruzione del campanile di S.Marco, duemila alunni veneziani, fra i
quali quelli della classe quinta, nella quale io insegnavo, hanno
cantato: “Torre degli avi, faro di gloria” di Benedetto Marcello.
Lascio a voi immaginare scenario ed effetto sonoro.
Sempre in quel periodo ho avuto la fortuna di ascoltare il “Dies irae”,
cantato dai Frati di S.Francesco del Deserto, che a quei tempi erano
ancora una dozzina. L’ambiente era sicuramente più raccolto, ma la
solennità e la potenza di quel brano, unite al terribile significato di
quelle parole latine, hanno scolpito nella mia mente delle immagini al
cui ricordo mi viene ancora la pelle d’oca.
Ma mi è venuta anche poco fa, ascoltando il mio Coro (concedetemi di
considerarlo ancora il “mio” Coro) nella sua prima esecuzione del
“Pater Noster” di Igor Strawinsky nella Chiesa di Altobello, in
Mestre.
Ho fatto questa lunga premessa, perché l’amico Sergio invita tutti i
coristi ad esprimere un’opinione sulla profonda diversità di questo
brano rispetto all’abituale repertorio proprio del Marmolada e di tutti
i Cori che si definiscono Alpini o comunque popolari.
Io francamente non sento alcun disagio, anzi penso che cimentarsi con il
Gregoriano sia un’esperienza che tutti i cori dovrebbero provare.
Allora forse si accorgerebbero che varie melodie, che noi riteniamo
nuove, hanno le radici che attingono a quelle liturgie, che altro non
sono se non la profonda voglia, anzi la necessità di usare la voce non
solo per intimo compiacimento, ma anche per rivolgersi agli altri (
prima fra tutti la divinità) in modo corale, cioè “religioso”, dal
momento che “religione” significa proprio “unione”
E
per tornare al “repertorio”, non è forse vero che abbiamo cantato
delle Ave Marie in sardo e in latino? E “Lettere d’amore” e
“Les plaisirs sont doux” sono forse canti degli alpini?
“Gran Dio dame ‘na barca”
ci ha fatto “vedere” la nostra Laguna, mentre nelle nostre menti avevamo
“lis cretis”. . . “belle rose du printemps”. . .
E
Bepi De Marzi ha scritto la sua più bella canzone “. . . e canterà
più alto delle stelle. . . “ pensando e facendoci pensare di
ritrovarci in una immensa cattedrale, con le montagne per pareti e “La
Marmolada “ per altare.
Avrebbe potuto anche scriverla in Latino.
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Durante
una prova, pochi mesi fa, Claudio ci disse: "Proviamo questo" e,
detto fatto, iniziò, con una voce, a cantare "Pater noster qui es in
coelis"; la ripeté e provò subito con una voce. Tutti gli altri
coristi ascoltavano, alcuni un po' scettici (bastava vedere le loro
facce) altri incuriositi. Preparata una voce, nel giro di pochi minuti,
impostò subito un'altra e, quindi, le mise assieme. Già a due voci si
capiva subito che l'armonia era qualcosa di speciale ed anche gli
scettici apparvero meno scettici. Prima di passare alle altre due voci
Claudio ci rivelò che si trattava del "Pater noster" di Igor
Stravinskij[1]
nell'adattamento per voci pari virili di Gianni Malatesta. Già questa
informazione servì ad entusiasmare alcuni e a rassicurare gli altri. È
chiaro che lo scetticismo faceva parte del pensiero di coloro che, più
di altri, sono legati al "classico" modo di cantare dei cori
detti oggi "d'ispirazione popolare" e che un canto in latino, di
origine gregoriana, pur se sviluppato ed armonizzato da un musicista di
chiara fama, poteva sembrare un qualcosa di fuori luogo. Ma, aggiunte
le altre due voci e provate solo le prime battute a coro completo, tutti
si convinsero di eseguire un brano importante, un brano armonicamente
molto bello e questa convinzione aumentò aggiungendo altre battute. Nel
giro di altre due prove riuscimmo a completarlo, almeno per quanto
riguardava la lettura e l'apprendimento "grezzo" delle parti, non
difficili. Quello che invece comprendemmo subito fu che non bastava aver
appreso le parti, ma che serviva un'assimilazione dell'assieme e,
soprattutto, seguire quella che era l'interpretazione che il
"maestro" Claudio voleva dare. E questa è appunto la difficoltà del
"Pater noster".
Accennavo
all'origine gregoriana e questo genere musicale, si serve della
"parola cantata" nel rivolgersi alla divinità; tale fatto non è una
prerogativa della sola Chiesa Cattolica, ma di tutte le religioni
costituite. La melodia del canto gregoriano deriva dalla salmodia
ebraica influenzata dall'arte greca[2]
e romana.
Scriveva
Cicerone "Est autem in dicendo etiam quidam cantus obscurior" :
"C'è nella parlata un certo qual canto piuttosto indefinito". Il canto,
perciò, sarebbe la veste fonica del linguaggio durante le emozioni
eccezionali della sfera estetica e sentimentale; l'uomo nel comunicare
con l'extrasensibile, col divino, deve trovarsi posseduto da un profondo
stato emotivo e, quindi, eleva la preghiera verbale alla sonorità del
canto. Il testo latino ecclesiastico con i suoi accenti già di per sé è
una melodia, melodia che, trascritta con i neumi, era quasi
esclusivamente ad una voce; poi il papa San Gregorio Magno[3]
codificò il genere musicale che prese appunto il suo nome.
Ora tutti
i coristi sono soddisfatti di questo brano, pure se di tipo "diverso"
da quelli del nostro solito repertorio, e, anche se già eseguito durante
la liturgia in ricordo dei coristi "andati avanti"[4],
lo presenteremo ufficialmente durante i prossimi concerti di Natale
sicuri del successo: la buona e bella musica, di qualsiasi tipo, è
sempre valida.
[1]
Igor' Fëdorovič Stravinskij nacque a Oranienbaum (oggi
Lomonosov),
nelle vicinanze di
San Pietroburgo,
in
Russia,
nel 1882 . Morì a New York il
6
aprile
1971,
a ottantotto anni. Per sua espressa richiesta, la sua tomba è
vicina a quella del suo collaboratore di vecchia data, Diaghilev,
a
Venezia
nell'isola di
San Michele.
[2]
Fino al 270 d.C. circa, la lingua ufficiale del culto cristiano
fu la greca e solo dopo la latina.
[3]
Papa Gregorio Magno (540 - 604) sia con la rivoluzione musicale
ed anche per molto altro trasformò la Chiesa da "romana" ad
"europea".
[4]
6 novembre 2012 presso la Chiesa di Altobello in Mestre
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Martedì 6 novembre, in occasione della celebrazione liturgica in ricordo
dei nostri maestri e di tutti i coristi del Marmolada “andati avanti”,
abbiamo eseguito per la prima volta in pubblico l'ultima nostra
“fatica”. Si tratta del celeberrimo “Pater Noster” di Igor Stravinsky.
Erano anni che avevo in animo di tentare di eseguire con il nostro coro
un brano così impegnativo e così distante dalla classicità del nostro
repertorio di canti di ispirazione popolare, ma, una serie di dubbi mi
avevano sempre trattenuto dal farlo.
Il primo dubbio che mi assillava era su come avrebbero reagito i
coristi a questa musicalità e sonorità così distanti dalla nostra
tradizione, perché è assodato che se il nostro coro, non “sente” un
brano, per quanto valido possa essere, non si riesce ad acquisirlo. Nel
corso degli anni, e questo lo sanno bene tutti i coristi passati e
presenti, è accaduto molte volte.
Un altro dubbio riguardava la capacità del coro, come diceva Lucio a
proposito del “Puer natus”, a “togliersi il cappello di alpino ed
indossare mentalmente il saio” che, tradotto in altre parole, sta a
significare la capacità di cambiare totalmente gli schemi esecutivi ed
interpretativi. Di non poco conto erano le difficoltà tecniche
rappresentate in alcuni punti da dissonanze e successioni di accidenti
musicali.
L'ultimo riguardava me stesso; sarei riuscito a tradurre attraverso la
gestualità e le indicazioni tecniche tutto quanto necessario per
eseguire in modo adeguato tale brano?
Ed una sera di fine maggio, quasi al termine della prova, ho lanciato il
sasso. Ho proposto la lettura delle prime quattro battute del brano:
“Pater noster qui es in coelis” dalle quali emerge immediatamente tutta
la moderna musicalità del brano.
Direi che, quasi come per incanto, i coristi sono rimasti affascinati
dalle sonorità e dalla musicalità del brano, e questo mi ha convinto a
proseguire nello studio del brano.
La lettura e l'apprendimento del brano è stata molto veloce, sintomo
questo di un notevole gradimento.
Conclusa l'acquisizione del brano, risultava fondamentale curarne
l'esecuzione e l'interpretazione.
Ho spiegato ai coristi che Stravinsky possedeva una forte personalità ed
uno stile molto originale legati alla capacità di reinterpretare e
rielaborare la musica tradizionale.
In questo caso, il Pater noster tratto dalla tradizione gregoriana, pur
essendo stato così modernamente rielaborato, a mio giudizio, andava
eseguito rispettando la metrica del testo tipica del canto gregoriano
con il massimo controllo dell'emissione sonora, la massima fusione tra
le varie voci ed una dinamica musicale che non poteva rimanere vincolata
nella metrica delle battute.
Abbiamo lavorato molto, ed alla fine ci siamo presentati al pubblico.
Saremo riusciti nel nostro intento?
Al nostro pubblico la risposta.
A conclusione di tutto quanto sopra voglio esprimere a tutti i coristi
il mio ringraziamento per l'impegno e partecipazione dimostrata.
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