Il PATER NOSTER di Igor Strawinskij                                                                                                                                   Torna all'elenco

di Toni Dittura

di Sergio Piovesan di Claudio Favret

Quando ero in seconda media ai “Cavanis”, per onorare la visita del Patriarca, abbiamo imparato una Santa Messa a quattro voci, naturalmente in latino. Quando l’abbiamo cantata ( in seicento), il Rio Terà Santa Agnese  era gremito di gente, che  sicuramente mai aveva sentito un volume di voci di quella portata.

Molti anni più tardi, nel 1962 , in occasione del cinquantenario della ricostruzione del campanile di S.Marco, duemila alunni veneziani, fra i quali quelli della classe quinta, nella quale  io insegnavo, hanno cantato: “Torre degli avi, faro di gloria” di Benedetto Marcello.

Lascio a voi immaginare scenario ed effetto sonoro.

Sempre in quel periodo ho avuto la fortuna di ascoltare il “Dies irae”, cantato  dai Frati di S.Francesco del Deserto, che  a quei tempi erano ancora una dozzina. L’ambiente era sicuramente più raccolto, ma la solennità  e la potenza di quel brano, unite al terribile significato di quelle parole latine, hanno scolpito nella mia mente delle immagini al cui ricordo  mi viene ancora la pelle d’oca.

Ma mi è venuta anche poco fa, ascoltando il mio Coro (concedetemi di considerarlo ancora il “mio” Coro) nella sua prima esecuzione del “Pater Noster”  di Igor Strawinsky nella Chiesa di Altobello, in Mestre.

Ho fatto questa lunga premessa, perché l’amico Sergio invita tutti i coristi ad esprimere un’opinione sulla profonda diversità di questo brano rispetto all’abituale repertorio proprio del Marmolada e di tutti i Cori che si definiscono Alpini o comunque popolari.

Io francamente non sento alcun disagio, anzi penso che cimentarsi con il Gregoriano sia un’esperienza che tutti i cori dovrebbero provare.

Allora forse si accorgerebbero che varie melodie, che noi riteniamo nuove, hanno le radici che attingono a quelle liturgie, che altro non sono se non la profonda voglia, anzi la necessità di usare la voce non solo per intimo compiacimento, ma anche per  rivolgersi agli altri ( prima fra tutti la divinità) in modo corale, cioè “religioso”, dal momento che  “religione” significa proprio “unione”

E per tornare al  “repertorio”, non  è forse vero che abbiamo cantato delle Ave Marie in sardo e in latino? E “Lettere d’amore” e “Les plaisirs sont doux” sono forse canti degli alpini?

“Gran Dio dame ‘na barca” ci ha fatto “vedere” la nostra Laguna, mentre nelle nostre menti avevamo “lis cretis”. . . “belle rose du printemps”. . .

E Bepi De Marzi ha scritto la sua più bella canzone  “. . . e canterà più alto delle stelle. . . “ pensando e facendoci pensare di ritrovarci in una immensa cattedrale, con le montagne per pareti e  “La Marmolada “ per altare.

Avrebbe potuto anche scriverla in  Latino.

 

Durante una prova, pochi mesi fa, Claudio ci disse: "Proviamo questo" e, detto fatto, iniziò, con una voce, a cantare "Pater noster qui es in coelis"; la ripeté e provò  subito con una voce. Tutti gli altri coristi ascoltavano, alcuni un po' scettici (bastava vedere le loro facce) altri incuriositi. Preparata una voce, nel giro di pochi minuti, impostò  subito un'altra e, quindi, le mise assieme. Già a due voci si capiva subito che l'armonia era qualcosa di speciale ed anche gli scettici apparvero meno scettici. Prima di passare alle altre due voci Claudio ci rivelò che si trattava del "Pater noster" di Igor Stravinskij[1] nell'adattamento per voci pari virili di Gianni Malatesta. Già questa informazione servì ad entusiasmare alcuni e a rassicurare gli altri. È chiaro che lo scetticismo faceva parte del pensiero di coloro che, più di altri, sono legati al "classico" modo di cantare dei cori detti oggi "d'ispirazione popolare" e che un canto in latino, di origine gregoriana, pur se sviluppato ed armonizzato da un musicista di chiara fama,  poteva sembrare un qualcosa di fuori luogo. Ma, aggiunte le altre due voci e provate solo le prime battute a coro completo, tutti si convinsero di eseguire un brano importante, un brano armonicamente molto bello e questa convinzione aumentò aggiungendo altre battute. Nel giro di altre due prove riuscimmo a completarlo, almeno per quanto riguardava la lettura e l'apprendimento "grezzo" delle parti, non difficili. Quello che invece comprendemmo subito fu che non bastava aver appreso le parti, ma che serviva un'assimilazione dell'assieme e, soprattutto, seguire quella che era l'interpretazione che il "maestro" Claudio voleva dare. E questa è appunto la difficoltà del "Pater noster".

Accennavo all'origine gregoriana e questo genere musicale, si serve della "parola cantata" nel rivolgersi alla divinità; tale fatto non è una prerogativa della sola Chiesa Cattolica, ma di tutte le religioni costituite. La melodia del canto gregoriano deriva dalla salmodia ebraica influenzata dall'arte greca[2] e romana.

Scriveva Cicerone "Est autem in dicendo etiam quidam cantus obscurior" : "C'è nella parlata un certo qual canto piuttosto indefinito". Il canto, perciò, sarebbe la veste fonica del linguaggio durante le emozioni eccezionali della sfera estetica e sentimentale; l'uomo nel comunicare con l'extrasensibile, col divino, deve trovarsi posseduto da un profondo stato emotivo e, quindi, eleva la preghiera verbale alla sonorità del canto.  Il testo latino ecclesiastico con i suoi accenti già di per sé è una melodia, melodia che, trascritta con i neumi, era quasi esclusivamente ad una voce; poi il papa San Gregorio Magno[3] codificò il genere musicale che prese appunto il suo nome.

Ora tutti i coristi sono soddisfatti di questo brano, pure se di tipo "diverso" da quelli del nostro solito repertorio, e, anche se già eseguito durante la liturgia in ricordo dei coristi "andati avanti"[4], lo presenteremo ufficialmente durante i prossimi concerti di Natale sicuri del successo: la buona e bella musica, di qualsiasi tipo, è sempre valida.             


 

[1] Igor' Fëdorovič Stravinskij  nacque a Oranienbaum (oggi Lomonosov), nelle vicinanze di San Pietroburgo, in Russia, nel 1882 . Morì a New York il 6 aprile 1971, a ottantotto anni. Per sua espressa richiesta, la sua tomba è vicina a quella del suo collaboratore di vecchia data, Diaghilev, a Venezia nell'isola di San Michele

[2] Fino al 270 d.C. circa, la lingua ufficiale del culto cristiano fu la greca e solo dopo la latina. 

[3] Papa Gregorio Magno (540 - 604) sia con la rivoluzione musicale ed anche per molto altro trasformò la Chiesa da "romana" ad "europea".  

[4] 6 novembre 2012 presso la Chiesa di Altobello in Mestre

 

Martedì 6 novembre, in occasione della celebrazione liturgica in ricordo dei nostri maestri e di tutti i coristi del Marmolada “andati avanti”, abbiamo eseguito per la prima volta in pubblico l'ultima nostra “fatica”. Si tratta del celeberrimo “Pater Noster” di Igor Stravinsky.

Erano anni che avevo in animo di tentare di eseguire con il nostro coro un brano così impegnativo e così distante dalla classicità del nostro repertorio di canti di ispirazione popolare, ma, una serie di dubbi mi avevano sempre trattenuto dal farlo.

Il primo dubbio che mi assillava era su come avrebbero reagito i coristi  a questa musicalità e sonorità così distanti dalla nostra tradizione, perché è assodato che se il nostro coro, non “sente” un brano, per quanto valido possa essere, non si riesce ad acquisirlo. Nel corso degli anni, e questo lo sanno bene tutti i coristi passati e presenti, è accaduto molte volte.

Un altro dubbio riguardava la capacità del coro, come diceva Lucio a proposito del “Puer natus”, a “togliersi il cappello di alpino ed indossare mentalmente il saio” che, tradotto in altre parole, sta a significare la capacità di cambiare totalmente gli schemi esecutivi ed interpretativi. Di non poco conto erano le difficoltà tecniche rappresentate in alcuni punti da dissonanze e successioni di accidenti musicali.

L'ultimo riguardava me stesso; sarei riuscito a tradurre attraverso la gestualità e le indicazioni tecniche tutto quanto necessario per eseguire in modo adeguato tale brano?

Ed una sera di fine maggio, quasi al termine della prova, ho lanciato il sasso. Ho proposto la lettura delle prime quattro battute del brano: “Pater noster qui es in coelis” dalle quali emerge immediatamente tutta la moderna musicalità del brano.

Direi che, quasi come per incanto, i coristi sono rimasti affascinati dalle sonorità e dalla musicalità del brano, e questo mi ha convinto a proseguire nello studio del brano.

La lettura e l'apprendimento del brano è stata molto veloce, sintomo questo di un notevole gradimento.

Conclusa l'acquisizione del brano, risultava fondamentale curarne l'esecuzione e l'interpretazione.

Ho spiegato ai coristi che Stravinsky possedeva una forte personalità ed uno stile molto originale legati alla capacità di reinterpretare e rielaborare la musica tradizionale.

In questo caso, il Pater noster tratto dalla tradizione gregoriana, pur essendo stato così modernamente rielaborato, a mio giudizio, andava eseguito rispettando la metrica del testo tipica del canto gregoriano con il massimo controllo dell'emissione sonora, la massima fusione tra le varie voci ed una dinamica musicale che non poteva rimanere vincolata nella metrica delle battute.

Abbiamo lavorato molto, ed alla fine ci siamo presentati al pubblico. Saremo riusciti nel nostro intento?

Al nostro pubblico la risposta.

A conclusione di tutto quanto sopra voglio esprimere a tutti i coristi il mio ringraziamento per l'impegno e partecipazione dimostrata.