MARMOLEDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia - Ottobre 2013 . Anno 15 n.3 (57)                  

 

SU LA RIVA DE BIASIO

 

di Sergio Piovesan

 

Sul libro "Canti del popolo veneziano" di Iacopo Foscarini, stampato nel 1844, sul quale sono riportate numerose "canzonette o villotte alla veneziana" ho trovato due strofe -che non sono villotte[1]- e che, fra loro sono collegate. La prima, in particolar modo, richiama un'orrenda storia di un "orco", non trovo altro termine per definire il famoso "Biasio luganegher"[2], che proprietario di un'osteria, una bettola, preparava un intingolo usando carne umana, più precisamente carne di bambini. La storia è molto conosciuta a Venezia ed una località, probabilmente nelle vicinanze della casa di Biasio, si chiama appunto "Riva de Biasio".

Oggi è una fondamenta di circa duecento metri lungo il Canal Grande, una delle poche su queste acque; ma le condizioni attuali sono ben diverse da quelle di una volta. Infatti molti spazi che davano sul Canal Grande, ma non solo, non erano fondamente, cioè strade lastricate lungo un canale, ma rive che degradavano verso l'acqua. Anche la famosa pianta prospettica del De Barbari del '500 mostra questa caratteristica che troviamo anche in altri quadri di artisti famosi dell'antichità relativamente ad altri luoghi. (v."La Scuola della Carità" del Canaletto).

Il testo, senz'altro popolare e di prima dell'800, mette in evidenza una situazione abbastanza diffusa in quei periodi; senz'altro gran parte del popolo abitava a piano terra in case non troppo sane e dove girava poca aria. Quindi, in caso di estati afose e umide, era quasi impossibile vivere tutto il giorno dentro casa, soprattutto per i bambini e per le mamme. Ed allora, come anche oggi, una passeggiata lungo una riva vicina all'acqua e magari con un leggero alito di vento, era il toccasana contro la calura. Forse la madre era un po' ansiosa o, come si direbbe oggi, il parto aveva lasciato qualche conseguenza depressiva. Ed ecco che subito le viene alla mente il feroce Biasio, tanto che le sembra di vederlo già pronto con il coltello in mano per usarlo contro il suo bambino.

L'autore della prefazione del libro sostiene che i canti veneziani sono quasi tutti in tono minore  in quanto "....pare che i Veneziani abbandonandosi  all'affetto, si tingano per naturale inclinazione d'una lieve malinconia, che trasfonde in chi l'ascolta maggior tenerezza....". 

Ma è con la seconda strofa -profondamente diversa- nella quale interviene il marito, che cambia l'atmosfera e, quindi -penso- anche la tonalità! È lui che, con baldanza, vuole rincuorare la moglie alla quale propone di andare a prendere il fresco a San Basegio, dalla parte opposta della città, assieme ai Nicoloti, gli abitanti di quella zona, pescatori, e dove, in una bettola famosa, si può bere anche un buon bicchiere di vino.

Dalla tristezza all'allegria, questa è la certezza del testo, ma è anche la certezza di chi legge queste due bellissime espressioni popolari, e di chi le ascolta.

Ma qui, come si dice, casca l'asino!  Quale sarà la melodia di questa canzone? L'autore citato all'inizio afferma che non esistono tracce musicali; purtroppo, col passare del tempo, queste sono andate perse, come tante altre arie a Venezia[3].

Ed allora perché non trovare una nuova melodia, magari ispirata a qualche antica melodia veneziana -ma forse non è necessario- o legata semplicemente al testo?

Armonizzarla poi per coro virile appare un po' difficile, soprattutto la prima strofa dove la protagonista è la madre; ma tanti canti della tradizione sono stati impostati per coro virile anche se protagoniste sono le donne.

Ed allora, perché qualche musicista, preferibilmente veneziano, o con la sensibilità veneziana, non ci prova?

 


[1] La forma poetica della villotta è quella chiusa di quattro ottonari alternati piani (primo e terzo) e tronchi (secondo e quarto)

[2] V. "Curiosità veneziane"del Tassini alla voce "Riva de Biasio"

[3] Scrive il Pullè nella prefazione al libro del Foscarini " .... ! la fatal moda che ogni cosa invade e scompiglia; le sovrabbondanti melodie, ed i cori rubati al teatro che rimbomba di sempre nuova musica, la vinsero; e fecero dimenticare, o trasandare a' buoni Veneziani, la cara semplicità de' loro canti primitivi,..."