Marmoléda

Marmoléda ch'el soregie
de ses raies incorona
de silenzes fond resona
le to giazzes incantà
Ma dal mont un cant se leva
l'è la vos de Conturina
la pì bela, la reina
lusa stela del Trentin
Son de sas e no me meve
son de crepa in
Marmoléda
son 'na fia arbandoneda
e no so par che reson
Cala not in Marmoléda
tuto tas in te la sera
ma un lament una preiera
salza su dal cor del mont
son de sas el sol me brusa
son de crepa not me gela
tremarà l'ultima stela
ma mi eterna cantarò
tremarà l'ultima stela
ma mi eterna cantarò...
Cantarò!!!

La leggenda di Conturina

(da "I monti pallidi" di Carlo felice Wolff)

Nella valle del Contrin, adagiata ai piedi dell’immensa parete verticale della Marmoléda, vive ancora il ricordo della leggenda di Conturina, la splendida fanciulla vittima della propria bellezza e dell’odio della matrigna.

La matrigna di Conturina era una nobile e ricca signora, padrona di un castello e madre di due brutte ragazze. Molti giovani principi e cavalieri venivano in visita al castello: tutti ammiravano Conturina e nessuno guardava le altre due. La castellana, indispettita di vedere le sue figlie sempre trascurate, un bel giorno ordinò a Conturina di non pronunziare più una parola in presenza degli ospiti. E disse a tutti che la ragazza era muta e stupida.

Ma principi e cavalieri continuarono ad ammirare Conturina, e Conturina soltanto. Allora la matrigna ordinò che quando vi fossero ospiti in casa, Conturina restasse sempre immobile. E disse a tutti che la figliastra era muta, stupida e paralitica.

Ma i giovani visitatori ammirarono anche così la fanciulla bellissima. La castellana, furente, mandò a chiamare una strega, la quale con un incantesimo trasformò Conturina in pietra.

Ma principi e cavalieri s’innamorarono della statua stupenda ed ebbero sguardi soltanto per lei. Allora la matrigna diede ordine che la fanciulla impietrita venisse portata sopra un’altissima rupe che domina il Passo di Ombretta; che venisse infitta nella roccia e abbandonata lassù. E così fu fatto.

Mesi e anni passarono senza che nessuno sapesse dove fosse andata a finire la povera Conturina. Ma dopo alcuni anni fra i pastori si cominciò a dire che nella solitudine di Valle Ombretta qualche volta si udiva un canto di donna. E una note un giovane soldato, che faceva la sentinella sul Passo, nel silenzio profondo riuscì a comprendere anche le parole del canto, nel quale Conturina raccontava la sua storia. Il soldato le gridò che allo spuntar del giorno si sarebbe arrampicato fino a lei, per liberarla.. Ma Conturina gli rispose che era troppo tardi. Nei primi sette anni la sua liberazione sarebbe stata possibile; ma alla fine del settimo anno l’incantesimo si era fatto insolubile e nessuna forza umana sarebbe valsa ormai a staccarla da quella rupe, dove era suo destino rimanere per sempre. E così fu. Qualche volta, chi passi per quel deserto di rocce che è la Valle Ombretta, specialmente di sera, ode ancora il mesto canto della povera Conturina.

Questa leggenda era ricordata in particolar modo dalle "resteleris" le ragazze che rastrellano il fieno; le quali, lavorando nei campi, solevano cantare la canzone di Conturina. Oggi la canzone è quasi tutta perduta; una sola strofa ne sopravvive:

"Son de sass e non me meve,

son de crepa en Marmoléda,

son na fia arbandoneda

e no sê per che resòn."

Attorno all’unica strofa rimasta della canzone di Conturina, Ugo Pomarici, corista degli anni sessanta, scrisse altre strofe e le mise in musica. Massimo De Bernart, allora giovane studente al Conservatorio "B.Marcello" ed oggi direttore d’orchestra, armonizzò per noi il pezzo che, da allora, con il titolo di "Marmoléda", divenne la nostra sigla.

 

 

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