di Sergio Piovesan
Premessa
Gli articoli 1 e 2 della legge n. 211 del 20 luglio 2000 definiscono così
le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria:
« La Repubblica
italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di
Auschwitz, "Giorno della
Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo
ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli
italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché
coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto
di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e
protetto i perseguitati. »
In occasione del "Giorno della Memoria"
tutte le cerimonie e iniziative sono organizzate affinché simili eventi non
possano mai più accadere.
E poi ancora la legge 30 marzo
2004, n. 92 con la quale " ....
La
Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno
del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia
degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre
degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo
dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.".
"Per non dimenticare"
Una premessa strana, penserà qualcuno, per
"raccontare" un canto, nella fattispecie un canto degli alpini. Non
tanto strana, invece, affermo; non tanto strana perché il 27 gennaio ed il 10
febbraio sono due date che servono a ricordare eventi terribili perché gli
stessi non debbano più avverarsi.
Vi sarebbero tante altre date, o periodi, da ricordare. Ed è
appunto per questo motivo che il Coro
Marmolada, ma anche altri cori dello stesso tipo (cori "popolari" o
"d'ispirazione popolare"), canta anche i cosiddetti
"canti degli alpini" definiti da alcuni "canti di guerra".
Apriamo una parentesi proprio sui cosiddetti "canti di guerra": sono
questi veramente canti di questo tipo? Ne abbiamo trattato ampiamente, anche in
un concerto a tema, con l'intervento di personalità esterne al mondo dei cori e
degli alpini, e si è convenuto che proprio non lo sono e che, invece, sono
soprattutto canti d'amore, di nostalgia e di speranza.
Quest'anno ed anche nei successivi quattro si ricorderà il
centenario della prima guerra mondiale, una guerra che fu soprattutto un
"macello" (anche tutte le altre guerre sono state dei macelli più o meno ampi,
ampiezza che dipese dal numero degli stati che si scontrarono) e le
manifestazioni saranno molteplici e di svariati generi: seminari di studio,
conferenze storiche, rappresentazioni teatrali, ricordi di particolari fatti e
musica nella quale vanno inseriti anche i concerti corali.
Il corpo degli alpini, fondato nel 1872
per "la difesa dell'arco alpino",
ebbe il "battesimo del fuoco" nel 1896 ad Adua in Etiopia (dei
954 alpini partiti dall'Italia sotto il comando del tenente colonnello Davide Menini, ne rimasero vivi solo 92) e tornarono in
Africa (Libia) nel 1911 quando l'Italia, la cui classe politica dirigente
aveva ambizioni coloniali, decise di
impadronirsi della Tripolitania e della Cirenaica, due province dell'ormai
decadente impero ottomano. Ed è proprio in questa guerra che nacque il canto
denominato "Alpini in Libia" (vedi testo a margine) il cui titolo
originale era "Il Vascello di Savoia" (vedi
http://www.coroanamilano.it/public/canto.asp?cod=8 ) la nave che
trasportava una delle formazioni alpine (Battaglione Saluzzo) ed infatti il
canto inizia con il verso "E la nave
s'accosta pian piano ...".
Si dice che il canto sia opera di un
anonimo alpino del battaglione Saluzzo dopo la battaglia di Uadi Derna vinta dalle truppe italiane che inflissero ai turchi
una dura sconfitta. Un verso, pertanto,
risulta un po' trionfalistico (" ... i turchi fuggivano gridando:
alpini abbiate pietà.") ma subito dopo "... Sulle dune coperte di sabbia i tuoi alpini, o Italia,
morivano ma nelle veglie ancor ti sognavano, con la morosa e la mamma nel
cuor." , verso che riporta
il canto nei sentimenti che prendevano sempre i soldati lontani da casa e dagli
amori mentre venivano mandati a combattere sul suolo straniero -in questo caso
sulle dune sabbiose e non sulle montagne di casa- una guerra della quale non
conoscevano neppure il perché.
"E
la nave s'accosta pian piano, salutando Italia sei bella al vederti mi sembri
una stella, o morosa ti debbo lasciar." L'inizio del canto dimostra sì
un sentimento di amor patrio che, però, subito si trasforma nel pensiero della
morosa rimasta a casa. Ma subito un richiamo all'obbedienza " ... i turchi son là"
preceduto dalla formalità del saluto del capitano. E poi la descrizione del
campo di battaglia con il "rombo del cannon"
dove risuonavano anche le trombe degli alpini che avanzavano con le penne al
vento "... le nostre trombe si
misero a suonare le nostre penne al vento volavano ... ".
"Un
pizzico di tracotante trionfalismo" (definizione presa dal sito del
Coro Ana di Milano che fu diretto per alcuni anni da
Flaminio Gervasi armonizzatore del canto in
questione) nel verso citato sopra, seguito, però, da sentimenti più
dolci, sentimenti che si ritrovano molto spesso nei canti degli alpini.
Il canto in questione, che già il Coro
Marmolada eseguiva negli anni '60 e '70, è stato ripreso recentemente proprio
per inserirlo nei concerti a tema riguardanti il ricordo della prima guerra
mondiale, anche se storicamente fa parte di un'altra campagna bellica che viene
considerata, in ogni caso, per le successive conseguenze (nazionalismo balcanico), una
delle cause dello scatenarsi della guerra che sconvolse l'Europa intera e non
solo.
Concludiamo quindi affermando, per l'ennesima volta, che i
canti degli alpini non sono canti di guerra che, invece, viene ricordata al
solo scopo di evitare che altri conflitti sconvolgano le nostre esistenze e
quelle dei nostri figli.
Alpini in Libia
E la nave s'accosta pian piano, /
salutando Italia sei bella / al vederti mi sembri una stella, / o morosa ti
debbo lasciar.
Allora
il capitano mi allungò / la mano sopra il bastimento, / mi vuol salutare, e poi
mi disse: / i turchi son là.
E
difatti si videro spuntare, / le nostre trombe si misero a suonare / le nostre penne al vento volavano / tra la
bufera e il rombo del cannon.
E a
colpi disperati / mezzi massacrati dalle baionette / i turchi fuggivano
gridando: / alpini abbiate pietà.
Sulle
dune coperte di sabbia / i tuoi alpini, o Italia, morivano / ma nelle veglie
ancor ti sognavano, / con la morosa e la mamma nel cuor.
E col
fucile in spalla / caricato a palla / sono ben armato, paura non ho; / quando
avrò vinto ritornerò!