Esaminando,
in anteprima, alcuni dei questionari compilati dagli studenti di una delle
scuole superiori della provincia di Venezia, sono rimasto non sorpreso delle
risposte date ad una specifica domanda.
“Perché
i giovani non si avvicinano al canto corale popolare?”
Questa la domanda alla quale
la maggioranza, quasi assoluta, ha risposto individuando nel repertorio la
prima causa di questo “fenomeno”.
Del
questionario, dei risultati e di tutto ciò che abbiamo “scoperto” nelle
risposte dei giovani studenti vi daremo ampio resoconto nei prossimi numeri.
Ora,
prendendo come una “giusta causa” il motivo suesposto, ho voluto esaminare
alcuni canti, in particolare quelli del nostro repertorio, ma non solo, in cui
siano preponderanti la tristezza, la malinconia, l’infelicità, il malumore e
quant’altro di più deprimente ci possa essere.
Sono
veramente molti! Preciso subito che non mi riferisco alla parte musicale, alla
melodia ed alle diverse armonie, che, anzi, sono senz’altro più belle di quelle
dei canti cosiddetti allegri. Mi riferirò, ovviamente, ai testi. Prima, però,
mi pongo, e vi pongo, una domanda: “Tutte le altre musiche, sia antiche sia
moderne, canzonette, opere liriche, musica leggera nonché jazz e rock, quando
hanno espresso il meglio se non alla presenza di situazioni come quelle di cui
sopra?”.
Provate
a fare un’indagine e traete i vostri risultati!
Ma
veniamo ora all’esame solo di alcuni dei “nostri” canti, di quelli facenti
parte dei repertori dei cori cosiddetti popolari o d’ispirazione popolare fra i
quali è compreso anche il “Marmolada”. Non prenderò in esame i canti ispirati
alla guerra nella quale non c’è alcunché d’allegro e neppure quelli dedicati
agli amici che “sono andati avanti”.
Ce
n’è uno che, già dal titolo, è tutto un programma; e mi riferisco al famoso “La
sposa morta” nel quale un giovane (“gentil galant”) che sente
suonare la “campana a morto” pensa subito, triste presagio, alla sua
sposa “…sarala forse la mia spuseta / che i la porta a suteré.” Arriva a
casa e, tragica conclusione, “… l’ha trovà la porta sarà.”
Per
restare fra quelli conosciuti da quasi tutti vediamo cosa dice “La
Valsugana”. Parte come un canto spensierato ed allegro ed anche lo è, però,
non può mancare, ad un’affermazione positiva quale “ … la mamma la sta bene,
…”, un immediato seguito, quasi si fosse esagerato nell’ottimismo, “… ma
il papà le ammalato …” e, per finire in rima “ … il mio ben partì
soldato, chissà quando ritornerà.” Anche l’allegro “Quel mazzolin di
fiori”, quando arriviamo alla fine, termina quasi in tragedia, una tragedia
amorosa: “No l’è vegnù da me, / L’è andà dalla Rosina / E perché mi
son poverina /
Mi fa pianger,
sospirar. -
Fa pianger, sospirare / Sul letto dei tormenti / E cosa
mai dirà la gente /
Cosa mai dirà di
me. -
Dirà che son tradita / Tradita nell’onore / E perché mi fa
pianger ‘l core / Mi fa pianger, sospirar.”
Fra i canti di lavoro ecco “Il canto del minatore”, un esempio di come poteva finire chi faceva
quel durò lavoro “… fin che la mina mi ha rovinato …” che conclude con
una preghiera alla protettrice: “O Santa Barbara, prega pei minatori, sempre
in periglio de la lor vita.”
Una carrellata fra alcuni canti provenienti da altre
culture popolari ci propone, come primo esempio, il tristissimo “Elmegyek” (“Me
ne vado”), canto ungherese di una ragazza che deve abbandonare tutto, il
vero amore, il villaggio natio e gli affetti familiari, per seguire il suo
destino di un matrimonio combinato. Un
testo, come si evince dalla traduzione in nota(1) molto
poetico e, forse proprio per questo, molto triste.
Anche “Le prisonnier”, canto francofono,
probabilmente ispirato ad un personaggio realmente esistito durante le
persecuzioni religiose contro le comunità valdesi, ha un testo di elevata
poesia (2) che
raggiunge il massimo nell’ultimo verso “ … la primavera sta rinascendo ed io
(invece) vado a morire.”
Molto diverso è invece “Le plaisirs sont doux”, conosciuto
anche come “La bergère des Aravis”. (3) È l’inno all’amore ed alla
giovinezza, proveniente dalla regione del Massiccio des Aravis –nei pressi
della città di Annecy-, che, nello spirito del “carpe diem” latino, invita alla
bellezza ed alle gioie dell’amore.
Bellissimi, appassionati e gioiosi versi nelle prime due
strofe! Ma alla fine il poeta gioioso, nonché gaudente, ecco diventare profeta,
un profeta di sventura, che preconizza: “ … verrà il tempo in cui anche voi
(giovinetta) rimarrete senza amanti!”
Mi ricorda molto alcuni versi dell’Iliade (“… tempo
verrà, presago el cor m’el dice, che Priamo e tutta la sua gente cada …”).
È proprio il destino dei canti popolari quello, come si dice comunemente ai
giorni nostri, “di portare sfiga!”
Ma anche “Marmoléda”, la nostra sigla, può essere inserita
fra questo genere: in effetti, è la triste storia di una fanciulla colpita da
un maleficio per l’eternità “… Son de sas el sol me brusa, son de crepa not
me gela / tremarà l’ultima stela, ma mi eterna cantarò”.
Non si salvano neppure le ninnananne, che, invece
dovrebbero essere soprattutto rassicuranti. In “Fa la nanna” assistiamo
alla disperazione di una madre, forse dovuta alla depressione, lasciata da sola
a “governare” tutta la famiglia,
tanto che il suggerimento alla figlia, ancora in culla, è quello di non
maritarsi.
Anche “Dormi pitzinnu”,
la ninnananna sarda di recente composizione, che inizia con bellissime
espressioni da parte del padre (“Dormi piccolo e fa sogni d’oro, dormi che
il babbo ti tiene la mano …”), nella seconda parte ricorda, con espressioni
forse un po’ troppo crude per essere dedicate ad un neonato, (“…Dormi
piccolo quanto puoi / E quanto più puoi d'un sonno profondo / Per non vedere le
sofferenze del mando / Perché vi è gente cattiva e adulatrice.”),
che
la gioia di quei momenti è solo temporanea.
Concluderei, per non tediarvi
ancora con troppe malinconie, ricordando solo i “canti di carcere” dei quali il “Marmolada” ha in repertorio un
bellissimo “O cancellier” e tutti quei canti nei quali, soprattutto ingenue
fanciulle, lamentano le loro tragedie d’amore. E sono tanti!
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Note
1)
Lontano, me ne vado per una lunga strada, / lascio questo
villaggio, non ne farò più parte, / perché ho perduto tutto; solo mi resta
l’amaro / di due occhi di pianto - Mi negano l’amore del mio fedele, / tenero
come colomba; vogliono darmi a un altro: / sei buoi lo fanno ricco, nobile un
manto nero. - Ma l’uomo mio che profuma di rosa / Guarda soltanto me e
nessun’altra donna. / Solo che mi baciasse tutto il mondo darei.
2) À
travers le grillage je vois de ma prison, / reverdir les feuillage, fleurir
l'épais gazon. /
Je vois de ma fenêtre
l'hirondelle courir. / Le printemps va renaître, /
et moi je vais mourir!
Ruisseaux
au doux murmures / je vous fait mes adjeux. /
L'éclat de la nature disparait à mes yeux. / Déjà la main du
prêtre est là pour me bénir. / Le printemps va renaître, / et moi je vais
mourir!
3)
Les plaisirs sont doux /
d'être près de vous, la belle. /
Je soupire à vos genoux / je brule
d'amour pour vous! - Peut on voir les yeux /
sans être amoureux, la belle. /
Ils sont doux et gracieux / ils
sont tous remplis de feu. -
Profitez du
temps /
de vous dixhuit ans, la belle. /
Car il deviandrà un temp / où vous serez sans amants.