I canti “della sfiga”  -  Alcune considerazioni dissacranti sui canti del repertorio dei cori d’ispirazione popolare                     Torna all'elenco 

di Sergio Piovesan                                                                      

 

Esaminando, in anteprima, alcuni dei questionari compilati dagli studenti di una delle scuole superiori della provincia di Venezia, sono rimasto non sorpreso delle risposte date ad una specifica domanda.

“Perché i giovani non si avvicinano al canto corale popolare?” Questa la domanda alla quale la maggioranza, quasi assoluta, ha risposto individuando nel repertorio la prima causa di questo “fenomeno”.

Del questionario, dei risultati e di tutto ciò che abbiamo “scoperto” nelle risposte dei giovani studenti vi daremo ampio resoconto nei prossimi numeri.

Ora, prendendo come una “giusta causa” il motivo suesposto, ho voluto esaminare alcuni canti, in particolare quelli del nostro repertorio, ma non solo, in cui siano preponderanti la tristezza, la malinconia, l’infelicità, il malumore e quant’altro di più deprimente ci possa essere.

Sono veramente molti! Preciso subito che non mi riferisco alla parte musicale, alla melodia ed alle diverse armonie, che, anzi, sono senz’altro più belle di quelle dei canti cosiddetti allegri. Mi riferirò, ovviamente, ai testi. Prima, però, mi pongo, e vi pongo, una domanda: “Tutte le altre musiche, sia antiche sia moderne, canzonette, opere liriche, musica leggera nonché jazz e rock, quando hanno espresso il meglio se non alla presenza di situazioni come quelle di cui sopra?”.

Provate a fare un’indagine e traete i vostri risultati!

Ma veniamo ora all’esame solo di alcuni dei “nostri” canti, di quelli facenti parte dei repertori dei cori cosiddetti popolari o d’ispirazione popolare fra i quali è compreso anche il “Marmolada”. Non prenderò in esame i canti ispirati alla guerra nella quale non c’è alcunché d’allegro e neppure quelli dedicati agli amici che “sono andati avanti”.

Ce n’è uno che, già dal titolo, è tutto un programma; e mi riferisco al famoso “La sposa morta” nel quale un giovane (“gentil galant”) che sente suonare la “campana a morto” pensa subito, triste presagio, alla sua sposa “…sarala forse la mia spuseta / che i la porta a suteré.” Arriva a casa e, tragica conclusione, “… l’ha trovà la porta sarà.”

Per restare fra quelli conosciuti da quasi tutti vediamo cosa dice “La Valsugana”. Parte come un canto spensierato ed allegro ed anche lo è, però, non può mancare, ad un’affermazione positiva quale “ … la mamma la sta bene, …”, un immediato seguito, quasi si fosse esagerato nell’ottimismo, “… ma il papà le ammalato …” e, per finire in rima “ … il mio ben partì soldato, chissà quando ritornerà.” Anche l’allegro “Quel mazzolin di fiori”, quando arriviamo alla fine, termina quasi in tragedia, una tragedia amorosa: No l’è vegnù da me, / L’è andà dalla Rosina / E perché mi son poverina / Mi fa pianger, sospirar.  -  Fa pianger, sospirare / Sul letto dei tormenti / E cosa mai dirà la gente / Cosa mai dirà di me. - Dirà che son tradita / Tradita nell’onore / E perché mi fa pianger ‘l core / Mi fa pianger, sospirar.”

Fra i canti di lavoro ecco “Il canto del minatore”,  un esempio di come poteva finire chi faceva quel durò lavoro “… fin che la mina mi ha rovinato …” che conclude con una preghiera alla protettrice: “O Santa Barbara, prega pei minatori, sempre in periglio de la lor vita.”  

Una carrellata fra alcuni canti provenienti da altre culture popolari ci propone, come primo esempio, il tristissimo “Elmegyek” (“Me ne vado”), canto ungherese di una ragazza che deve abbandonare tutto, il vero amore, il villaggio natio e gli affetti familiari, per seguire il suo destino di un matrimonio combinato.  Un testo, come si evince dalla traduzione in nota(1) molto poetico e, forse proprio per questo, molto triste.

Anche “Le prisonnier”, canto francofono, probabilmente ispirato ad un personaggio realmente esistito durante le persecuzioni religiose contro le comunità valdesi, ha un testo di elevata poesia (2)  che raggiunge il massimo nell’ultimo verso “ … la primavera sta rinascendo ed io (invece) vado a morire.”  

Molto diverso è invece “Le plaisirs sont doux”, conosciuto anche come “La bergère des Aravis”. (3) È l’inno all’amore ed alla giovinezza, proveniente dalla regione del Massiccio des Aravis –nei pressi della città di Annecy-, che, nello spirito del “carpe diem” latino, invita alla bellezza ed alle gioie dell’amore.

Bellissimi, appassionati e gioiosi versi nelle prime due strofe! Ma alla fine il poeta gioioso, nonché gaudente, ecco diventare profeta, un profeta di sventura, che preconizza: “ … verrà il tempo in cui anche voi (giovinetta) rimarrete senza amanti!”

Mi ricorda molto alcuni versi dell’Iliade (“… tempo verrà, presago el cor m’el dice, che Priamo e tutta la sua gente cada …”). È proprio il destino dei canti popolari quello, come si dice comunemente ai giorni nostri, “di portare sfiga!”

Ma anche “Marmoléda”, la nostra sigla, può essere inserita fra questo genere: in effetti, è la triste storia di una fanciulla colpita da un maleficio per l’eternità “… Son de sas el sol me brusa, son de crepa not me gela / tremarà l’ultima stela, ma mi eterna cantarò”. 

Non si salvano neppure le ninnananne, che, invece dovrebbero essere soprattutto rassicuranti. In “Fa la nanna” assistiamo alla disperazione di una madre, forse dovuta alla depressione, lasciata da sola a “governare”  tutta la famiglia, tanto che il suggerimento alla figlia, ancora in culla, è quello di non maritarsi.

Anche “Dormi pitzinnu”, la ninnananna sarda di recente composizione, che inizia con bellissime espressioni da parte del padre (“Dormi piccolo e fa sogni d’oro, dormi che il babbo ti tiene la mano …”), nella seconda parte ricorda, con espressioni forse un po’ troppo crude per essere dedicate ad un neonato, (“…Dormi piccolo quanto puoi / E quanto più puoi d'un sonno profondo / Per non vedere le sofferenze del mando / Perché vi è gente cattiva e adulatrice.”), che la gioia di quei momenti è solo temporanea.  

Concluderei, per non tediarvi ancora con troppe malinconie, ricordando solo i “canti di carcere”  dei quali il “Marmolada” ha in repertorio un bellissimo “O cancellier” e tutti quei canti nei quali, soprattutto ingenue fanciulle, lamentano le loro tragedie d’amore. E sono tanti!

 

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Note

1) Lontano, me ne vado per una lunga strada, / lascio questo villaggio, non ne farò più parte, / perché ho perduto tutto; solo mi resta l’amaro / di due occhi di pianto - Mi negano l’amore del mio fedele, / tenero come colomba; vogliono darmi a un altro: / sei buoi lo fanno ricco, nobile un manto nero. - Ma l’uomo mio che profuma di rosa / Guarda soltanto me e nessun’altra donna. / Solo che mi baciasse tutto il mondo darei.

 

2) À travers le grillage je vois de ma prison, / reverdir les feuillage, fleurir l'épais gazon. / Je vois de ma fenêtre l'hirondelle courir. / Le printemps va renaître, / et moi je vais mourir!

Ruisseaux au doux murmures / je vous fait mes adjeux. / L'éclat de la nature disparait à mes yeux. / Déjà la main du prêtre est là pour me bénir. / Le printemps va renaître, / et moi je vais mourir!

 

 3) Les plaisirs sont doux / d'être près de vous, la belle. / Je soupire à vos genoux / je brule d'amour pour vous! - Peut on voir les yeux / sans être amoureux, la belle. / Ils sont doux et gracieux / ils sont tous remplis de feu. - Profitez du temps / de vous dixhuit ans, la belle. / Car il deviandrà un temp / où vous serez sans amants.