di Sergio Piovesan
Verso la fine degli anni ’60, all’apparire nel
mondo corale di Bepi De Marzi, anche il Coro Marmolada, fra i primi, volle sperimentare
la nuova coralità che esprimeva quest’autore che rappresentava, in quel
momento, la novità, e quindi lo svecchiamento, nel nostro modo di cantare.
Ed ecco, allora, dopo il più famoso Signore
delle cime ed altre, il gruppo di “poesie in musica” ispirate all’epopea
alpina della seconda guerra mondiale: Il Golico (campagna di Grecia), L’ultima
notte, Joska e Le voci di Nikolajewka (campagna di Russia);
le ultime tre trovarono sollecitazione dal libro di Giulio Bedeschi “Centomila
gavette di ghiaccio”, uscito proprio in quegli anni, che portava a
conoscenza del grande pubblico le vicende ed i drammi umani degli alpini a
seguito della sciagurata avventura bellica voluta dal governo fascista di
allora.
Nikolajewka è la località spersa nella vasta pianura
russa, dove scorre il fiume Don, divenuta famosa per la battaglia disperata
ingaggiata dagli uomini della “Tridentina”, unitamente a quelli d’altre unità
combattenti alpine, per uscire dall’accerchiamento che l’esercito sovietico
aveva creato attorno a queste truppe e ad altri quarantamila sbandati sia
dell’armata italiana sia delle forze alleate (tedeschi, ungheresi e rumeni).
Il 26 gennaio
1943, con 30° gradi sotto zero, dopo giorni di ritirata sempre incalzati dalle
truppe e dai partigiani russi, con equipaggiamento “standard”, cioè che andava
bene sia in Africa sia in Russia, e con armi inadeguate (arma individuale era
il moschetto mod.1891), gli alpini, quasi con un atto disperato, urlando e
brandendo i fucili a mo’ di clava dopo aver terminato le munizioni, incitati
del loro comandante, il generale Riverberi, che dall’alto di un carro armato
tedesco, a più riprese, urlava “Avanti Tridentina!”, riuscirono a rompere
l’accerchiamento prendendo di sorpresa i russi che rimasero sbigottiti di tanta
irruenza.
Ma la vittoria
non fu incruenta! Gli alpini, che già erano stati decimati nelle settimane
precedenti dal meglio equipaggiato ed armato esercito sovietico, ma,
soprattutto, dal grande gelo dell’inverno russo, lasciarono migliaia di morti e
di feriti sulla neve della piana di Nikolajewka che precedeva il terrapieno
della ferrovia oltre la quale si apriva la via del ritorno a casa.
Le voci di
Nokolajewka
non contiene
un testo, ma solo una parola, Nikolajewka, che scandisce la musica di questo
canto con una melodia minimamente ispirata alla musica popolare russa, una
melodia che, sembrando provenire da lontano, ricorda dapprima il miraggio della
salvezza che per molti, invece, termina con le urla di chi è senza speranza;
sono quindi le voci della disperazione che ci vogliono ricordare quanto la
guerra sia crudele, brutale e disumana, qualsiasi guerra, anche quella che oggi
è considerata “giusta”. Non esistono guerre di questo tipo! Fu, quella che
termino 60 anni fa, una guerra che sconvolse il mondo e che procurò immani
sofferenze ai soldati, alle popolazioni civili ed alle comunità ebraiche.
E noi cantiamo Le
voci di Nokolajewka, e lo canteremo sempre invitando il pubblico ad
ascoltare il brano nello spirito del ricordo e come ammonimento per adoperarsi
tutti affinché non vi siano altre “Nikolajewke”.