Appunti di viaggio

Nel "Brasile degli Italiani" con il Coro Marmolada di Venezia.

Si va….

Per la maggior parte di noi l’America Meridionale, ed il Brasile che ne costituisce grandissima parte, era stato un capitolo imponente dei tanti libri di Geografia…poi, nella giovinezza, la voce ricorrente ed angosciosa di una terra sconvolta dalle dittature e dai colpi di stato; oggi, essa rappresenta un luogo dal valore simbolico universale, quello di grandi movimenti -di denaro, di idee, di tensioni economiche e sociali- dai quali il mondo che ragionevolmente crede nel futuro pur non ignorandone le insidie attende progetti ed indicazioni utili per un desiderato equilibrio tra gli uomini e tra l’uomo e la terra, se si pensi al "tema Amazzonia" o alle attese di dignitosa sopravvivenza e democrazia di quel Continente.

Non che per il breve viaggio sia potuta evolvere significativamente la nostra percezione di quella immensa "zattera ecologica": facile ammettere, nel mio caso almeno, che risultava più agevole rammentare per nuclei la storia più recente dell’America Latina o -non sembri una bestemmia- gli episodi di avventura dei più quotati alpinisti e viaggiatori moderni ( il Bonatti de "La mia Patagonia" per tutti) piuttosto che il dettaglio delle imprese vissute laggiù da Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi appunto, frequentemente e con devozione sincera richiamato dai nostri nuovi amici con Benito Gonçalves, garibaldino pure lui.

Eppure qualcosa di più rispetto ad una sagoma racchiusa in un Atlante Geografico abbiamo potuto via via riconoscere fin dalle ultimissime ore dell’interminabile trasvolata Venezia-Parigi-San Paolo-Porto Alegre, circa 11000 chilometri: una successione di pieni e di vuoti assoluti, di luminescenze vibrate ed oscurità pulsanti, il nero della notte denso, quasi solido, ed il pullulare delle intermittenze sulla costa orientale che il nostro aereo sorvolava, oppure, ormai vicini all’atterraggio, l’azzurro smagliante del cielo sopra Porto Alegre, sospeso su un oceano ininterrotto di nubi bianchissime, globose, ora fiocchi ora cumuli, torri, funghi, caverne e praterie, una fuga di profili ed aggetti senza limite, uno straordinario piacere per gli occhi e il cuore.

I luoghi, le attività, gli incontri

Nell’aerostazione la tela organizzativa che ha reso possibile la tournée del Coro Marmolada nel "Brasile degli Italiani" si dipana subito con calorosa efficienza: il Dott. Di Gioia, rappresentante del Consolato italiano, promotore di essa con i Circoli Veneti Friulani, Trentini e le Associazioni degli Emigrati Italiani, ci aiuta a sbrigare le pratiche di rito, consegnandoci poi a Neuton Pasin, anima e motore infaticabile, insieme con il Dott. Rossato, attuale Presidente AISM, del Festival de coros italianos do Mercosul e destinato ad essere fregiato del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana quella sera stessa, all’apertura ufficiale del Festival.

Ha quindi inizio il nostro trasferimento in direzione di S. Maria do Sul, sede logistica per la prima parte del nostro impegno, dapprima attraverso una campagna irsuta e scarna, ma ben presto in una sconfinata successione di brughiere essenziali, praterie selvagge diffusamente irrorate da ruscellamenti copiosi o segnate da stagnazioni paludose di origine alluvionale, e infine in un paesaggio coloratissimo di pianure e montagne boscose, dalle prospettive orizzontali di un verde smeraldino e lucente che a me suggeriscono gli acquerelli smaltati del Connemara irlandese. Tutt’intorno, parvenze di oasi disperse in un deserto vegetale, piccoli gruppi di case e trattorie di carne, le Churrascarìe, poste lungo la camionabile, o casucce singole e modeste, legate ad un’agricoltura non industrializzata ed orientata ai mercati locali, spesso alla vendita diretta, e bovini, dappertutto, con spazi enormi a disposizione, risorsa alimentare per eccellenza di questa regione, onnipresente in forma di spiedi cospicui e succulenti che appariranno sistematicamente sulle nostre tavole ad ogni pranzo e cena: perfino eccessiva, a detta degli stessi amici che impariamo a conoscere, per un costume dietetico che si vorrebbe mitigare ma che una tradizione lontana, forte tra le altre e necessitata, mantiene accanitamente.

Anche la condizione climatica ci stupisce: anomalie simili a quelle europee comportano qui un avvio della stagione invernale tutto sommato caldo e sgombro di nuvole, a vantaggio del nostro andare…

Giunti a destinazione, abbiamo solo il tempo di aprire i bagagli nel retropalco del Palace Hotel, a santa Maria, per indossare la divisa, e subito partecipiamo all’apertura del Festival: inni nazionali solennemente affidati a buone registrazioni; discorsi di apertura, in particolare quello del Dott. Rossato, molto ispirati e consapevoli; il festeggiamento del neo-Cavaliere Pasin, imprenditore agricolo di cui conosceremo la notevolissima azienda; ed infine l’esplosione di entusiasmo del pubblico al nostro intonare la canzone Emigranti ("Mèrica, Mèrica"), suggello e sostanza emotiva per questi nostri connazionali di una identità gelosamente custodita.

Nonostante la stanchezza nostra per il lunghissimo viaggio, il dopo concerto anticipa piacevolmente i caratteri della nostra tournée e delle relazioni con le comunità italiane che ci ospiteranno: il canto della tradizione e dell’identità, ostinatamente rivisitata ed orgogliosamente pronunciata insieme alla devozione e all’appartenenza al nuovo paese, il Brasile; il momento conviviale, di fraternizzazione; l’ospitalità e l’assistenza degli amici di Rio Grande, qui a S. Maria nelle loro stesse case. In ogni circostanza saremo "accompagnati" con affetto ed entusiasmo all’incontro con le diverse città e comunità, con persone ed istituzioni, in un circuito accattivante e magico di amicizia e curiosità.

Così, intorno alla permanenza in S. Maria, nelle case degli amici italiani, o alle soste negli alberghi di S. Cruz do Sul, Encantado e Bento Gonçalves, si realizza la nostra "peregrinazione" sulle tracce delle prime colonizzazioni italiane, degli immensi sacrifici, sventure e realizzazioni di cui rimangono ovunque i segni e i simboli: a Silveira Martins, piccolo paese di "case minime", di una chiesa e di un rudimentale edificio pubblico; a Vale Veneta, sito prezioso per le memorie degli emigrati italiani, condensate in un Museo della cultura e del lavoro contadino, stracolmo di reperti e di ostentata consapevolezza (sullo stesso tema, ma con migliore organizzazione, visiteremo, a due passi dall’albergo, il Museo di Bento Gonçalves e rimarremo positivamente impressionati dal fatto che la giovane accompagnatrice, gentilissima e a sua volta piena di curiosità nei nostri confronti, alla mia domanda di poter in qualche modo ricompensare la sua disponibilità risponderà proponendoci di lasciare eventualmente qualcosa a favore del fondo di cui il Museo si alimenta e sostiene!); a S. João do Polesine, dove, nella fragorosa e quanto mai popolare cena di socializzazione, possiamo conoscere fior fiore di intelligenze ed intraprendenze giovanili, concentrate tutte sul futuro, sulle opportunità di nuova formazione, di cultura o di specifica imprenditorialità, per le quali molte famiglie sostengono oneri significativi; ancora, a Faxinal do Soturno, e a Nuova Palma, dove si conclude per noi il Festival e veniamo coinvolti nell’ennesima confraternização durante la quale il simpatico ed autorevole Cesare Barrichello -regista, cantante, direttore di coro e chissà cos’altro- presenta un pregevole cortometraggio su scene di vita contadina, "La fortuna de Gigio", un po’ farsa un po’ commedia popolaresca.

Senza dimenticare, inoltre, il Concerto tenuto a S. Cruz do Sul, nell’imponente chiesa neo-gotica di S. João Baptista, più di mille persone ad applaudire con vero entusiasmo, ed il successivo intrattenimento conviviale impreziosito da un’esibizione di ballerini in costume su ritmi e figure della cultura gaùcha, tradizione degli antichi allevatori di bestiame in questa regione, acquisita e fatta propria con esplicita identificazione e spiccato orgoglio dai nostri connazionali; o la piccola comunità montana di Relvàdo, che mi piace ricordare come l’incanto della poesia del cuore, momento tra i più intensi del nostro incontro con gli italiani di Rio Grande, che ci accoglie con un gruppo di donne accompagnate da una fisarmonica e schierate con tutta naturalezza sull’uscio della locale churrascarìa al canto di "Mèrica, Mèrica", per poi intrattenerci in una fitta conversazione da cui emergono, con nostro stupore, attestazioni di una personale condizione di felicità, ma anche le prime preoccupazioni per la fuga dei più giovani verso la città e, per bocca del Sindaco, il disagio per l’abbandono di importanti coltivazioni agricole e la riconquista inesorabile di terreno da parte della selva tutt’attorno al paese. Ma non basterà. Nel pomeriggio siamo invitati alla loro festa paesana, dedicata agli anziani e alle persone handicappate, in un contesto umanissimo, reso straordinario dai costumi più che vivaci di tutti i protagonisti: moglie del Sindaco in prima linea, musiche e balli "a passo di carica", ed un clima di autentica solidarietà, la consapevolezza di un destino da condividere: giornate intense e particolari, insomma, che terminano ad Encantàdo, dove, la mattina, siamo stati ricevuti dal Sindaco e dalla Municipalità (Prefettura, per loro), curiosi tra l’altro di conoscere le opinioni italiane sul loro Presidente Lula, considerato una grande speranza nonostante il timore antico dei "poteri forti" e delle dipendenze economiche internazionali che da sempre mettono a dura prova chi governa quel paese con atteggiamento riformatore ed ispirazione nazionale.

Non è più il Cavalier Pasin a farci da guida e "tutor". Subentra il giovane Ademir, che si rivelerà amico e promotore squisito della seconda parte del nostro percorso, più orientata, tra un concerto e l’altro, alla ricognizione delle realtà nascenti o affermate dell’economia locale.

Direzione Bento Gonçalves allora: qui, nel baricentro di importanti produzioni vinicole ( i "barricati" della Valle dei Vigneti, o il "frizante" di Garibaldi ) e di industrie affermate ( il mobile, la Tramontina della produzione di coltelleria ed oggettistica domestica a Carlos Barbosa, o l’intimo femminile e la bigiotteria a Guaporè, il cui Sindaco già pensa allo sviluppo di una filiera della calzatura per la quale esistono premesse di collaborazione con la nostra Riviera del Brenta), saremo ospitati per gli ultimi concerti della tournée. A Bento Gonçalves addirittura una sorta di portico che introduce in città e la stessa parrocchiale sono costruiti in forma di botte, mentre a Carlos Barbosa fa bella mostra di sé in pieno centro il monumento alla ferrovia (stazione 35) che non è più, ma che fu strumento fondamentale di comunicazione a suo tempo: Ademir ci spiegherà che il declino della strada ferrata fu la conseguenza delle pressioni dei trasportatori (la stessa considerazione mi era stata espressa a S. Maria dal mio "ospite-tutor" davanti allo squallore dell’abbandono a qualsiasi vandalismo della vecchia stazione ferroviaria), al che non riuscirò a non pensare agli scioperi dei camionisti che oggettivamente precedettero, nel Cile del 1973, la dichiarazione dello stato d’emergenza ed il colpo di stato del generale Pinochet, e a tanti altri misfatti…ai problemi del "Brasile dei Brasiliani" insomma, che spesso avvertiamo intorno a noi, dietro ai nostri movimenti, ma che rimangono schermati dall’entusiasmo e dal richiamo emotivo ed affettivo all’ abbraccio connazionale. E così, lungo la valle dei Caminhos de Pedra ("sentieri di pietra", letteralmente, in realtà denominazione di un progetto culturale di recupero e valorizzazione dei molti aspetti della antica ruralità italiana, dalla cucina al canto, alle strutture abitative e produttive, agli ambienti e alle macchine del lavoro artigianale e domestico, come i mulini ad acqua) conosciamo l’ araucària, l’albero dalle grandi braccia alzate al cielo con la tensione dei sacri candelabri ebraici, fonte quasi unica, coi suoi robusti pinòli, per l’alimentazione degli emigrati nei primi anni del loro lavoro durissimo, e l’herva màte, il "vegetale nazional-popolare", simbolo importante della cultura gaùcha, vuoi richiamo sociale ed intrattenimento amicale, vuoi -in altri tempi- riserva vitaminica per gli allevatori dispersi per lunghi mesi nella pampa inaridita e spoglia: ne verifichiamo metodiche di preparazione, mezzi di produzione e di commercializzazione, il tutto inserito in una programmata ed efficace catena turistico-promozionale ( mi aveva stupito il fatto che, a S. Maria, i giovanissimi e le graziosissime adolescenti, anche di famiglia benestante, distribuiti con le loro auto e le loro canzoni lungo le strade del sabato sera, si portassero appresso, tutti, la cuja, serbatoio particolare in cuoio e legno, la bomba, cannula d’acciaio finemente lavorata e munita all’estremità di filtro, un pacchetto di Herva, magari contenuto in un’elegante scatola di cuoio, e l’immancabile thèrmos di acqua caldissima, per succhiarne una sorta di thé o bevanda vagamente stimolante con cui accompagnare quel momento della loro giornata. Ma dovrò riconoscere che la consuetudine del chimarròn, il fatto appunto di consumare l’herva màte, è assolutamente complementare anche alle situazioni di lavoro, di viaggio, al tempo dedicato alle relazioni interpersonali).

Lasciamo la zona dei Caminhos de Pedra non prima di aver degustato i vini della Cantina Salvati, edificio emergente ed imponente, a struttura ottagonale, solido nei muri a secco di basalto multicolore, rigorosamente destinato al trattamento dei vitigni autoctoni ed orgogliosamente presentato dall’attuale proprietario quale "monumento" prospettato e realizzato in tale forma e sito in memoria e rispetto del Salvati padre, ideatore dell’azienda e del suo insediamento.

Finisce un viaggio : il viaggio continua ?

Sono passati presto i pochi giorni che ci restavano. Di essi, oltre a quello dato nell’ottimo Hotel Dall’Onder, gradito e riuscito, rimane per me speciale il concerto organizzato a Carlos Barbosa, in un piccolo cinema ma in un contesto di relazioni e di sentimenti sorprendente, e commovente nelle parole di saluto della Presidente della locale Associazione Italiana; poi la lunga corsa verso Guaporè, la cittadina della bigiotteria, dell’intimo femminile, dell’autodromo per la Formula 3 che ha visto le performances giovanili di non pochi assi brasiliani del volante, Barrichello tra gli altri…"dove non ci sono favelas!", ci tiene a precisare l’energico Sindaco, ma dove pure finiscono nel fango, il bàrrho, le case più povere, disposte sotto la collina del centro città, ad ogni acquazzone un po’ intenso: per arrivarci abbiamo lungamente costeggiato il Rio das Antas, piccolo fiume per le dimensioni sudamericane, ma comunque degno delle misure e dei sommovimenti di quell’enorme regione, e soprattutto -come spiegava il caro Ademir- capace di travolgere nelle sue piene almeno annuali ogni cosa per decine di metri di altezza rispetto al suo livello di quei giorni; non potendo tralasciare, da ultimo, la favèla di Bento Gonsalves, non tragica come quelle di cui si sa intorno alle megalopoli brasiliane, ma ugualmente capace di suggerirci le proporzioni ed il peso sociale di separazioni e disuguaglianze terribili.

E del resto, riflettevo un po’ a consuntivo nel tratto di strada che ci riportava a Porto Alegre per riprendere la maratona aerea del ritorno in Italia, i tratti problematici e i contorni storici quanto meno ardui del continente latino-americano non ci erano sfuggiti nell’intero viaggio, a non volerlo limitare all’incontro straordinario con i connazionali emigrati o all’aspetto tecnico di una tournée concertistica.

Non so dire in quale rapporto stia tutto questo con quanto è successo all’aeroporto, al momento di accomiatarci da Ademir, la nostra guida. Un ragazzone simpatico, a proprio agio nel suo ruolo di accompagnatore turistico, ma sempre pronto -ce ne siamo accorti un po’ alla volta- ad evidenziare un personale coinvolgimento, familiare o sociale, con quanto venivamo conoscendo, molto attento alle nostre esigenze, dispiaciuto per qualsiasi minimo inconveniente ci si potesse parare innanzi. Ebbene, al momento del saluto Ademir comincia a piangere, insistentemente, e non riesce a trattenersi…

Feeling bruscamente interrotto? Conferma di una italianità disgiunta, nella coscienza delle opportunità a disposizione, tra l’essere" italiano" nel Brasile -tenace, legato a memorie di terra, famiglia e lavoro- ed esserlo in Italia, forse in Europa? Percezione di una distanza che si ricomponeva materialmente nella forma di una separazione?

Non avevamo una risposta allora, e non la trovo ora. Forse quel saluto, come molti altri (alla partenza da S. Maria tre esponenti della comunità che lì ci aveva ospitati, donne, erano salite sulla predella dell’autobus per cantarci, con una lentezza che sembrava voler fermare il tempo di quel saluto, un motivo di affetto e di amicizia!), in fondo rappresentava, sovrapponendole inevitabilmente, la felicità di un intenso incontro e l’amarezza, il vuoto emotivo della rinnovata lontananza.

Paolo Pietrobon

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