Il suono delle campane nel canto corale popolare e d'ispirazione popolare
di Sergio Piovesan
"E a sunât une di jespui, al a dat il ultim bôt" (E' suonata la prima campana del vespro, ha dato l'ultimo rintocco) . E' questa, una villotta friulana, uno dei canti più famosi nel quale appaiono, sia nel testo, che nella musica, le campane. Fa parte del repertorio del Coro Marmolada nell'edizione armonizzata da Gianni Malatesta.
Musica e testo molto belli presentano, poeticamente, quella che poteva essere, qualche decennio fa, la fine della giornata in un paese, situazione che gli altri due versi completano con semplicità : "Jo us doi la buine sere, jo us doi la buine gnôt" (Io vi do la buona sera, io vi do la buona notte).
La situazione descritta dal canto mi ricorda altri contesti simili descritti, molto più degnamente, da due scrittori del nostro romanticismo, Alessandro Manzoni (1) ed Ippolito Nievo (2) .
L'oggetto di questa mia analisi non è, però, la letteratura italiana, ma solo la campana, o meglio, le campane ed il loro apporto nel canto corale cosiddetto popolare e d'ispirazione popolare.
Quando ho iniziato a pensare a questo argomento mi sono chiesto perché le campane abbiano avuto un'influenza abbastanza rilevante nel canto popolare; in effetti, per molti secoli hanno segnato e scandito i tempi della vita religiosa innanzitutto, ma anche civile, delle popolazioni cristiane.
Le campane nascono nel VII se- colo d.C., in ferro, proprio con il solo scopo di segnalare le funzioni religiose; solo nel IX secolo verrà usato il bronzo, materiale che, successivamente e fino ad oggi, caratterizzerà il suono. Da uso, quindi, puramente religioso, regolarizzato dal diritto canonico, le campane, nel corso dei secoli, ma solo eccezionalmente, assunsero anche valore civile. Ma, anche se usate secondo i canoni ecclesiastici, tuttavia servirono a scandire le parti della giornata come era in uso anticamente. Solo in caso di pericolo potevano essere usate per chiamare a raccolta il popolo. (3)
Ed ecco le campane del mattino il cui suono invita ad iniziare una giornata di lavoro con la preghiera; a mezzogiorno, poi, l'allegro scampanio segnala, con la preghiera dell'Angelus, l'interruzione per il pranzo ed infine, la sera, il suono più pacato, tranquillo ed equilibrato, la campana chiamata "dell'Ave Maria".
Nel mezzo della giornata altre potevano essere le ragioni per le quali si scioglievano le campane: le funzioni religiose (messe, vespri, processioni) e la morte. Ancor oggi, soprattutto nei paesi, si può sentire il suono di un'unica campana che, quasi con monotonia, avvisa del decesso di qualcuno; diversa è invece la sequenza dei suoni all'uscita di un funerale dalla chiesa: è un suono festoso che annuncia l'arrivo in Paradiso di una nuova anima.
Tutti questi momenti hanno ispirato, con i loro suoni diversi, qualche cantore del popolo in passato e, oggi, armonizzatori ed autori.
Abbiamo allora il lieto suono della vigilia di festa ("O ciampanis de sabide sere") in cui cogliamo la leopardiana attesa dell'imminente giorno festivo quando le campane si scioglieranno in un'allegra armonia di suoni che sembrano rincorrersi da campanile in campanile, da contrada in contrada.
Altro momento impregnato di religiosità era la sera quando ognuno, al sopraggiungere dell'oscurità, prima di terminare la giornata, al suono crepuscolare del vespro, si raccoglieva in preghiera e, prima di racchiudersi nelle proprie case per una "povera cena", come dice il Manzoni (vedi nota 1), saluta il paesano che incontra ("E a sunât").
Un tempo triste, velato di profonda malinconia, lo troviamo, invece, nel canto, anche questo friulano, "Oh sunaît ciampanis" ed anche in quello, piemontese, dal simile tenore, "La sposa morta". In ambedue il suono delle campane è quello triste, mesto e disperato, che annuncia la morte dell'amata.
A volte il suono accompagna parole che invitano alla preghiera, come è chiaramente annunciato nei brevi versi in ladino di Ugo Pomarici in "Suna l'ura" ("Suna l'ura de l'Angelus, a la dlja de Santa Crusc. Don Blanc de stailes viestes i praz, l'è già l'ura veni a priar. Don
"Suona l'ora dell'Angelus all'ab- bazia di Santa Croce. Don Il chiarore delle stelle ricopre i prati, è l'ora di venire a pregare. Don ").
Non mancano, poi, le campane anche nei canti dedicati al Nata- le, campane che, invece, vogliono esprimere soprattutto la gioia nell'annuncio della "lieta novella". Ed anche autori moderni, come Bepi De Marzi, ne fanno uso ("Piccola canta di Natale").
Ma non sempre il suono delle campane nelle composizioni corali è legato al testo; a volte, invece, è solo un espediente armonico che serve ad arricchire musicalmente il brano. In questi caso il suono (tempo, ritmo) può essere diverso; in un canto esprime gioia, festa o vivacità, mentre in un altro sentiamo tristezza, preoccupazione o pensieri. Fra i canti del primo tipo possiamo inserire la serenata trentina "Maitinada", ed anche l'antica melodia di "Girometa" che, oggi, ritroviamo in Piemonte (4).
Invece, in "Fa la nana", di origine emiliana, nell'armonizzazione di Giorgio Vacchi, il suono delle campane diventa martellante, quasi una risonanza che vuole scandire l'oscuro e duro lavoro giornaliero senza sosta della donna, moglie e madre, in passato e nella cosiddetta "civiltà contadina".
Le campane, segno, ma anche simbolo caratteristico della cristianità, oggi, forse, risentono di un periodo di decadimento, in particolare nelle città dove il loro squillo è sovente ricoperto dai rumori della modernità. Restano ancora un segnale caratteristico nei paesi, soprattutto nei piccoli borghi di montagna, dove i rintocchi dei vari campanili si rincorrono nelle valli; per fortuna, anche nella nostra città di Venezia ci si può risvegliare al suono delle campane proveniente sia dal vicino campanile, ma anche da quelli più lontani; e, forse, caso unico al mondo, ci si può anche addormentare con i tranquillizzanti rintocchi di mezzanotte della "Marangona" (5) dal Campanile di San Marco.
Note: