Entorno al foch

Entorno al fòch se canta,
entorno al fòch se varda,
entorno al fòch se parla,
se dis come la va.
Boia de 'na minestra; bòi, bòi, bòi!

Se smorza 'na fiamèla,
se 'n piza 'n tòch de zoca,
se tira 'n qua la boza,
e sa sta lì a vardar.

Boia de 'na minestra; bòi, bòi, bòi!
Se pensa a la morosa,
a nossa pòra mama,
e 'n piza n'altra fiama
che la va drita al cor.
Boia de 'na minestra; bòi, bòi, boi!

Su per la capa nera
'na fila de comete;
per tute 'ste lumete
se se pòl desmentegar.
La bòie!!!

Su un testo ed una melodia di Mansueto Pedrotti (1873-1926), Arturo Benedetti Michelangeli, con il suo solito estro e la sua consolidata bravura, ha prodotto un'armonizzazione che tiene testa ad altre considerate più "impegnate".

In dialetto trentino (forse l'autore è anche lui della stirpe dei Pedrotti della SAT) il canto vuole rappresentare dei momenti di tranquillità e di serenità all'interno di una famiglia, in un periodo a cavallo fra '800 e '900.

Il protagonista è il focolare che, da sempre, è considerato il simbolo della famiglia e, per come viene descritto dall'autore, è uno di quei focolari dei quali oggi rimangono, purtroppo, solo pochi esemplari. Tutto l'ambiente è destinato a questa funzione ed è circondato da una panca di legno su tre lati; al centro arde sempre un fuoco, tenuto sempre basso per risparmiare la legna; il soffitto non è orizzontale ma, dalla sommità di ogni parete, si alza e converge, a forma di piramide, verso un punto più alto dove inizia la canna fumaria; e questo soffitto, che è poi una cappa, è tutto nero da anni di fumo.

Accanto al fuoco, o sopra di esso, si trova sempre qualche tegame nel quale bolle, lentamente "borbottando", qualcosa, forse una minestra a base di prodotti della campagna.

Tutt'attorno, seduti sulla panca, i componenti la famiglia parlano e ricordano i momenti, allegri o tristi, della loro vita e di coloro che li hanno preceduti. E c'è sempre chi tenta un canto e chi, invece, resta come ipnotizzato dalla fiamma.

Il fuoco, ad un certo momento, cala d'intensità e, allora, qualcuno pensa a ravvivarlo e ad aggiungere un ciocco provocando così il formarsi di tante faville che, simili a piccole comete, s'innalzano verso il cielo attraverso la cappa annerita dal fumo. Né manca chi coglie l'occasione di prendere una bottiglia di vino da bere in compagnia.

 Ogni strofa è alternata ad un ritornello che, completamente diverso nel ritmo, tiene in sospeso gli ascoltatori perché le sue parole sembrano invocare una minestra che continua a bollire e che non è mai pronta.

Questo elemento della minestra, forse troppo poca per i numerosi membri, e, probabilmente, anche piatto unico, può ingannarci sul tipo di famiglia che, appunto per questi elementi, se valutati con metro odierno, potrebbe essere ritenuta povera. Ma se pensiamo qual era il tenore di vita, specialmente nelle campagne ed in montagna solo cinquant'anni fa, scopriamo che anche le famiglie benestanti non scialacquavano certamente e che il piatto unico di minestra era cosa abituale nei giorni feriali. Se poi consideriamo anche la bottiglia di vino, che non molti si potevano permettere, allora possiamo dedurre che il focolare ("fogher", "fogolar", "fogoler") si trova in una casa non povera.

Pensieri e ricordi personali.

Quando presento, ma soprattutto quando, come corista, eseguo questo canto, mi tornano alla mente i ricordi di serate trascorse attorno al fuoco seduto sulla panca del focolare della casa di mia moglie, a Raveo, in Carnia. Sono ricordi che risalgono ad estati precedenti il 1976 (anno del terremoto in Friuli) quando nelle famiglie, in certe famiglie, la persona anziana veniva tenuta ancora in grande consi derazione. Si realizzava così quello che dice un proverbio friulano ("Il cioc vieri ten donje al fuc" "Il ceppo vecchio tiene vicino al fuoco") dove la persona anziana, il "patriarca", il ceppo vecchio, teneva riuniti tutti i membri della famiglia, sposati o meno.

In quelle sere, vecchi e giovani stavano seduti attorno al focolare a discutere di tante cose, ma la serata diventava più interessante se i protagonisti erano gli anziani che ricordavano, così tramandandoli, i riti e le usanze della gente di Carnia, oppure rivivevano episodi della vita della casa e dei suoi abitanti anche nel contesto delle vicende paesane.

E mentre si parlava c'era chi lavorava ad uncinetto, chi sferruzzava e chi, dopo aver approntato la "macchina" della polenta, girava il mestolo per ottenere, dopo i regolamentari 3/4 d'ora, un'ottima polenta fumante di 2 Kg., insaporita al modo giusto dal fumo e da qualche favilla che, invece di salire verso il camino, si era amalgamata con la farina.

Oggi quel focolare esiste ancora, anche se con qualche piccola modifica effettuata nella ricostruzione successiva al terremoto; non esiste più, invece, quell'atmosfera degli anni passati, vuoi perché molti protagonisti di allora sono scomparsi, vuoi perché, essendo passata una generazione, è cambiato il modo di agire, di vivere e di pensare della gente.

Sono rimasti i bei ricordi.

Sergio Piovesan

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