MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Marzo 2014 - Anno 16 -n.1 (59)

 

 

 

QUANDO IL CANTO E’ UN DONO ATTESO

( Il Coro Marmolada in concerto al ‘ Centro Anziani  Don Vecchi ’ )

di Paolo Pietrobon

 

 

Via Vallon è stata luogo significativo dei miei venticinque trent’anni, e degli incontri, delle interminabili conversazioni che diedero senso e piacere a un folto gruppo di amici. Siamo abituati a pensare a un tempo senza confini allorché parliamo di ‘amici’, eppure…Loris se l’è portato via l’Antelao, a vent’anni; Rossana ha lasciato i suoi sogni di un mondo alternativo sulla sabbia del deserto, in Africa, anche lei giovanissima; e poi, lungo un sentiero complesso e imprevedibile, sono venuti gli ‘altri’ anni, della maturità, e ci hanno lasciato Renato, e Luana, e Maddalena, pochi giorni or sono lei, tutti ragazzi di via Vallon… anche Gigio Visentin, con altri viandanti della montagna, fu personaggio di quella speciale vicenda esistenziale e collettiva, sì, proprio lui, l’indimenticato tenore primo e amico vero del Marmolada, lui rimasto dove testardamente aveva cercato la sua felicità, su un ghiacciaio del pianeta himalaiano…

Avevo mente e cuore a tutto ciò, domenica 26 Febbraio, mentre con l’auto attraversavo la Piazza di Carpenedo e, per dirigermi alla residenza per anziani ‘ Don Vecchi ’ per il concerto del nostro Coro, sentivo, con emozione sincera, che quella strada si avvicinava, che sarei tornato nei luoghi di quegli amici. E decisi che, a concerto finito, mi ci sarei trattenuto un po’, magari da Catina, mamma di Loris, e in qualche modo di tutti noi allora, forse volendo sfidare quei muri a restituirmi quel tempo, quei volti, il sapore dolce di quei giorni…

Nella grande sala della residenza era tutto un correre degli organizzatori a cercar sedie, un’ efficienza e un fervore che lasciavano percepire l’imminenza di un evento atteso, sentito, importante per quella folla di anziani desiderosi di godere di un’occasione di buon canto tradizionale, di ripescare da un pomeriggio che non doveva essere come tutti gli altri frammenti e certezze della propria vita e della propria memoria, tristezze amori ironie e felicità che inevitabilmente avevano attraversato la loro vita, brutta o bella, anche se nei limiti, obbligati dall’età e dalle personali vicende, in quella intelligente e adeguata ospitalità, di godere al meglio alcune ore destinate a scivolare via troppo velocemente.

Clima caloroso, eccitato pure; uomini, ma soprattutto donne, numerosissime, composti e rumorosi nell’aspettativa dell’ingresso di noi coristi, baldi e incorreggibili giovani pure noi, e tenacemente resistenti alla noia e alla solitudine di un tempo senza amicizia, senza sguardi accesi e, forse, sognanti, senza la riscoperta effervescenza, ogni volta che ciò sia possibile, dell’ essere e riconoscersi comunità in festosa sosta collettiva.

Anche le nostre ‘ cante ’ risentivano della piacevolissima atmosfera, anche voci e note scivolavano via libere e quasi sempre pulite, comunque toniche e sorridenti, tanto quanto i movimenti delle labbra di quegli amici e di quelle amiche - molte tra loro vestite e ‘preparate’, pur con sobrietà, per un appuntamento speciale - e la convinzione disinibita del loro applauso.

Quando poi il maestro, attizzando pure in noi sorpresa e liberatoria gestualità, e ammiccando a Renato, solista di E mi me ne so ‘ndao ufficialmente in convalescenza, arrampicato sullo scalone per il servizio fotografico, con un riuscito colpo di scena ripescò  il canto di quel viandante lagunare e lo fece planare sulla gente come da una dimensione ‘altra’, sorprendente, entusiasmo e partecipazione furono davvero intensissimi, per molti e molte commoventi, visibilmente.

Arrivò infine, il migliore arredo a una torta già succosissima, don Armando in persona, uomo e prete asciutto, essenziale quanto veemente nella sua volontà di costruire il bene del suo popolo anche con calce e mattoni, e, assieme ai ringraziamenti per il concerto e per la presenza ab imis fundamentis del Coro Marmolada nella storia di quella provvidenziale residenza, volle chiosare l’evento con una sua battuta, davvero un augurio intrigante, quello di immaginare una ‘riserva di posto ’ nella ‘sua’ residenza per noi del Coro quando ne avessimo avuta l’esigenza…..e siccome diffusa e del tutto palese risaltava la tinta, chiara come minimo, delle ‘ chiome ’ di tanti di noi, l’allusione simpatica, necessariamente, fu accolta dalla generale risata di tutti i presenti.

 

Fuggii, appena terminato il concerto. Volevo ‘tornare’ al mio ‘prima’, immaginavo ingenuamente di trovare comunque qualcosa di ciò che era stata per me, per noi, via Vallon: le serate dense di fumo e velleitarie imprecazioni ad aiutare Loris nei suoi faticati temi d’italiano; a discutere con Rossana sulla liberazione dei sentimenti e della donna; a cercare il dialogo con Maddalena, affascinante e in qualche modo inafferrabile; a progettare con Paolo e Giorgio e Luciana le nostre avventure in montagna; a ragionare di politica, e di tanto mondo ‘roverso’ con il sanguigno Gigetto, il papà di Loris…..

Non ho trovato nessuno, ovviamente, nemmeno la carissima Catina, obbligata dall’età e da qualche malanno di salute a non sentire il suono del mio campanello, a non potermi aprire la porta con il suo sorriso di forte intelligente contadina, come le tante altre volte.

Ed ho ripreso la strada di casa, con la sottile malinconia che così spesso ci accompagna, ‘ noi un po’ più che quarantenni ’, anche quando una stretta di mano sincera, la sintonia del sentimento e della voce, del suo canto, l’emozione dell’evento sociale condiviso regalano tuttavia a quegli istanti preziosi il sigillo e il respiro profondo di una sorridente gratificante vitalità. Che quella domenica così generosamente aveva dispensato, a tutti.