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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Maggio 2014 - Anno 16 -n.2 (60)

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Il coro, l'acustica e la professionalità

di Sergio Piovesan

 

Con il rinnovo della liturgia, seguente il  Concilio Vaticano II, è ricomparso in uso l'ambone, cioè il podio con leggio da cui viene proclamata la parola di Dio nella parte della messa detta appunto "liturgia della parola" e, quindi, anche la lettura del Vangelo e l'omelia. L'ambone si trovava in particolare nelle basiliche paleocristiane ed in quelle bizantine ed era posto all'interno del recinto del coro per le letture dei canti liturgici da parte del diacono o del solista; molto spesso erano due posti ai lati del presbiterio.

Oggi  l'ambone è munito di microfono e, quindi, non si ricorre più -a meno che non si tratti di celebrazioni liturgiche solenni, come le messe cantate- ad un altro elemento architettonico destinato fino a tempi abbastanza recenti (anni '60 dello scorso secolo) alla predicazione; questo era il pulpito che, di norma, era costituito da  una specie di balcone in muratura o in legno, addossato a una parete o isolato nell’interno della chiesa e sostenuto da colonne o da un piedistallo centrale; spesso riccamente lavorato nel parapetto, dal quale sporge di regola un leggio per i libri rituali, e talvolta sovrastato, specialmente negli esemplari antichi, da una tettoia. A volte si trovava anche a metà della chiesa e questo serviva a far sì che tutti i fedeli potessero comprendere le parole del predicatore anche senza l'uso dei moderni strumenti fonici.

Ma questo era possibile anche perché gli edifici sacri erano costruiti in modo tale che le proprietà sonore dell'ambiente lo permettessero e che cioè avessero "una buona acustica", acustica che altro non è che la proprietà di un ambiente in relazione alla propagazione del suono.

Per "acustica" si intende anche la scienza che studia il suono, le sue proprietà, il suo meccanismo di formazione, propagazione e ricezione; ma se allarghiamo questo concetto  possiamo anche definirla come parte della fisica tecnica che studia le caratteristiche degli ambienti al fine di ottenere una buona audizione dei suoni che si desidera ascoltare, evitando o correggendo difetti dell’ambiente medesimo, eliminando suoni e rumori estranei e molesti.

 

E se il "lavoro" è stato fatto bene, allora potremo parlare di un ambiente (chiesa, teatro o sala) con una "buona acustica".

Nel corso dei secoli le chiese sono state costruite quasi tutte con una buona acustica, vuoi per il parlato che per la musica ed il canto. Se il predicatore aveva, come accennato sopra, un suo posto per l'omelia, anche la musica aveva il suo; in genere il coro si trovava nell'abside, tanto che anche quella parte dell'edificio sacro prende il nome di coro e la costruzione veniva ideata proprio perché la musica partisse da quel luogo. Oggi gli organizzatori dei concerti nei luoghi sacri non tengono conto di questo fattore ed il complesso viene posto davanti all'altare per essere visibile al pubblico; con questo non affermo che la zona sia sbagliata ma, forse, l'effetto sonoro sarebbe migliore se il coro fosse posizionato nel ... coro. Ma, si sa, anche l'occhio vuole la sua parte.

Alcune chiese, soprattutto nel  Veneto, hanno il "barco" ligneo,  un palco per l'organo e i cantori, posto sopra la porta d'ingresso; in genere buona acustica anche in questo caso, ovviamente per le celebrazioni liturgiche dove chi canta o suona non è necessario sia visibile; meno bene invece, dal punto di vista spettacolare, per un  concerto.   Per quanto riguarda i teatri, ve ne sono con una buona acustica per la prosa dove il canto, però, non trova il suo ambiente ideale cosa che, invece, si verifica in teatri creati appositamente per fare musica.

Per quanto riguarda le chiese moderne è difficile trovare qualcuna che abbia le caratteristiche di quelle di una volta, proprio perché i moderni impianti di diffusione suppliscono alle necessità, a volte anche per la musica liturgica.                       

Per noi coristi è piacevole cantare in certi luoghi, quelli appunto con  "una buona acustica", vuoi perché riusciamo a fonderci ed a sentirci meglio appagando così la nostra sensibilità musicale, ma soprattutto perché sappiamo che anche chi ci ascolta beneficia dell'ambiente percependo un suono ed un'armonia gradevoli.

Purtroppo, però, non sempre troviamo un ambiente consono alle nostre esigenze ed è appunto in questi casi che il coro deve dimostrare la sua personalità e la sua professionalità. 

 

È bello cantare in un luogo ampio, con un'acustica che ti aiuta, dove i coristi si "sentono" fra di loro e, quindi, riescono meglio a fare armonia, dove il pubblico  riesce ad apprezzare le caratteristiche del coro e gode della musica che ascolta.

Sono situazioni ottimali nelle quali molto spesso ci siamo trovati e che danno a noi esecutori molta soddisfazione.

Quando, dopo le esecuzioni in pubblico, ci ritroviamo per le prove, discutiamo delle sensazioni e di eventuali imperfezioni riscontrate e siamo molto severi nei nostri riguardi. Poi il maestro dà la sua valutazione, che è quella più giusta.

Nell'editoriale del numero precedente                                

( http://www.coromarmolada.it/mrmdigitale/MRM59/MRM_0314_59_1.htm )

veniva posto in evidenza come a Venezia numerosi siano i luoghi in cui si prova soddisfazione a cantare e dove, di conseguenza, è "facile" cantare bene.

Può capitare, però, di trovare un ambiente con le caratteristiche opposte a quelle descritte sopra ed è in questi luoghi che si misura la validità di un coro che, pur non essendo composto da professionisti, deve dimostrare proprio in queste situazioni  di essere a livello "professionale".

Proprio di recente ci è capitato di essere in concerto in un luogo non proprio idoneo al canto: una sala con soffitto fonoassorbente, ed un minipalco che a stento ci conteneva; alcuni coristi dovettero disporsi in terza file con una certa difficoltà a vedere il maestro  ed i suoi gesti; il sottoscritto, nella sua funzione di presentatore, prendeva il posto di un'altro corista che, momentaneamente, usciva di scena per lasciarmi il posto e, visto che siamo un coro di "canti di montagna",  mi sembrava di essere in una cengia!  Poi, per completare, una trave portante in cemento a circa 50 cm. dalle teste dei coristi estremi bloccava il suono verso gli ascoltatori. L'immagine a margine evidenzia, meglio di ogni descrizione, la situazione "infelice" in cui ci siamo trovati a cantare.

E, nonostante tutto, il Coro Marmolada anche in questa occasione, ha fatto il suo dovere dimostrando così la sua "professionalità"!