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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Giugno 2015 - Anno 17 -n.2 (64)

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I luoghi dei "nostri" canti

                                                              di Luigi Cerocchi

 

Nel numero 62 del notiziario del dicembre scorso, mi fu data la possibilità di scrivere un articolo su un argomento a mia scelta.  Colsi  l’occasione della recente manifestazione svoltasi a Venezia presso Villa Groggia  nell’ambito del festival del canto spontaneo, sul  tema de “il destino del canto”,  alla quale avevo assistito con molto interesse, per trattare un  argomento che di quella manifestazione  non poteva  che essere  una  inevitabile conseguente riflessione, almeno per  me  che per decenni mi sono occupato della tutela del patrimonio culturale ed in particolare di quello del Veneto Orientale. Scelsi come titolo del mio pezzo “Il canto popolare corale, un patrimonio da tutelare”.

Rileggendo, a distanza di mesi quell’articolo ed accostandolo ad alcuni articoli dell’ultimo numero del notiziario, ed in particolare a quello  di Paolo Pietrobon  (“canti di guerra : terzo appuntamento”) ed a quello  di Sergio Piovesan (“è ancora possibile la ricerca dei canti popolari?”) sono emersi in me  utili elementi di ispirazione per la trattazione di  un tema che da sempre mi ha affascinato ed incuriosito, soprattutto da quando sono giunto in terra veneta, dove mi  sono stabilito continuativamente per lavoro dal 1980 al 2013.  Si tratta  in sostanza, per quanto  è ancora oggi possibile, del riconoscimento di quei  luoghi richiamati  nei canti di guerra e non solo, o delle testimonianze, anche simboliche, legate all’operosità dell’uomo  o a scene di vita quotidiana raccontate in quei canti dai protagonisti.

Demandando a chi della ricerca di brani inediti ha una consolidata esperienza in qualità di specialista di archivi e di ambienti musicali, i ritrovamenti da cui trarre indizi sui luoghi e sugli eventi che hanno ispirato molti dei nostri canti, di cui Sergio Piovesan  ha riferito nel suo articolo, sottolineando la coincidenza del rinvenimento delle cosiddette Villotte veneziane e di altri canti popolari veneziani, che pure riguardano scenari e luoghi  di vita quotidiana di un tempo, mi limito a ripensare a quei luoghi o a quelle attività richiamati o raccontati, anche come sfondo, in  tante canzoni ben note che ho il piacere di cantare con il coro, ogni qualvolta mi è possibile partecipare alle prove, o che mi è dato di ascoltare nei concerti, con l’intento di riscoprire, per quanto possibile, i contesti di allora.

Consapevole che la riscoperta di brani inediti, come ha ricordato lo stesso Piovesan, rientra tra gli scopi  dello Statuto dell’Associazione Culturale Coro Marmolada, di cui mi onoro essere un simpatizzante sostenitore (purtroppo non corista), sottolineo come anche i luoghi e siti noti o da riscoprire, al pari dei canti che li raccontano, andrebbero tutelati, se già non lo sono, come patrimonio della memoria.

Quanto all’articolo di Paolo Pietrobon, è stato il termine “icona”che mi ha colpito e che ho subito associato alla ricerca di immagini di luoghi   o di ambiti territoriali descritti e raccontati nei canti, o da “ricostruire” nell’immaginario,  nonché di siti , ormai simbolici, o richiamati da sporadici segni commemorativi o da cimeli, residuati, o testimonianze materiali o immateriali di guerra o di scene di vita quotidiana dell’antica cultura popolare di quei tempi.

La prima associazione, seppur difficile, per l’avvenuta sostanziale trasformazione di molti dei luoghi raccontati  e descritti in molti canti, specie in quelli di guerra, può essere una operazione  possibile, anche perché in molti casi questi sono  chiaramente contrassegnati  da manufatti all’uopo realizzati, quali sacrari, lapidi croci, musei, o riconoscibili, per la presenza di resti più o meno ruderizzati di manufatti  bellici e non, come luoghi della memoria, spesso valorizzati come attrattive turistiche (vedi museo della guerra al Passo di Valparola), grazie ai finanziamenti  elargiti dalla vigente normativa sulle vestigia individuate in materia di tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale o dalle normative sul recupero dell’antica edilizia rurale.        

 In altri casi  l’individuazione ed il riconoscimento di detti luoghi  non presenta alcuna difficoltà, come nel  caso di montagne, vette,  passi, valli, antichi borghi, o anche ambienti lagunari, chiaramente descritti  nei canti (Bombardano Cortina, Monte Canino, Monte Pasubio, Fiore di Manuela, La contrà de l’acqua ciara, E mi me ne so’ndao, ecc. ).  Le Tofane, il Castelletto , il Lagazuoi, il Sasso di Stria, la Valle Costeana , le tre dita, sono, in” Bombardano Cortina”,  luoghi in cui oggi, specie per un appassionato di montagna come me, è possibile immaginare il tremendo ambiente delle trincee vissuto dai  soldati in guerra. Come pure sono chiaramente percepibili la cima e le guglie a canne d’organo del Civetta  citate in “Fiore di Manuela”. Perfettamente raccontato è pure l’ambiente lagunare in “E mi me ne so ndao”.

 Più difficile il riconoscimento  dei tragici luoghi di montagna e di collina delle battaglie dell’Isonzo (Monte Canino, Monte Rosso, Monte Nero, il Mrzli, e i colli intorno a Gorizia), oggi per lo più in terra straniera, per la loro minor frequentazione e per la  difficile accessibilità, trattandosi di luoghi spesso impervi  e irraggiungibili. Basti pensare all’altopiano del Carso che ancora oggi presenta in molte parti le asperità  dettagliatamente descritte da Mark  Thompson, in “La guerra bianca”, vita e morte sul fronte italiano 1915-1919, edizione Il Saggiatore, anno 2014 (pag.79 e segg.).

Chiaramente riconoscibili sono  i luoghi raccontati più genericamente nei canti, come ad esempio in”Laila oh”o in  “La Paganella”,  ma  per la loro genericità, trattandosi  di luoghi ad ampio respiro, come dire,” panoramici”, nel ripercorrerli non si provano particolari emozioni in riferimento ai canti che li raccontano, ma solo suggestioni prodotte dal valore paesaggistico dei luoghi,  e solo con un po’ di immaginazione e fantasia , in chi ha una buona conoscenza di ciò che è avvenuto in quei luoghi cent’anni fa ed oltre, possono  far rivivere, per quanto possibile, gli scenari di allora.

In molti altri casi invece, la totale ricostruzione di interi villaggi, borghi, paesi, pezzi di città o intere città (vedi San Donà di Piave, San Michele al Tagliamento e tanti altri ambiti urbani e non) le trasformazioni urbanistiche e la pressoché totale ricostruzione di quanto era stato bombardato e abbandonato, rende di fatto impossibile il riconoscimento dei luoghi di un tempo e degli ambienti di vita popolare quotidiana.

Chi scrive, ha tentato qualche riconoscimento, ma nulla da fare, si tratta di siti (icone) perduti, ricordati  solo da lapidi o monumenti commemorativi, come i tanti monumenti ai caduti  in guerra  , che nulla hanno a che vedere con i luoghi di un tempo che possano far rivivere quei contesti, se non qualche emozione quando ad esempio si attraversa il Piave o il Tagliamento, dove si legge “Fiume sacro alla Patria”.

Quanto ai luoghi simbolo o ai segni  ancora tangibili di vita quotidiana popolare o di testimonianze materiali o immateriali, o dei soldati al fronte o al ritorno dal fronte, o ancora dell’operosità dell’uomo (La tradotta, Il Ritorno, di qua di là del Piave, il Canto dei battipali, ecc.), non si tratta di precisi luoghi da ricercare o da riscoprire, anche perché i testi dei brani, non ce lo consentono, seppure in qualche caso può esserci un indizio utile in tal senso. In “di qua di là dal Piave” , ad esempio, ritengo di aver individuato il luogo dell’osteria della bella mora, che trovasi presso il ponte di Eraclea), ma è la nostra immaginazione che può spingerci a ritrovare i luoghi più idonei  in cui scene, tragitti, percorsi,  episodi quotidiani o ambienti di lavoro, possono essersi verificati o collocarsi.  “Il ritorno” ad esempio, per l’inequivocabile dialetto   (tre case, l’ostaria, la cesa col piovan) è indubbiamente riconducibile al territorio veneto e chi scrive lo colloca, nel proprio immaginario, nei  pressi di San Michele al Tagliamento, pensando alla ritirata dopo la disfatta di Caporetto, anche se la frase “cinque ani manco un mese” lo collocherebbe in un periodo più tardo, cioè alla fine della guerra o addirittura al 1919. Ma il bello è proprio questo, crearsi un immaginario.

Sul “ Il canto dei battipali”, l’ambiente lagunare è stupendamente descritto e l’accompagnamento del coro, che simula il colpo del maglio sul palo, è un fortissimo elemento di ambientazione.

Concludo sostenendo che la ricerca, il riconoscimento o l’ambientazione oggi dei luoghi raccontati o semplicemente immaginati nei nostri canti, non può che contribuire ad arricchire, con la scoperta di elementi inediti,  quanto già noto e proposto dai tanti  musei, luoghi, siti  e testi  che a quel periodo e a quegli eventi si riconducono.