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Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Giugno 2016 - Anno 18 -n.2 (68)

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Il Maestro Paolo Bon ci ha lasciato

 

di Paolo Pietrobon

 

 

 

Il Maestro e amico Paolo Bon ci ha lasciato, il 20 marzo scorso, senza che se ne avesse avuto presentimento o avviso alcuno. La notizia è apparsa su un giornale, e in poche ore ha raggiunto i suoi estimatori, in una mescolanza di sorpresa e tristezza.

Per chi come noi ha amato, respirato profondamente il fascino e la risonanza antica di tante sue composizioni, e cantato con la possibile qualità i suoi testi e le sue musiche, si è trattato di una scoperta dolorosa, sinceramente: nemmeno per un istante abbiamo pensato al fatto che, come per molti di noi ‘improvvisamente’, il suo percorso aveva valicato i settantasei anni, non pochissimi oggi per molti, ma pur sempre un ragguardevole zainetto anagrafico, per così dire, soprattutto ripensando al tanto suo lavoro, alle pluriennali serate e occasioni nelle quali ci aveva resi felici e incantati, aveva accompagnato con paludate avvolgenti armonie la ricerca di identificazione emotiva e sociale di noi giovanissimi uomini, nei generosi vivaci anni ‘65/’80 dello scorso secolo.

 

… “ vogliamo essere presenti per la triste dipartita del carissimo Maestro Paolo,  non solamente per le dovute condoglianze, ma per il sentimento di affetto e ammirazione che ci ha legato per decenni a un musicista e un uomo di grande talento, di tenace convinzione sulle qualità culturali che devono sovrintendere a qualsiasi produzione musicale, per quella insistita promozione  intesa a ritrovare perennemente nel dato antropologico della comune esperienza le impronte universali, gli 'archetipi' nelle sue appassionate parole, della cultura e dell'ansia sperimentatrice della parte migliore dell'umanità cui apparteniamo” …

 

Con queste parole l’abbiamo ricordato alla famiglia, ma qui, per i nostri lettori, voglio riportare alcuni tratti dell’intervista che gli chiesi nel 2007, parole importanti, ispirate, consapevoli e strategiche per la nostra stessa avventura di coristi e ricercatori sulle tracce del canto di ispirazione popolare, così principalmente da lui definito nel Simposio di Cortina, anno 1970. Forse il modo più adeguato, con affetto e senza retorica:

 

Domanda. Si fa un gran parlare, e da molti anni, del ‘canto corale d’ispirazione popolare’ e del suo possibile esaurimento per consunzione di fonti e di materiali originari. Per Giorgio Vacchi, Direttore del Coro ‘Stelutis’ di Bologna,  il contadino, abbandonando la campagna... ha cominciato ad aggiungere altri pezzetti della sua nuova esperienza... c’è tuttora una massa di elementi sonori (sì, anche da radio e televisione) che vanno ad alimentare quel bacino che saprà, in futuro, offrire qualcosa che assomiglierà ad un nuovo canto popolare... ma ciò è compito nostro, creando qualcosa di nuovo che renda il coro interessante per le nuove generazioni...” .

Qual è l’opinione del Maestro Paolo Bon?

 

Dobbiamo essere tutti molto grati all’amico Vacchi per l’immane contributo di raccolta e archiviazione del materiale orale, ma io non credo che si tratti dei canti dei contadini o più in generale delle “classi subalterne”. Per me si tratta di “espressioni dell’arcaico”, che si collocano sullo stesso piano del canto gregoriano. La differenza è solo nel fatto che gli “archaiòi tìpoi” gregoriani si sono fissati nella forma documentale e cristallizzati nella funzione liturgica, mentre gli altri continuano ad evolvere, secondo l’antico aforisma “pànta rèi”. Ad aggiornare quel repertorio ci pensa la natura, pretendere di farlo noi sarebbe oltremodo arrogante. Il compito del musicista è, più semplicemente, di “far musica”: se è legato alle matrici letterarie e musicali arcaiche, le saprà far rivivere all’interno della propria esperienza compositiva. E’ solo col sogno d’onnipotenza romantico che finisce la luna di miele fra il musicista e gli archetipi orali.

Oggi è tempo di ricostituire il legame con l’arcaico, che è quanto dire riannodare le fila della storia dell’umanità.

 

Domanda. Per molti giovani da noi interpellati il canto corale è ‘roba da anziani’, i suoi repertori anchilosati, ‘out’, e la vocalità corale nulla può a fronte dei nuovi mezzi di comunicazione e di diffusione musicale. Cosa si può fare per avvicinarli alla nostra attività?

 

Il problema è reale, e lo dimostra la media anagrafica dei componenti di molti cori. Ma la mia impressione è che l’anzianità degli organici sia essenzialmente il prodotto della vacuità dei repertori e dello scarso impegno di studio e ricerca. Intendo dire che se il direttore è dotato di professionalità e convinzione, propone repertori impegnati (non importa se si tratta di gregoriano, di Bach, o di moderne elaborazioni di esiti orali) ed esige dai cantori il proprio stesso impegno e la capacità di leggere una partitura  i giovani arrivano, eccome, per fortuna gli esempi non mancano.

 

Domanda. In una recente riunione ti ho sentito svolgere un intervento sulle possibilità di nuove musiche e nuovi testi rintracciabili, per esempio, negli scambi di cultura e di civiltà che la posizione di popoli diversi attorno ad un mare, il ‘Mediterraneum pontum’, di cui Venezia fu ed è perno rilevantissimo, favorisce. Allora anche le integrazioni multietniche tra migranti e ospitanti d’oggi, così difficili, potranno diventare materia del nostro cantare?

 

Per ora è un progetto che accarezzo. Ma sono lieto che piaccia a te e che sia piaciuto anche a Raschi, nostro Presidente A.S.A.C. Raschi  propone di partire dalla scuola, e a giorni gli farò avere qualcosa di più concreto della mia vaga proposta di Castelfranco ( Cosa poi avvenuta – n.d.r. ).

Penso che se riusciremo a realizzare il progetto ci attenderanno eccitanti scoperte: la lingua musicale conosce vari stadi evolutivi, ma è la stessa in ogni angolo del pianeta.

 

 

Qualche nota a margine ...

 

Sul ‘mediterraneum pontum’, il mare della nostra Venezia e della venezianità: ripensando all’intuizione del maestro Bon avevo considerato con attenzione il ‘rito padano’ dell’acqua che, anno dopo anno, la Lega Nord  insisteva a portare dalle foci del Po alla nostra Laguna, volendo forse alludere a un circuito salvifico e identitario che agglutinasse e proteggesse le ‘genti padane’. E mi ero convinto del madornale errore storico-geologico, e peggio simbolico, di tale supposizione, poiché quell’acqua giunge alla laguna, e dalla laguna al mare, senza soluzione di continuità, senza sbarramenti identitari o autarchici per chicchessia: essa da millenni trascina a valle i materiali e le merci e gli idiomi di tanti popoli diversi, e tutto ciò consente di proiettare sul mare verso altri popoli e altre rive, e da quel mare riceve inevitabilmente vitalità e relitti d’altre ancora civiltà e suoni ed eventi, e tutto infine, sulle stesse zattere e con le stesse movenze, orali e gestuali appunto, riporta alle origini sue, in un invincibile e ininterrotto flusso di esperienza, delle cose e dei viventi, che nega alla storia e alla cultura che vi si voglia riferire ogni possibilità e velleità di separazione ed esclusione artificiose o interessate. Così che cultura e ‘umanità’ non ne siano violentate.

Ma, al di là del dato di attualità, che mi serviva unicamente da elemento comparativo, Paolo Bon indicava un ambito straordinario di indagine e riscoperta, probabilmente un giacimento vasto di nuova ‘parola’ e di nuova ‘musica’ essenziali, tendenzialmente universali, disperse in una complanarità priva di verticalità, di gerarchie. Insomma non si canta solo ‘per cantare’, bisogna cercare, studiare, creare, o quanto meno rileggere e riproporre con dignità e consapevolezza.

E le invenzioni che ci hanno fatto amare il nostro ‘lavoro’, dal filologico al burlesco, dal sentimentale al drammatico, dallo storico al contemplativo, dal folclorico al sociale: ognuno vi si può riconoscere, e riconoscere i presupposti della comune esperienza di ‘cantatore’….

Donna lombarda / Le sette no' l'era suonate / O Giardiniera / Ce bielis maninis / W l'amor / Emigranti / Camerè porta 'n mez liter / Canso do Bouyè / Le Roi Renaud de guerre revient / Lous Tilholès / Som, som / Sul pajon / Motorizzati a piè / Ohi Zatèr! / I'meta, i'meta / ¡Viva la quince brigada! / Elmegyek / Bin alben e wärti täghter gsi / Cantiuncola (à la claire fontaine) / Piccola suite infantile / Aghie mu Ghiorghi Skiriané / Appunti andalusi (cuando no lleva lucero) / Variazioni su "Quando 'ndaretu a monte" / O Cancellier / La morettina e il cavaliere….

 

E numerose pubblicazioni di grande, speciale qualità…


Addio caro Maestro, grazie.