Torna alla pagina principale di

Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Giugno 2016 - Anno 18 -n.2 (68)

 Scarica articolo in PDF

 

 

IL CANTO  NELLE ASSEMBLEE  LITURGICHE

di Luigi Cerocchi

 

Colgo questa ulteriore occasione che mi viene data dal notiziario del Coro Marmolada, per esternare una mia riflessione sul canto assembleare liturgico, che da sempre mi ha accompagnato nelle mie frequentazioni religiose.

Non è mia intenzione ripercorrere la storia del canto sacro, né di esprimere impressioni sui capisaldi della musica classica sacra, e anche popolare di ispirazione religiosa, che in svariate occasioni  capita di ascoltare, non solo nei luoghi sacri veri e propri,  ma anche in concerti o in particolari eventi religiosi e non solo, lasciando al solo  loro ascolto il coinvolgimento  dei nostri sentimenti.

Ciò su cui intendo invece riflettere con i lettori e naturalmente con coloro, credenti o no, ma comunque frequentatori a vario titolo, di celebrazioni, riti o cerimonie religiose cristiane, è il canto o comunque le espressioni canore assembleari che vengono oggi proposte laddove non esistono cori organizzati per l’animazione delle celebrazioni, o dove questi, pur se presenti, confidano sul coinvolgimento di un’assemblea impreparata al canto di accompagnamento  alle varie fasi della celebrazione, man mano che questa si sviluppa e quindi, spesso con scarsi risultati in termini partecipativi e  gradevolezza.

Tralasciando  le celebrazioni   dove in occasione di eventi di rilievo,  la presenza di cori di professionisti e di Conservatorio ed il ricorso al repertorio sacro tradizionale, spesso anche Gregoriano, non può essere messo in discussione, o anche le celebrazioni di gruppi neocatecumenali o di altre forme di aggregazione comunitaria, dove i canti, spesso di ispirazione bibblica (Salmi, ecc.) rappresentano  i momenti più pregnanti e di maggiore partecipazione, è sulle forme di coinvolgimento dei partecipanti alle celebrazioni cosiddette comuni, quali ad esempio la Messa domenicale parrocchiale, dove  i canti del cosiddetto”vedi  libretto a pag.  ecc.”  stimolano, almeno il sottoscritto, a riflettere sulla misura e sulla qualità di queste espressioni canore, se non addirittura sulla opportunità o meno di eseguirle nel modo in cui oggi spesso le ascoltiamo.

Non dimentichiamo l’importanza del coro, inteso come canto corale, nell’architettura sacra di tutti i tempi. Ricordiamo nel merito le schole cantorum, con il loro recinto, che dall’epoca paleocristiana fino a tutto il medioevo , ma anche oltre, costituivano, insieme al presbiterio, il fulcro dell’architettura sacra negli edifici di Culto, per non parlare del Coro nella zona absidale o nel presbiterio,   dove ancora oggi, se presenti, si radunano i religiosi dei vari Ordini o i coristi per lodare e accompagnare coralmente le celebrazioni.

Non mi riferisco ovviamente, in termini di coinvolgimento partecipativo, a queste forme di esaltazione canora tramandateci dalla storia sacra, le quali peraltro hanno perduto quasi totalmente le formulazioni preconciliari in latino che ne conferivano una solennità pressoché sconosciuta alle nuove generazioni  di aspiranti coristi (ricordo al riguardo il Tantum ergo, il Te Deum, il Salve Regina, l’Adeste Fideles, ecc. che mi accompagnarono nelle mia infanzia di chierichetto) alle quali si potrebbe  attribuire oggi solo un ruolo di spettacolo sacro da ascoltare, godere e contemplare, ma al canto assembleare dei nostri giorni.

Vista dunque l’importanza del canto nelle celebrazioni e nei riti sacri, come la storia ci insegna e dando per scontata, per contro, la riluttanza oggi a cantare, per timidezza o per consapevole incapacità, da parte di molti fedeli o di coloro comunque  partecipanti alle celebrazioni, non si può pretendere di trascinare l’intera assemblea in canti spesso sconosciuti o che comunque meriterebbero di essere provati e riprovati, oltre che analizzati nella loro scelta, nella speranza di produrre una esecuzione accettabile e sufficientemente partecipativa, senza che si provveda ad una seppur minima educazione al canto assembleare. Si assiste spesso a “esibizioni” imbarazzanti dove una, due o al massimo tre persone anziane e magari qualche isolato volenteroso e “coraggioso” fedele, intonano,  con voce sommessa, o anche ad alta voce, a seconda dei luoghi e delle circostanze, spesso con dissonanze o con armonie decisamente non gradevoli, canti  noti solo agli “addetti ai lavori” o poco più.

E’ vero che stonature apparenti si possono avvertire anche, a prescindere dal tema religioso, in alcune canzoni che molti cori interpretano con le più svariate sfumature, come ad esempio in una delle più belle canzoni d’amore interpretate dal Coro Marmolada, che ho più volte ascoltato e che ho anche avuto modo di cantare alle prove, quando ho potuto partecipare; si tratta di “Era sera”- arm. Di A.Mascagni, dove nel passaggio  …”di un giorno di festa”… si avverte chiaramente questa sensazione, ma in questo caso è un passaggio obbligato dall’arrangiamento del canto e dalla tempistica delle varie voci, necessari ad introdurre le armonie successive. Ma il repertorio del canto assembleare domenicale solitamente non prevede questi passaggi e le sensazioni di disarmonia e stonatura si manifestano laddove si presentano passaggi per cosi dire “semplici”, per errata o disomogenea intonazione o per voci inadeguate.

Non tutti sanno cantare e non tutti sono intonati e allora, al fine di evitare disarmoniche e sgradevoli esibizioni, senza privare nel contempo i fedeli del desiderio di partecipare a queste espressioni canore,  non sarebbe il caso di trovare forme, non facile a dire il vero, di regolamentazione  per il coinvolgimento dell’assemblea dei fedeli al canto, anche  laddove non esistono cori di volontari che, con le dovute pluralità di voci, accompagnati magari da qualche strumento (chitarre, armonium, flauti, ecc.)  provino i canti e li interpretino con le necessarie armonizzazioni e varietà di intensità sonora che coinvolgano effettivamente i fedeli, come purtroppo avviene   raramente?  O magari, quando ciò non può verificarsi, animare queste celebrazioni con canti, anche non prettamente sacri, ma comunque ispirati alle bellezze del creato, che potrebbero maggiormente stimolare, per chi li conosce, la partecipazione dei presenti, coinvolgendo anche quelle potenzialità silenziose che invece potrebbero dare validi contributi al buon risultato di tali espressioni di fede?

Banalizzando, ma poi non più di tanto, si potrebbe dire ad esempio: qualche riunione in meno e qualche prova di canto in più.

Esperienze paragonabili a queste possibili diverse forme partecipative si sono già viste in molte occasioni per la disponibilità dei cori di canti popolari a fornire il proprio sostegno anche nel repertorio sacro e non solo. Il Pater Noster (di I.Strawinski adatt. di G. Malatesta) o l’Ave Maria di B. De Marzi (quest’ultima a mio avviso, una delle più belle interpretazioni del Coro Marmolada in tema religioso) sono tra i brani già  ampiamente sperimentati in situazioni simili,  e non  sarebbe dunque  il caso di incentivare maggiormente queste forme di coinvolgimento canoro?