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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Febbraio 2019 - Anno 21 - N. 1 (79)

 

8 Dicembre 2018: Teatro " La Fenice "

Venezia e la "sua" montagna: il patto vive ancora …

di Paolo Pietrobon   

Non sono frequentatore assiduo della "Fenice", cosa che ho intenzione di cambiare, troppo bello, emozionante, varcarne la soglia e entrare nel regno veneziano  –e nazionale, almeno–  della grande musica, di speciali architetture, di eccelsa arte decorativa.

L'ultima visita (prima dello scorso 8 dicembre per il Concerto di solidarietà a favore delle zone montane devastate da un vero e proprio uragano) era stata nell'aprile del 2015, dopo aver ammirato nella sede del Coro Marmolada il filmato della sua ricostruzione dall'incendio delittuoso del 1996, presente il coproduttore dello splendido documentario: "davvero prestigiosa la rivisitazione delle fasi della restituzione alla città del suo Teatro, riuscita nel segno di una volontà forte di intangibilità e rispetto della migliore storia e del miglior ingegno della Serenissima comunità“ ispirandosi al motto "com'era, dov'era", ripreso dalla ricostruzione del campanile di San Marco” (1). "E commovente la contemplazione di un lavoro raffinatissimo di tecnici, imprese, studiosi, artigiani (anche dei nostri territori provinciali ma significativamente di livello internazionale) favorita da un accompagnamento musicale degno della venezianità dell"ardita impresa" (2).

Altro incendio aveva distrutto nel 1773 il teatro "S. Benedetto" (oggi "Rossini") che, una volta ricostruito, per una lite giudiziaria sfavorevole alla società proprietaria restò nel possesso di una nobile famiglia veneziana. Allora quella società volle costruirne uno più bello e dignitoso, il cui nome fu “La Fenice”, a simboleggiare la rinascita della Società dalle proprie disavventure (3).

Efficacissima in effetti, allora come oggi, la simbologia. L'Araba Fenice è un uccello mitologico simbolo dei cicli di "morte e rinascita", per mezzo di questi cicli  la natura e l'uomo si evolvono e continuano la loro esistenza. Fenice deriva dal greco Phòinix, che significa “purpureo”, ovvero di colore rosso porpora, poiché nei miti antichi spesso la fenice veniva rappresentata come un uccello infuocato [in realtà il mito racconta di un periodo di tale sua trasformazione, 500 anni, dopodiché l"uccello muore arso in un nido di mirra per poi rinascere – n.d.r.]. "L'aggettivo "araba" indica la provenienza dell'animale mitologico, poiché il primo in occidente a citarla è Erodoto, il quale asserisce che l'Araba Fenice proviene dall'Egitto …. Il mito quindi è connesso alla ciclicità della vita, all'eternità dello spirito; associata al sole veniva rappresentata con l'emblema del disco solare….”(4).

E questa è la fantasmagoria trionfante, metatemporale, immutata nella sostanza e negli effetti, del colore, degli stucchi, che ti avvolge e incanta come metti piede nel salone della platea, o rincorri quelle meraviglie da uno dei palchetti. Importa poco se di seconda fila.

Questo lo stupore, il respiro contemplativo da me riprovato la sera del concerto, ancor prima di  "entrare nel merito", pur di grande significato, culturale, morale e storico.

Intelligente e  "coraggiosa" l'ideazione dell'evento, innanzitutto per la scelta   –apprezzatissima da noi del mondo coral-popolare– attuata dal Sovrintendente nel senso di aprire il "sacro sito" alla rappresentanza della musica e della poesia di ispirazione popolare, poi per averne affidata la regia di scena a Bepi De Marzi, come nessun altro adeguato, per ogni aspetto, ma pure voce possibilmente dissonante dalla semplice liturgia celebrativo-istituzionale, tant'è che, frammista alle consuete sue affabulazioni, non è mancata –successiva a un deferente rispettoso saluto alla Presidente del Senato, a fianco del Sindaco nel palco d'onore– una stoccata a certa rozzezza di quei parlamentari che non arrossiscono allorché scivolano su prese di posizione o slambricciate esternazioni dal sapore intollerante, se non negazionista, in tema di rispetto democratico delle minoranze etniche e di una limpida convinzione democratica e antifascista, che è come dire –se ho ben interpretato– almeno costituzionale.

Gente che "noi abbiamo eletto", chiosava alla fine il caro Bepi, con evidente amarezza.

Dicevo dei significati dell'evento: di quello culturale ho appena scritto; per l"aspetto morale si trattava –ottima e necessaria su ciò l"iniziativa della Regione– di agire concretamente a sostegno morale, appunto, ed economico delle popolazioni e dei territori di tanta montagna a noi così vicina, sconvolti da un accidente naturale violentissimo, capace, tra l'altro, di sradicare dal loro secolare abbraccio con i nostri monti milioni di alberi, con le intuibili conseguenze di impoverimento dell'economia legata alla silvicoltura e di abbattimento della loro salute per chissà quanto tempo: ma proprio su questa incertezza del futuro, sullo smarrimento psicologico indotto da tanta rovina e dalla sensazione  di una punizione subita da una natura troppo spesso oltraggiata dall'insaziabilità degli umani, lo splendore vincente della rinata Fenice, il teatro più bello del mondo a detta ormai di tante voci illustri, l"ultima quella del Direttore del Concerto di Capodanno Myung-Whun Chung, testimone UNICEF per l"infanzia, ha potuto  richiamare e incoraggiare alla riscossa, alla consapevolezza delle nostre energie, di una storia gloriosa e di popolazioni laboriose e tenaci, quelle dei monti, che dal Ponte della Libertà tante volte il veneziano attento può contemplare sull'orizzonte lagunare; quanto infine al valore storico della giornata veneziana, impossibile e sbagliato non tenere conto di un fatto luminoso della storia veneziana e montana, di quella montagna che per secoli fu dispensatrice di provvidenziale legname per le navi e le sottopalificazioni dei nostri palazzi e ne ebbe dalla Serenissima riscontro di protezione e salvaguardia, e comprensione, sentimenti e valutazioni che tuttora, pur se non pensandoci specialmente, avvertiamo quali componenti dell'ammirazione dei veneziani e veneti per le splendide cime del Cadore, e dell'Alpago, ecc.

Così mi piace definire tutto ciò la riconferma solenne di un patto secolare, quello di mutua assistenza tra Venezia e la "sua" montagna: per le comuni acque, anche quando irruente, per la chiara pietra di palazzi e rive e dimore, per il legno vitale, di un passato luminoso e di un futuro che restituisca al comune impegno una comune salvezza.

 

(1) 1 - Tratto da "storia la fenice.it"

(2) 2 - Corsivo da un articolo sul notiziario dello scrivente.

(3) 3 - Tratto dal citato "storia la fenice.it"

(4) 4 - Da Marco Trevisan, in "Libero Arbitrio"

 Foto di Stefano Marchiamte