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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Settembre 2020 - Anno 22 - N.3 (84)

 

 

 “ MERICA MERICA ” a proposito di "inni nazionali" …

( prima parte )

di Paolo Pietrobon

 

Mi piace, dopo un po’ di tempo, tornare su uno dei temi dell’emigrazione italiana nel Sud America, nel Brasile in particolare, di cui a suo tempo scrissi come del Brasile degli Italiani data la forte presenza laggiù dei discendenti di immigrati nostri connazionali. E il tema è quello della canzone popolare italiana che accompagnò significativamente un fenomeno davvero epocale.

Ricordavo con stupore e curiosità le tante presentazioni dedicate da Sergio Piovesan nei nostri concerti alla canzone “Emigranti” (nel repertorio Marmolada), egli stesso emozionato nel ricordare l’entusiasmo “da stadio” del pubblico italiano in Santa Cruz do Sul (Brasile meridionale) all’annuncio di quel canto.

Tutte le volte Sergio ripeteva che quel canto per quei nostri connazionali valeva come un inno nazionale, sotto traccia in qualche modo, ma sentitissimo. Io ascoltavo con interesse, ma pensavo a un riconoscimento affettivo che Sergio intendeva rendere pubblico, né so ora se la sua fosse l’informazione giusta, e a lui nota, da dare in quei momenti.

Ebbene, recentemente ho appreso che il testo ufficiale di quella canzone: “fu codificato nel 2005 da una legge brasiliana che ha definito “La Merica”  inno della colonizzazione italiana nello stato del Rio Grande do Sul ”. Niente meno!

Eccolo il testo: Dall’Italia noi siamo partiti / siamo partiti col nostro onore / trentasei giorni di macchina e vapore / e in Merica noi siamo arrivà / Merica, Merica, Merica … / cosa saràla sta Merica / l’è un bel mazzolino di fior /// Alla Merica noi siamo arrivati / no abbiam trovato né paglia né fieno / abbiam dormito sul nudo terreno / come le bestie abbiamo riposà /// Merica, Merica, Merica … /// L’America l’è lunga e l’è larga / l’è formata de monti e de piani / e con l’industria dei nostri italiani / abbiam fondato paesi e città. /// Merica, Merica, Merica … (1).

Le differenze con il canto Emigranti della tradizione Marmolada? Significative, ma non sostanziali: il titolo intanto, che vuole in viva luce, accanto al popolo migrante, l’emblema pieno di promesse per la sua grande fatica, La Merica; poi il nome Italia nel primo verso, per nostalgia e omaggio alla patria; subito dopo – qui sì significativo, anche nel senso del bisogno d’identità -  il riferimento all’ onore, un marchio d’originalità che intende non limitare la ricerca del pane alla lotta contro la fame, né subordinarla allo smarrimento della dignità, anche individuale, di ogni donna, uomo, bambino e vecchio costretto ad “abbandonare il tetto”; infine quel mazzolino di fior, presente in altre cante popolari e in questo caso riutilizzato, forse – mi piace immaginare – da qualche giovane donna, su quella nave carica di angoscia e impreviste impegnative promiscuità, quale irrinunciabile soffio di leggiadria e leggerezza.

In ogni caso lo stato di Rio Grande do Sul – governatore Germano Rigotto - ha ritenuto di accompagnare al testo di “La Merica” l’individuazione del suo autore, nella persona di tale Angelo Giusti, poeta brasiliano di origine italiana, al momento di tradurre il legge  il progetto del deputato Josè Sperotto ( 23 dicembre 2005 ), benché “sembri poco attendibile identificare un unico autore di una canzone della quale abbiamo riconosciuto una notevole intertestualità e circolarità di temi e intere strofe con altri componimenti" (2). Tant’è che quasi sempre “la stessa produzione dei cantastorie, anche affidata a fogli riprodotti a stampa, si muoveva al di fuori di ciò che oggi consideriamo diritto d’autore. Non avendo un autore certo, non è possibile neppure individuare una ‘ versione originale”(3).

Risulta stimolante ricercare e ritrovare qualcuna di tali circolarità: nel caso di “Vustu venir Ninéta”, raccolta da tale Gabriele Vardànega a Cavaso del Grappa nel 1983, in Italia quindi, la terra da cui si dovrà partire, e ben inserita nel repertorio SAT. Leggiamone un frammento: “Vustu venir Nineta / vustu venire con me / nela lontana Merica / a travaliare con me /// Merica, Merica, Merica … /// Mi sì che vegnarìa / se fusse fino a Milan / ma per andare in Merica / l’è tropo via lontan …".

Canzone d’addio in questo caso, come numerose altre, ma con un riferimento particolare: Milan, Milano, per tanta povera gente dei piccoli borghi di campagna e montagna il limite immaginabile della propria esposizione al di fuori della ‘ piccola terra ’, ma insieme il concorso semplice, fatto di promesse decantate e di speranze e preghiere personali, della privata vicenda esistenziale con i richiami delle politiche roboanti di uno stato affamato di braccia poco costose ( il Brasile ) e di un altro stato, l’italiano, determinato a limitare la povertà nazionale con l’esportazione del proprio capitale-lavoro ( nel secondo ottocento, nel dopo-prima guerra e nel periodo fascista, anche – ma diversamente – nel secondo dopoguerra ). Milan, la terra dei siri, forse anche la mia …

Ma, tornando all’aspetto strettamente linguistico, come non ricordare il “vustu vegnir co’ mi” di “Partenza amara”, repertorio Marmolada, per quanto in un contesto di guerra, comunque drammatico e pregno di un futuro tanto incerto quanto vincolante? O, tornando al contesto migratorio, la canzone che nasce da fatti di cronaca che colpirono la comune immaginazione per poi essere rielaborati da cantastorie, quella dedicata al naufragio del vapore Sirio, anno 1906, densa di oscuro presagio, di incertezza e malinconia …. E da Genova i Sirio partivano / per l’America varcare, varcare i confin / e da bordo cantar si sentivano / tutti allegri del suo, del suo destin /// Urtò il Sirio un terribile scoglio / di tanta gente la misera fin: / padri e madri abbracciava i suoi figli / che sparivano tra le onde del mar …” (4). Canto ripreso, significativamente, da Francesco De Gregori, anno 2001.

Ultimo prelievo nella realtà della circolazione di temi e musiche, il canto della partenza, ma pure dell’arrivo, “Trenta giorni di nave a vapore” o “America sorella”. Leggiamone un frammento: “Trenta giorni di nave a vapore / fino in America noi siamo arrivati / abbiam trovato né paglia né fieno / abbiam dormito sul nudo terreno / come le bestie abbiamo riposà /// America allegra e bella / tutti la chiamano l’America sorella … / tialallalà – lalallalà – lalalallalà ….”.

Anche qui manca una “versione autentica”, anche qui sentimenti, suggestioni ed emozioni diverse convivono e  trovano posto nella stessa scrittura, forse con un riferimento - tra l’ironico, lo speranzoso e il disincantato ( disilluso? ) – al mito/presagio/consonanza scacciapensieri di quell’allegra sorella… Anche qui infine con intrusioni e prestiti testuali e musicali con le altre stesure di simile argomento, come lo stesso Antonio Gramsci conferma scrivendo di “folclore” quando sottolinea il fatto che all’interno di una canzone possono convivere differenti ‘concezioni del mondo’, modi di pensare, ma anche ricordi e sentimenti, che lo storico ha il compito di individuare e analizzare(5).

Perché dietro alla loro formalizzazione e ripetitività i canti sono simili alle narrazioni personali di tipo orale: i ( loro ) temi possono essere variamente modulati – sviluppandone alcuni e tacendone altri – in maniera analoga al modo in cui un narratore può porgere la sua storia di vita, adattandola a seconda della persona cui la racconta, del momento – anche storico – e del contesto in cui lo fa “(6).

Fino a poter ragionare di vere e proprie rimozioni … che sarà argomento del prossimo articolo.

 

NOTE:

1.      In “ Venetica ”, rivista di storia contemporanea degli Istituti per la Storia della Resistenza di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza, 2019, Cierre Ed., “ I Veneti in Brasile e la storia dell’emigrazione”, a cura di Emilio Franzina: di Alessandro Casellato “ Merica Merica, Permanenze, varianti e rimozioni nelle memorie d’emigrazione ”, pag. 214, nota 11.

2.      Ibidem, pag. 203, par. 2.

3.      Ibidem, pag. 200, par. 4.

4.      Ibidem, par. 200, par. 3.

5.      Antonio Gramsci, Quaderno 27 (11). 1935. Osservazioni sul “Folclore”, in Quaderni del carcere, vol. III, in “ Venetica ”, citata, pag. 214, nota 4.

6.      In “ Venetica ”, citata, pag. 213, par. 1.