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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Settembre 2020 - Anno 22 - N.3 (84)

 

 

Il Friuli che canta

di Monica Tallone  ([1])

Traduzione di Sergio Piovesan

 

"Se sapeste ragazzine cosa sono i sospiri d'amore, si muore, si va sotto terra e ancora si sente dolore". Chi non conosce queste parole? Sono quelle di una villotta, forse l'espressione più significativa di poesia popolare, o meglio del canto popolare, in Friuli. Il termine villotta però non è friulano ma è stato preso in prestito dal Veneto: fino all'Ottocento, per fare riferimento ai nostri canti, si usavano altri vocaboli come canzoni, canzonette, "ricete", cioè insieme di parole che formano versi  e, in Carnia, anche danze.

In ogni caso, l'origine della villotta deve essere molto più lontana; Mario Macchi ([2]), etnomusicologo triestino, che ha lavorato molto sull'argomento, concorda con Enrico Morpurgo ([3]) e Emilio Teza ([4]) che riconoscono una chiara radice celtica, mentre altri studiosi, per esempio Francesco Spessot ([5]), sospettano invece un legame con le antiche melodie del Patriarcato di Aquileia.

Le prime testimonianze sul canto del popolo friulano  risalgono al secolo XV; l'umanista Jacopo Porcia ([6]) scrive che "gli abitanti della Carnia si dilettavano moltissimo  di danze e canti offrendo a chi guardi un gradito spettacolo" (ndt.: in italiano nel testo).  Di un compositore del '600, Lazaro Valvasensi ([7]), si conosce una canzonetta friulana pubblicata nel 1634 su parole sentite cantare da due contadine; particolare questo che ci dice fra l'altro -e lo conferma viene anche da Macchi- come già allora fossero soprattutto le donne a possedere il patrimonio del canto popolare.

Cos'è di preciso la villotta? In sintesi, si potrebbe definirla: canto su testo in friulano su base ottonaria.  Ma la sua definizione forse più bella e di maggiore attrattiva è scaturita dal vivace ingegno di Gabriele D'Annunzio, che conosceva il Friuli e anche apprezzava la storia, la cultura e le tradizioni: " È l'antica villotta friulana breve come il dardo e come il fiore, breve come il bacio e come il morso, come il singhiozzo e come il sorriso. È la villotta cruda, gettata al destino avverso da una voce maschia, misurata dai colpi del martello sull'incudine...". (ndt.: in italiano nel testo). Il poeta ha evidenziato nel modo più elegante quello che si dice, anche nell'intendimento comune, riguardo alle villotte; vale a dire che si tratta di una strofa, di solito una quartina ottonaria -ma non mancano le eccezioni  di villotte con versi di cinque, sette, dieci e anche undici sillabe-, benché cosi corta e semplice, è capace di svelare pienamente sentimenti, desideri, concetti e pensieri profondissimi.  

In una raccolta di scritti di Enrico Morpurgo, uscita nel 1925 sulla rivista "La Panarie"([8]), in un punto si legge che se può accadere di sentir cantare più quartine con una stessa melodia, abbiamo così l'impressione che il componimento poetico sia composto di tante strofe, ma ascoltando bene ci si accorge che ogni strofa, da sola, ha un suo significato e esaurisce benissimo l'argomento che tratta.

Come i canti popolari di ogni Paese, anche la villotta è una manifestazione di arte e cultura tradizionali non scritte, ma tramandata di bocca in bocca e proprio per questo mai uguali. Non si può però considerare le parole senza la melodia alla quale, per tradizione, sono riconosciuti due caratteri principali; la polifonia -più voci che non cantano tutte le stesse note, ma note diverse che creano armonia- è la modalità che esprime sentimenti come la gioia, la forza e la spiritualità: non è che il popolo friulano non conosca il dolore, l'angoscia o la malinconia -scrive sempre il Morpurgo- ma il canto diventa un mezzo per vincerli proprio come dice la quartina : "E io canto, canto, canto / e non so neppure perché / e io canto, canto, canto /solo per consolarmi". Più di qualcuno che è andato in giro per il Friuli a raccogliere villotte può testimoniare come le parole siano un tutt'uno con la musica anche nella testa del popolo. Così, Silvio Angeli ([9]), che ha raccolto le villotte della vallata di Cavazzo Carnico, racconta che, avendo domandato a una vecchietta di recitare una villotta, si è sentito rispondere: "Non la so se non la canto!".

Con tutto questo, per tanto tempo, quelli che hanno raccolto e studiato le villotte hanno tenuto conto più dell'aspetto letterario che di quello musicale; quindi, già verso la fine dell'ottocento, le prime trascrizioni non solo del testo, ma anche delle melodie popolari avevano la tendenza a trattarle con i criteri della musica colta, adattandole per cori di tre voci virili. Inoltre, fra le due guerre, sono nate moltissime "villotte letterarie", cioè scritte da un autore, ma ispirate a quelle del popolo, tanto che ormai anche queste fanno parte  del patrimonio musical popolare; gioverà in proposito ricordare "Stelutis alpinis", scritta e musicata dal maestro Arturo Zardini ([10]), oppure "Cjampanis de sabide sere" del maestro Luigi Garzoni([11]); perfino Pier Paolo Pasolini    ([12]), nel "Stroligut  di cà da l'aga" ("Piccolo almanacco di qua dell'acqua") composto a Casarsa nell'aprile del 1944, si è sbizzarrito con la scrittura di villotte. 

Solo dagli anni cinquanta-sessanta per merito di studiosi come Claudio Noliani ([13]), Mario Macchi e Pavle Merkù ([14]) si sono avute le prime indagini sul canto popolare friulano sui fondamenti principali di trascrizione e studio, un lavoro di una vera e corretta ricerca etnomusicologica. I lavori portati avanti sui testi precisano come il tema dominante delle villotte sia l'amore, in tutte le sue forme; qualsiasi sia il tema trattato, dentro c'è sempre l'amore. Così, per esempio, lo spettacolo della natura non è cantato in sé, ma ispira un sentimento; il sole, le stelle, la luna, il cielo, le montagne, i fiori sono l'espressione giusta per manifestare i propri sentimenti al fidanzato o alla fidanzata,  ora con un fare dolce e quieto, ora con quel briciolo di cattiveria che di solito si trova all'interno dei sentimenti di gelosia o di vendetta. Perfino le villotte di tipo religioso e patriottico sono condizionate da una passione amorosa: le cose sacre sono al servizio dell'amore: Dio, gli angeli, i santi e perfino il diavolo! E anche la satira -sempre che non sia ispirata da quell'animosità quasi naturale che c'è fra la suocera e la nuora o che non  incorpori paesi interi e usanze- può andare contro l'innamorato o l'innamorata.   

Al giorno d'oggi non esiste più il pregiudizio di un Friuli isola lirica -dove il genere monostrofico delle villotte ottonarie si differenzierebbe a pieno dal resto dell'Italia settentrionale dove, invece, domina la canzone epico-narrativa costruita metricamente diversa e con più strofe- così come è stata superata la prevenzione linguistica che confondeva il canto popolare in Friuli con il canto in friulano.   

Molte ricerche degli ultimi  anni rivelano il repertorio della tradizione orale della nostra regione in tutta la sua ampiezza: filastrocche, conte, ninne-nanne, canti epico-lirici, canzoni a ballo, canti in friulano, veneto e italiano con una forma che si differenzia dalla quartina. Senza dimenticare poi che lungo il confine orientale del Friuli vi sono canti nei diversi dialetti sloveni; a Tarvisio, Timau, Sappada e Sauris invece troviamo le parlate germaniche; e senza trascurare per ultimo la presenza sul nostro territorio di canti liturgici di tradizione orale su testi in latino. C'è, insomma, la conferma di ciò che diceva Barbi ([15]), studioso della poesia popolare italiana: "Il Friuli ha una sua forma propria per l'espressione dei sentimenti più frequenti della vita, ma ha anche il patrimonio dei canti comune a tutta l'Italia".  Eppure, la villotta friulana è ancora considerata da tanti studiosi  solo come il canto popolare caratteristico del Friuli, ma addirittura la sua precisa "ipotiposi"([16])(ndt.: in italiano nel testo) , cioè la sua rappresentazione schietta e essenziale;  come ha avuto modo di scrivere Andreina Nicoloso Ciceri ([17]): "La più caratteristica espressione del nostro popolo, nella sua misurata ed armoniosa completezza". (ndt.: in italiano nel testo).


 

[1])http://www.comune.tolmezzo.ud.it/fileadmin/user_tolmezzo/Amministrazione_trasparente/Organizzazione/Curricula/Verzegnis_2014-19/Tallone_Monica_agg_2016.pdf

[2] ) http://www.tuttotrieste.net/prsng/macchi.htm

[3] ) http://www.friul.net/dizionario_biografico/?id=2668&x=1

[4] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Emilio_Teza

[5] ) http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/spessot-francesco/

[6] ) http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/porcia-di-iacopo/

[7] )  http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/valvasense-lazzaro-girolamo/

[8] ) http://www.rivistefriulane.it/riviste/la-panarie/

[9] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Siro_Angeli

[10] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Arturo_Zardini

[11] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Garzoni_di_Adorgnano

[12] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Pier_Paolo_Pasolini

[13] ) Claudio Noliani (1913-1991). Nato a Trieste, studioso e ricercatore del folklore triestino e friulano; ha composto e pubblicato diverso materiale in merito; tra l'altro: "Cantando in coro” con L. Gagliardi , "Canti triestini" con M. Macchi) e "Canti del popolo triestino". Più volte ha fatto parte della giuria del concorso internazionale di canto corale Seghizzi ed è stato relatore ai convegni musicologici Seghizzi di Gorizia. Di particolare interesse musicologico e storico il fondo “Claudio Noliani” della Biblioteca comunale di Trieste, che copre un arco cronologico che va dal 1930 al 1969.

[14] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Pavle_Merk%C3%B9

[15] ) https://it.wikipedia.org/wiki/Michele_Barbi

[16] ) IPOTIPOSI (gr. ὑποτύπωσις "abbozzo, schizzo"). - Figura retorica che, secondo gli antichi trattatisti, consiste nel rappresentare le cose in maniera così viva che sembri di averle sotto gli occhi, quasi se ne presentasse la figura.

[17] ) http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/nicoloso-ciceri-andreina/