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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Dicembre 2022 - Anno 24 - N.3 (90)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ercole Carletti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vi racconto un canto: “27 di otubar”

 

di Sergio Piovesan

 

Il 4 gennaio del prossimo anno ricorreranno i cento anni dalla morte di Arturo Zardini il musicista pontebbano autore della celeberrima “Stelutis alpinis”, canto che ha un po’ oscurato tutta la sua altra produzione di musica religiosa, per banda, patriottica e, ovviamente, i molteplici canti friulani, che rimasero in ombra, e che possiamo ben definire di “ispirazione popolare”.

Fra questi ultimi ce n’è uno che come titolo porta una data, “27 di otubar”,  (pronuncia “vincjsiet”) cioè 27 ottobre. Ma di quale anno?

L’anno è il 1917 e, in quella data ci fu un evento che sconvolse l’esercito italiano e anche la popolazione civile del Friuli e di parte del Veneto: la “rotta di Caporetto”.

In quella data reparti degli eserciti asburgico e tedesco sfondarono a Caporetto per poi dilagare, dalla valle dell’Isonzo, in tutto il Friuli e nel Veneto arrivando fino al Piave.

Il testo è di un amico di Zardini, Ercole Carletti, che, al di là della sua professione di Ragioniere Capo del Comune di Udine, fu uno dei fondatori della “Società filologica friulana” e anche poeta ([1]) .

Si racconta, in forma poetica, in friulano, l’angoscia degli abitanti di quei luoghi  nell’abbandonare la propria casa per fuggire e non restare alla mercé degli invasori.

“Vin siarât la nestre puarte…”, “Abbiamo chiuso la nostra porta….”, e continua con “…abbiamo messo giù bene il nottolino ([2]) , ci siamo messi per strada, con i bimbi a braccia collo.” .

I  fuggiaschi, i profughi, vengono pervasi da un sentimento di vergogna solo per essere costretti all’aiuto di altri o a trovarsi, con dolore e umiliazione, senza niente.

La terza strofa ancora più tragica,  “…Fortunâz i muarz sotiâre, … “ , “Fortunati i morti sottoterra …”,  perché almeno loro hanno finito di tribolare e non sono afflitti da questa grave e dolorosa situazione.

Ed è nella quarta strofa che affiora la speranza di tornare alle proprie case contenti e a testa alta. Ma la realtà fu diversa: ritornarono nei loro  paesi dove, però, trovarono le case distrutte.  In particolare l’autore tornato a Udine trovò la casa mal ridotta, saccheggiata e quel che lo fece soffrire di più la sua importante biblioteca dispersa.

Il testo fu scritto quando venne richiamato in servizio per la guerra ([3]) in un periodo, dopo il 1917, in cui infuriavano le polemiche politiche, e anche fra i  ranghi militari, sulla disfatta di Caporetto e quando era rischioso accennare a questi avvenimenti.

Negli anni successivi, siamo nel 1921, lo Zardini musicò questo testo evidenziando con le note i sentimenti dello stesso.

Si ricorda che l’amicizia fra i due è evidenziata del regalo che Zardini fece a Carletti, il manoscritto di “Stelutis alpinis”, manoscritto attualmente in possesso della famiglia Carletti che ha autorizzato la pubblicazione della foto, nell’edizione  “on line” –a cura del Coro Marmolada- di “Canti friulani di Arturo Zardini – Opera omnia” ([4]

 


 

[2] Piccolo saliscendi per la chiusura di porte e finestre rustiche

[3] La famiglia fu profuga a Lucca