Torna alla pagina principale di Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Gennaio 2023 - Anno 25  N. 1 (91)

 

CANTARE IN CORO, OLTRE I MONTI.

Il racconto affettuoso di chi segue il Coro Marmolada di Venezia

come una figlia il suo papà.

di Chiara Foffano

 

Cantare in coro è un’esperienza unica, coinvolgente e personale allo stesso tempo. Lo dico da cantante e da corista, ma anche da fan del Coro Marmolada di Venezia.

La musica a cappella, prodotta con la sola voce, con il proprio corpo Umano, ha un valore aggiunto, è più preziosa. Sembra impossibile poterci arrivare eppure si è già lì. Ma insieme.

Ogni volta che ascolto il Coro Marmolada dal vivo, spiando le smorfie impegnate del mio papà tra i baritoni, mi commuovo. Conosco bene il suo impegno e la sua tenace passione, per la musica e per i monti. Sono le mie stesse, cadute poi non così tanto lontane dal suo albero. Il suo cantare nel coro è più di un nuovo spartito da imparare. È soprattutto incontro, un impegno che scandisce il ritmo dei giorni, che pone mete nuove e che emoziona durante il viaggio. Credo funzioni così per tutti i volenterosi coristi che ne fanno parte, per tutti quelli che sono parte di un gruppo che solo gruppo non è.

Cantare in coro è magia. L’intreccio delle voci, dei compagni coristi, produce qualcosa di imprevedibile che solo dal di dentro si percepisce. Non ci sono solo le tre o quattro voci dello spartito. Ce n’è sempre una in più, che non si spiega. Forse è la voce del Cielo, il richiamo della Montagna, lo spirito del Natale… quello che io racconto a me stessa e che mi piace tanto ricordare è che quella voce Altra che percepisce chi canta in un coro è quella di chi non c’è più.

Nella lunga storia del coro Marmolada, alcuni se ne sono andati, purtroppo senza ritorno. Ma in un coro si canta anche per loro, sempre. Oltre le montagne, oltre la fine.

Quello che più ammiro e che ogni volta mi sorprende dei coristi del Marmolada è la gentilezza che portano sul palco. Inconsapevolmente. La loro postura, il loro impegno e la divisa ordinata di ognuno sono Rispetto, per il Maestro, per l’esibizione, per il pubblico. In quanti si pongono così, con la volontà priva di arroganza di esserci sempre e nonostante tutto, perché è la vita che lo richiede.

Sono tutti Signori come non ne fanno più. Ritti come fusi, anche chi ha superato gli ottanta e senza lamentele. Corretti, preparati, vibranti. Delicati, semplici, orgogliosi. Spalle aperte e mento alto, per respirare meglio, per arrivare lì dove solo la musica sa portare.

Cantare in coro è anche affidarsi. Non solo a chi conduce, ma anche a sé stessi. Quando osservo mio papà, lo ascolto discutere i suoi valori (anche quelli politici!) penso a quanta consapevolezza abbia accumulato negli anni. Se io la raggiungerò mai. Le mie incertezze di figlia lui le ha già passate, sono forse una sciocchezza tra i suoi ricordi. Ma quando lo vedo nonno, ecco che lo scopro fragile e di una dolcezza infinita. Così penso che un gruppo di nonni (non tutti eh!) che si incontra due sere a settimana, prendendo il bus e arrivando a Venezia, tutti con il proprio quaderno di fogli ordinati, pronti a sistemare quello che c’è da sistemare, desiderosi di chiedersi “Eora, come zea?”, sia della stessa dolcezza. Si affidano gli uni agli altri, si confidano a modo loro (sono pur sempre degli uomini!), si appoggiano vuotando il sacco quando serve, ognuno con le proprie preoccupazioni.

Il Coro Marmolada è un mio monito personale a desiderare il canto nella mia vita per tutta la vita. E sì, questo mio pensiero scritto è di parte: al coro voglio bene perché rende felice la mia famiglia, l’affetto che provo è naturale e sono sicura di non essere la sola!

La musica è un linguaggio universale che muove i cuori, ovunque siano. Con l’anno nuovo c’è da augurarsi che più persone possibili nel mondo si apra a questo dialogo fatto di note ed emozioni.

Felice 2023!