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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Aprile 2023 - Anno 25 - N.2 (92)

IL GRANDE DONO   DELLA MEMORIA

di Alessandro Zanon

 

26 e 27 gennaio, due giorni importanti, anzi basilari per la memoria.

Il 26 la memoria degli Alpini che quest’anno coincideva con l’ottantesimo anniversario del massacro di Nikolajewka, durante la ritirata degli alpini dalla Russia e il 27 la memoria della Shoah con l’abbattimento delle porte di Auschwitz da parte dei soldati dell’Armata Rossa.

Due giorni se si può dire contrapposti, nel primo il corpo degli Alpini, rappresentando una dittatura fascista, dopo aver verificato l’impossibilità di “conquistare le terre di Russia” si ritira e viene abbattuta e decimata dall’esercito sovietico.

Nel secondo i soldati russi che liberano dall’ignominia gli internati ad Auschwitz: ebrei, rifugiati politici, omosessuali, Testimoni di Geova, nemici del regime nazifascista.

Sono state mosse tante (troppe?) critiche sulle diversità delle due giornate.  Critiche assurde, senza fondamento.

Mi sono sentito doppiamente coinvolto, come guida al Ghetto Ebraico e come cantore del Marmolada che   ha animato i canti della messa in Memoria degli Alpini del Don la sera del 26 gennaio presso la chiesa dei Cappuccini a Mestre.

Mi è stata chiesta una cronaca dell’evento a Mestre, che ora descriverò, ma mi sono preso la libertà di ampliare approfondendo o almeno tentando di approfondire un concetto a me molto caro: la memoria.

La differenza tra ricordo e memoria, mi diceva un caro rabbino recentemente scomparso sta nel fatto che il ricordo viene dalla testa, dai pensieri, mentre la memoria dal cuore.

Noi usiamo ricordare i nostri defunti con “fu” o “buonanima”, gli ebrei invece hanno un’espressione che mi piace moltissimo. Dopo il nome del defunto   o della defunta) si aggiunge “che la sua memoria ci sia di   consolazione   e di conforto”.

In una freddissima sera di gennaio si è svolta la celebrazione eucaristica in suffragio o, meglio, in memoria degli Alpini e il coro Marmolada ha animato la celebrazione con canti liturgici ed altri non propriamente “da messa” ma che comunque sono pervasi da un’  immensa  spiritualità, in una chiesa piena degli Alpini dell’Ana di Mestre, da diversi fedeli e da mogli dei coristi.

Durante l’omelia sono stati narrati i fatti cruciali della ritirata di Russia, soffermandosi sul ruolo svolto dai cappellani militari in particolare don Carlo Gnocchi e don Narciso Crosara frate cappuccino del battaglione Tirano, che poi divenne parroco proprio a Mestre. Proprio a don Narciso una donna russa regalò un’icona recuperata nell’Isba di Belegorije, ma un tempo conservata in un monastero edificato nel 1819 per lodare il Santo principe Alexander Nevskij rappresentante la vergine Maria. Il Cappellano la consegnò ad un suo alpino che stava per partire per una licenza in Italia.

L’icona della Madonna, da   tutti conosciuta come la Madonna degli Alpini o la Madonna del Don viene ora custodita e venerata proprio nella chiesa dei Cappuccini a Mestre.

Da quest’anno però una copia dell’icona è stata inviata in Ucraina nel territorio un tempo russo dove l’icona era stata consegnata. La Madonna è ritornata là. Consegnata durante una guerra, riconsegnata durante un’altra guerra, atroce ed infamante come tutte le guerre che il popolo ucraino sta combattendo contro contro l’invasione russa.

Al termine della messa il coro ha voluto omaggiare gli alpini intonando il celebre brano di  Bepi de Marzi “L’Ultima Notte” che narra proprio di questi eventi.

Di solito il recitativo che porta al finale drammatico del brano viene letto dall’amico corista Sergio che però quella sera non c’era per indisposizione. Il maestro mi ha quindi chiesto la mia disponibilità   a leggere al posto di Sergio.

Visibilmente emozionato e commosso ho letto e ho visto, anzi mi è parso di vedere di fronte a me oltre ai presenti in chiesa molti di quegli alpini che hanno visto la morte quel gelido 26 gennaio 1943

La sera prima della celebrazione liturgica, anche per capire un po’ di più, mi sono guardato lo spettacolo di Marco Paolini “Il Sergente” tratto dall’opera di Mario Rigoni Stern “Il Sergente nella neve” che tratta appunto della ritirata dal Don e della disfatta di Nikolajewka.

Con la sua sagace ironia, ma nel contempo con una stretta aderenza al testo l’attore porta riscoprire quei luoghi e quelle situazioni in modo così reale che ad un certo punto mi sono sentito là presente con gli Alpini del Don.

All’inizio dello spettacolo Paolini ricorda che ha chiesto all’autore, presente in sala e visibilmente commosso, perché avesse scritto tale libro e che Rigoni Stern gli avesse     risposto :    “Per capirlo devi andare là”. Compiendo un viaggio a ritroso, lo spettacolo si svolge su due binari paralleli, l’uno la narrazione del suo viaggio l’altro l’evoluzione della narrazione; non narra semplicemente una storia, ma trasmette la memoria.

E’ necessario conservare la memoria e trasmetterla perché “solo chi non conosce la propria storia è destinato a riviverla” come è scritto in un cartello all’ingressi del campo di concentramento di Dachau (Germania). Memoria che diventa responsabilità, che diventa dovere, che diventa dono sia che si parli, di ebrei, di alpini, di migranti, di popolazioni del martoriato Iran e del Kurdistan e di tutti i luoghi e le situazioni che ora ci vengono alla mente.

Per questo bisogna conservare   la memoria, essa diventa dovere, diventa responsabilità, diventa dono.

Creiamo una rete di memoria, anche con i nostri piccoli e poveri mezzi per formare una umanità più giusta, più libera, più ‘umana’,

Utopia? Forse. Ma intanto proviamoci. Saremo una goccia, non importa una piccola goccia a volte può essere l’avvio di qualcosa di più grande.

Ce lo ricordava molti anni fa il cantautore Sergio Endrigo “…che fatica essere uomini…”