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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Aprile 2023 - Anno 25 - N.2 (92)

S.A.T. Meglio l’originale ….

di Paolo Pietrobon

L’articolo di Mino Bordignon (1) sotto riportato è senz’altro datato, ma non obsoleto, a mio parere. La discussione sui modelli e le innovazioni intorno alle quali abbiamo amato ( e amiamo ) il coro trentino, ci siamo sentiti innovatori con la stagione ‘ Nuovo Corale ‘ ( Simposio di Cortina, primi anni ’70 ), ma riascoltiamo con emozione le espressioni genuine di maestri e complessi quali il Coro Stelutis di Giorgio Vacchi o il Coro Bajolese di Amerigo Vigliermo, è più che matura. Per questo mi è sembrato utile, e piacevole, sotto lineare, con le parole autorevoli del Maestro Bordignon, tre concetti dal valore, per così dire, universale:

1.    Mai smettere di apprendere dai modelli che hanno fatto storia.

2.    Tra originale ed imitazioni scegliere e valorizzare il primo.

3.    Insistere sulla critica netta ai modelli e alle produzioni in generale culturali condizionati da strategie mercificanti e banalmente ‘ industriali ‘.

Le sue parole:

“ Beneficiari, per linee indirette, di una coralità fiorita sugli stilemi della ’Corale Protestante‘, coralità adottata – come assunto di cultura pangermanica – anche dalle chiese austriache che, per converso, influenzarono le annesse province tridentine, artefici, a loro volta, di una etnofonia corale ( sound ) intesa come risultato del ‘modus canendi‘ indigeno, acculturato da travestimenti armonici ereditati dalla predetta coralità, i cantori della S.O.S.A.T. ( S.A.T. ), a partire dagli anni venti, cioè subito dopo l’annessione di Trento all’ Italia, e per almeno tre decenni, hanno offerto al nostro paese (fino allora privo di una coscienza corale di base e digiuno di esperienze concrete che non fossero quelle autarchiche divulgate dal dopo-lavorismo del ventennio) l’immagine ideale con cui intavolare proficui confronti.

Col fiorire di nuovi sodalizi corali popolari, sia per incultura, sia per l’incapacità di valutarne il significato storico, tale modello, anziché essere confrontato, è stato per lo più pedissequamente imitato; dal che ne è generata una serie di copie senza identità, rinunciatarie all’atto creativo, non solo, ma responsabili di aver disatteso e insieme svuotato il ruolo storico-pedagogico di cui la S.A.T. era portatrice.

Oggi il fenomeno di massificazione del gusto nell’area consumistica ha finito con l’imporre, a quello che era divenuto un sistema di cantare in coro, la legge della mercificazione e della conseguente arrendevole caducità.

A salvarci sarà sempre il modello originario, cioè la S.A.T., sempreché gli eredi satini sappiano a loro volta trasformare l’antica testimonianza dei padri in un messaggio che si misuri con gli slanci, le angosce, le contraddizioni dei tempi nuovi. Pesante eredità, si capisce!

Quanto agli altri complessi, vecchi o nuovi che siano, non rimane che assecondare o scoprire la propria identità etnofonica, politica, culturale se davvero si è finalmente giunti alla persuasione che anche la musica corale popolare non è mera estrazione mitologica, ma un bene sociale a servizio dell’uomo. E questo è l’ammaestramento e il ruolo che la S.A.T. di cinquant’anni fa può offrire e recitare ancora oggi a quanti intendano con essa confrontarsi e commisurarsi consapevolmente “

 

1) 1976. Mino Bordignon, Direttore Coro INCAS, in “ Coro S.A.T., 1926 – 2001, Trento, volume celebrativo dei 75 anni dalla fondazione, Ed. Cromopress.