Rifugio Bianco
Pena passà la valle
la-oh
e dopo on fià de bosco la-oh
se slarga i prà nel cielo,
la-oh, la-oh,
varda quanti fiori la-oh.
Ecco lassù 'na casa la-oh,
en grande fiore bianco la-oh
sbocià de primavera,
la-oh, la-oh,
profumà d'amore la-oh.
De not la par 'na stela la-oh
che slus a chi camina la-oh
e quando vien matina la-oh
la splende più del sole la-oh.
Se slarga i prà nel cielo la-oh
dal nos rifugio bianco la-oh,
che porta un nome caro,
la-oh, la-oh, la-oh.
Pena passà la valle la-oh.
Vi racconto un canto:
“Rifugio
bianco”
di Sergio Piovesan
Quest’anno
la “Giovane Montagna” di Venezia celebra il suo 60° anniversario di
fondazione e l’evento, al quale anche il Coro Marmolada partecipa, mi ha dato
lo spunto per “raccontare” un canto che si addice proprio a chi ama la
montagna, a chi, zaino in spalla, la frequenta e l’affronta.
Si
tratta di “Rifugio bianco” un canto di Bepi De Marzi che nacque in occasione
della dedicazione a Giovanni Tonini, suo amico, di un rifugio sulle montagne del
Pinè, nel Trentino. Il testo, che si adatta ad una musica molto bella nella sua
semplicità, si può definire una poesia come, d’altra parte, sono poesie
tutti i componimenti di De Marzi.
Chi
frequenta, o frequentava negli anni giovanili, la montagna ed i suoi rifugi, non
può disconoscere che la prima strofa descrive un itinerario classico, quello
che ognuno serba fra i propri ricordi più belli, che ci conduce ad un qualsiasi
rifugio di montagna.
Anni
addietro, quando “andare per rifugi” significava, in particolare per noi
cittadini, dapprima prendere il treno, poi una corriera (allora
non si chiamava ancora “pullmann”) e, quindi, lasciate le ultime
casa del paese, iniziare la salita per una valle, il più delle volte molto
chiusa, percorsa da un sentiero che, procedendo a zig-zag, s’inerpicava
portandoci in quota.
Spesso
si procedeva non vedendo neppure il cielo, tanto era fitto bosco di latifoglie.
Poi, un po’ alla volta, la vegetazione cambiava: ai carpini, frassini e faggi
seguivano pini, abeti e larici. Ecco, quasi all’improvviso, al termine del
bosco, aprirsi un’ampia conca prativa, una valle multicolore per la presenza
di numerosissimi fiori.
L’aria
che prima, alle quote sottostanti ed all’interno del bosco, risentiva ancora
del caldo e dell’umidità, era ora più frizzante e ci ritemprava l’energie
per proseguire la salita. Zaino in spalla, ogni tanto si alzava gli occhi verso
l’alto per controllare dov’era il rifugio che, però, sembrava sempre
lontano. Magari, per la conformazione del terreno, ogni tanto scompariva e, al
riapparire, ci sembrava … più grande, più vicino.
Quando
poi si faceva tardi -e qualche volta capitava- all’imbrunire, all’esterno
della casa, s’accendeva una luce, quasi una stella a mostrarci il cammino.
E
finalmente, eccoci arrivati! I prati che abbiamo attraversato ora sembra che
continuino e si allarghino verso il cielo.
Ognuno di noi, nel ripercorrere mentalmente questi itinerari raggiunge il proprio rifugio ideale, magari il primo “conquistato” in giovinezza, quello che rimane, sempre e in ogni modo, il rifugio più bello.