di
Giovanni Lucio
Dalla
consegna della nuova sede in Rio Terrà dei Pensieri , il Coro Marmolada ha
ampliato di molto, direi, il suo raggio d’azione, diventando più Associazione
Culturale. Nel senso che, accanto alla attività prettamente corale, hanno preso
l’avvio altre iniziative e momenti, quali l’indizione di una leva per il
potenziamento e rinnovo dell’ organico, l’idea di costituire anche un coro
femminile, incontri e conferenze di
e con autori e prestigiosi
direttori e, ancora, la sistematica illustrazione dei testi dei canti in
repertorio, fatta su questo nostro giornalino, l’avrete certamente notato, da
Sergio Piovesan che racconta delle fonti delle loro ispirazioni, della
personalità degli autori dei versi e della musica, che ne traduce il testo se
non scritto in italiano. E proprio da questo impegno di Piovesan è nata, o se
volete è rinata, la domanda: ha
senso cantare la guerra? Perché
è noto che i canti dei cori
così detti “di montagna”, quale risulta essere, anche se non del tutto
“di montagna” il coro Marmolada, sono spesso malinconici, se non addirittura
tristi. Su questa peculiarità, ricordo, ironizzava in un suo sketch Gino
Bramieri, l’indimenticato uomo di spettacolo. Quando
saremo fora fora della Valsugana……..la mamma la sta bene (meno male….) ma
il papà l’è ammalato(ecco1 la sfiga ineluttabile….
) il mio ben partì soldato (…la guerra, peggio di così !... ).
Ma proprio la guerra
con le sue inutili e stupide atrocità ha offerto lo spunto a numerosi canti,
spesso di alto profilo poetico e musicale, canti sui quali non può innestarsi
alcun tipo di ironia. E dei canti di guerra hanno trattato i coristi del
Marmolada Paolo Pietrobon e Sergio Piovesan, efficacemente supportati dal
presidente Rolando Basso, in una conferenza tenuta il 17 aprile scorso presso la
Scuola dei Calegheri in Campo S. Tomà a Venezia.
Poco prima dell’inizio dei lavori non c’era molta gente, per la verità.
Poi, invece, si è quasi riempita di persone bene attente alle precise
spiegazioni di Piovesan su testi,
origini, aggiornamenti e adattamenti temporali di alcuni fra i più noti canti
di e sulla guerra, da sempre nel repertorio della maggior parte dei cori di
montagna o di ispirazione popolare. E mentre Sergio raccontava, apparivano su di
uno schermo i versi dei canti, l’eventuale trasposizione in lingua italiana e
immagini che si rifacevano al loro contesto. Poi la voce di Sergio cessava, le
subentrava quella del Marmolada a chiosarne la narrazione, a rendere suggestiva
l’atmosfera, a captare tutta l’attenzione dei presenti in sala, a stimolarne
riflessioni e sentimenti. Stelutis
alpinis: le
stragi sul fronte italiano della prima guerra mondiale; Sul
ponte di Perati e Il Golico: la
sciagurata campagna di Grecia del 1940/1941; Le
voci di Nikolajewka: gennaio
1943, trenta gradi sottozero, a Nikolajewka – località spersa nella vasta
pianura del Don – gli alpini della Tridentina rompono eroicamente
l’accerchiamento russo per proseguire nel calvario del cammino verso casa,
sulla tremenda solitudine bianca, in una lotta immane contro lo spazio; Joska
la rossa: ancora
seconda guerra mondiale, ancora l’infinita solitudine della steppa russa, i
villaggi
incontrati nel percorso verso il fronte, il contatto con i residenti non in armi
(donne, anziani, bambini), il superamento dei rispettivi pregiudizi alimentati
dalla propaganda, la comune sofferenza della guerra, la compassione di una
ragazza russa verso uomini (non nemici invasori) tanto lontani da casa e dagli
affetti famigliari; Joska: mamma sorella sposa. E di altri canti ha parlato
Sergio; non certo per “cantare la guerra”, ma perché nessuno ne dimentichi
l’infinita inutilità.