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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Dicembre 2014 - Anno 16 -n.4 (62)

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Canto spontaneo: estinzione?

di Enrico Pagnin

 

Mi chiedo: perché Arturo Benedetti Michelangeli ha armonizzato dei canti popolari per la S.A.T. ?

Evidentemente gli piacevano. Ma fino ad un certo punto. Te lo immagini, seduto vicino ad un caminetto, un sommo musicista come lui cantare la melodia, mentre, intorno, qualcuno tenta di cantare “in terza” e qualcun altro tenta di fare il basso? Naturalmente riuscendoci dove i passaggi sono così elementari che, praticamente, vengono da soli.

E' sterminata la quantità di libri scritti sul cosiddetto canto spontaneo, o canto da osteria, o canto libero e i suoi legami con l'ambito liturgico, col lavoro, con le feste....e via dicendo. Ma qui ripeto la domanda iniziale:  perché musicisti professionisti e di fama hanno preso canti popolari e li hanno trasformati, praticamente, in canti d'autore?

La risposta: perché il canto elaborato da un musicista è più bello.

La spontaneità sarà pure una bella cosa, certi momenti di vita in un gruppo che canta saranno pure magici, per il senso di appartenenza a un comune vissuto, ad un comune sentire, ma oggi, ventunesimo secolo, con la tecnologia che ha messo a disposizione di tutti la possibilità di fruire di qualsiasi tipo di musica (e, in ogni caso, bastano radio e televisione), sentire cantare nel luogo di lavoro, o in un'osteria, o durante una processione religiosa nel modo spontaneo cui accennavo prima, fa un po' pena.

E poi non esistono più la civiltà contadina, montana, urbana delle periferie, operaia..... Di queste il canto era un elemento fondamentale, accanto ai proverbi, ai modi di dire e al linguaggio adoperato in genere.

Se tu entri in un autobus di qualsiasi città o paese, al nord come al sud, vedrai gente di ogni età, ad eccezione, forse, di ultrasessantenni, cuffie sulle orecchie, smanettare con cellulari per scattare foto,   giocare, ascoltar musica, mandare messaggi, cercare informazioni nella rete e cento altre funzioni che la tecnologia mette a loro disposizione. C'è una omologazione di comportamenti e interessi, oltre che del linguaggio, che va oltre quella omologazione culturale che Pasolini prevedeva già mezzo secolo fa. Questa, di fatto, ha atrofizzato nel popolo la spontaneità creatrice, da cui il canto traeva  vitalità. Che tristezza quei concerti negli stadi, dove migliaia di giovani e meno giovani fanno oscillare le braccia sopra la testa, cantando a squarciagola le strofe più conosciute, incitati dal cantante sul palco.

Per questo credo che gli autori che hanno armonizzato canti popolari o che, addirittura, hanno visto diventare canto popolare loro creazioni (vedi  ”Stelutis alpinis”), abbiano compiuto un'opera indispensabile, per salvare dall'estinzione un ricchissimo patrimonio musicale che, “nobilitato” da armonie raffinate ed eleganti fraseggi, suscita ancora l'interesse di molti appassionati ed è ascoltato con piacere anche da cultori di altri generi di musica.