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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Ottobre 2015 - Anno 17 -n.3 (65)

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Canti della guerra: quarto appuntamento

Dove sei stato mio bell’alpino

di Paolo Pietrobon

 

Nella versione cantata dal Coro Marmolada, e accreditata pure nel repertorio della Sat trentina per l’armonizzazione curata da Antonio Pedrotti, il testo è dei più semplici, e non proprio agevolmente – se non per la presenza del termine ‘ alpino ’, altro e fondamentale sintagma della letteratura musicale di cui stiamo occupandoci – potrebbe un appassionato meno habitué riconoscere il ‘come’ e il ‘dove’ di quel colore che cambia sul viso del soldatino (?) e poi, per l’universale taumaturgia dell’amore, torna ad un tenore rasserenante: “ Dove sei stato, mio bell’alpino / che ti ga cambià colore? / L’è stata l’aria del Trentino / che mi ha cambià / colore. / I tuoi colori ritorneranno / questa sera, a far l’amore.”

Effettivamente, a voler esagerare, quest’alpino potrebbe anche starsene in una caserma del Trentino, o ad una esercitazione, tanta è la certezza con cui la morosa attende il suo ritorno, e senza riferimento ad alcunché di drammatico. Ma tant’è, i testi popolari intensivamente utilizzano, nel loro nascere e trasformarsi in relazione a contingenze e contesti diversi sottintesi o semplificazioni, allusioni o riutilizzazioni di scritture e musiche preesistenti, e l’effetto emotivo-musicale inventato dalla bravura di Pedrotti ci mette tutto ciò che eventualmente manchi.

Che si tratti però, con buona approssimazione, di una semplificazione effettiva di uno o più testi precedenti ( o prevalenti ), nei quali senz’altro emerge l’appartenenza del canto alla tradizione dei canti alpini ‘ di guerra’, è suggerito autorevolmente dal testo riportato nell’ormai noto libro di Virgilio Savona e Michele Straniero, così ( Alpini, 15/18 ): “ Dove sei stato / mio bell’alpino.../… che ti ha cangià colore? / L’è stata l’aria / dell’Ortigara / che mi ha cangià colore…/… è stato il fumo della mitraglia / …”. Il resto come nell’altra versione.

Tutto più conseguente, qui, e meglio rappresentativo dell’attitudine ‘iconografica’ attribuibile ai canti ‘ di guerra’, nel senso che ‘ Ortigara’ è parola da sola sufficiente a tratteggiare un intero terribile sanguinoso teatro di guerra.

“ In quei giorni primaverili del 1917 i piani dell'esercito italiano non prevedevano solamente l'avanzata sul fronte isontino, ma anche un nuovo piano offensivo nella zona dell'Altopiano di Asiago. Nonostante la controffensiva dell'estate precedente infatti, questa ampia zona di montagna era ancora parzialmente occupata dagli austro-ungarici, le cui posizioni sulle cime meridionali del Trentino davano un grande vantaggio strategico.

Venne perciò formata una nuova armata (la Sesta) agli ordini del generale Ettore Mambretti, il quale avrebbe guidato i 200mila uomini alla conquista del Monte Ortigara, 2105 metri, all'estremità orientale dell'altopiano, tra il Veneto ed il Trentino.

L'azione, considerata una delle più importanti dell'intero conflitto,  venne organizzata per la metà di giugno ma da subito fu bersagliata dalla sfortuna e dai contrattempi. La controffensiva austro-ungarica sul Flondar aveva reso necessario anticipare l'attacco. In tutta fretta Mambretti organizzò le prime linee ma, proprio quando stava per essere dato l'ordine (7 giugno)  piogge torrenziali impedirono l'inizio delle operazioni, e il giorno seguente una mina destinata alla linea austro-ungarica esplose in anticipo uccidendo in un solo istante 230 soldati italiani.


Mambretti però, inspiegabilmente, decise di non aspettare e il 10 giugno lanciò l'assalto all'Ortigara. Le divisioni partirono verso le pareti scoscese della montagna mentre 430 cannoni e 220 lanciabombe iniziarono a colpire le trincee asburgiche, ma le nuvole basse impedivano di avere una buona visuale e tutti i colpi andarono a vuoto,
cosicché i soldati si trovarono bloccati sul fianco fangoso della montagna e si trasformarono in facili bersagli dell'artiglieria austro-ungarica.
La battaglia infuriò per una settimana ma le conquiste, ad esclusione di diversi pezzi di artiglieria e di circa mille prigionieri, furono nulle.
Il 25 giugno, dopo due settimane di combattimenti durissimi, i soldati asburgici respinsero definitivamente gli assalti della Sesta Armata con l'utilizzo di
lanciafiamme e di gas.

La Battaglia dell'Ortigara divenne così una delle pagine più drammatiche della Grande Guerra: in 16 giorni gli italiani persero più di 25 mila uomini e alcuni battaglioni persero oltre il 70% degli effettivi”.

 

Ovviamente la bellezza della musica che accompagna il canto, e una buona esecuzione, rendono giustizia ad un testo monco e indubbiamente generico, al limite del fraintendimento del suo presupposto celebrativo.

In questo caso, come spesso nei canti di questo genere, l’unico indizio di un’emozione forte, che però trattiene pudicamente l’angoscia e la paura, per compassione del soldatino amato o per non esistere nella semplice fanciulla ( o mamma o…) il coraggio di fare cenno alla guerra che inghiotte il giovane uomo, sta nella promessa di un ritorno felice, del recupero di quei colori in un viso rasserenato, quasi come la mamma che al bambino riottoso davanti alla siringa della vaccinazione promette in premio l’abbraccio più tenero, e la ripresa del libero gioco che l’attende a casa, come sempre, nell’abituale imperdibile serenità familiare.

Non altro può dire e fare, di fronte al grande macello, una semplice ragazza ( o mamma…) innamorata di quel soldato: non imprecazioni, non protesta ‘politica’, non ricorso alle autorità’ superiori’. Non altro, se non abbracciarlo con tutta la forza di cui è capace, nascondendo il viso incapace di fingere sulla sua spalla, e affidarsi alla ( buona) sorte.