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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Ottobre 2015 - Anno 17 -n.3 (65)

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Il  canto e la musica "altra"

                                                           di Alessandro Zanon

 

Nel repertorio del coro Marmolada esistono alcune cante  che sembrano al primo acchito quasi stonate o comunque dissonanti rispetto al nostro modo comune di sentire.

Vorrei cercare di analizzarne qualcuna per capire il loro grande valore spirituale e musicale.

La musica diversa, ma preferisco chiamarla la musica “altra” è arricchente perché ci permette di spaziare oltre i confini del nostro “ far musica” ed aprirci non solo la mente ma anche il cuore.

Отче наш, сущий на небесах “ sono le prime parole di una canta religiosa meravigliosa che il coro esegue nella bellissima armonizzazione del M° . Malatesta.

Le parole, in latino sono tradotte con “Pater Noster Qui Es In Coelis” e l’autore della musica è il celebre compositore russo Igor Stravinski. Scritta prima in russo e poi in latino quest’antica preghiera viene cantata nello stile russo ortodosso, in cui le voci si intrecciano e si allontanano creando una sorta di dissonanza o di “stonatura” ad un orecchio non abituato a suoni diversi dalla  sensibilità musicale italiana e mediterranea, ma che è tipica della liturgia  russo ortodossa.

Dallo stesso repertorio c’è pure la toccante “Tibi Paiom” (Noi ti cantiamo) del compositore Dimitri Bortnianskiy (1751-1825), anche se ne viene discussa la paternità o meglio un importante arrangiamento da parte di Ciajkovski ( si veda in proposito il bell’articolo di Sergio Piovesan comparso su questo giornale al n.59 di marzo 2014

http://www.coromarmolada.it/mrmdigitale/MRM59/MRM_0314_59_2.htm).

Poco importa chi sia l’autore o l’arrangiatore, l’importante è quello che questa canta in poche (strane) parole vuole suscitare anche in chi non conosce le lingue slavoniche.

Nata con lo stesso concetto, anche se non si tratta di inno religioso è la bellissima Kde domov můj? “ (Dov’è la mia patria?).

Anche qui si notano passaggi e frasi musicali “che non ci appartengono” e che però nel contempo suscitano emozioni ( specie la frase musicale “dove scorre la Moldava” in cui le voci in particolare di Bassi e Baritoni ricordano i famosi cori russi).

Un discorso a parte meritano due cante  che voglio mettere insieme per “assonanza” culturale ed una che nonostante parli di montagna ha un “… sapore di mare” ( senza voler scomodare Gino Paoli).

Esse sono “Elmegyek” e la “Preghiera degli Zingari” da una parte e “Quando la luna” di Bepi de Marzi dall’altra.

Le prime due si rifanno direttamente (“Elmegyek”) o indirettamente (“Preghiera degli Zingari”) alla grande tradizione musicale ungherese  o meglio ‘magiara’, che non é assolutamente una tradizione slava ( Guai se dite agli Ungheresi che sono un popolo slavo!) ma ugro-finnica ( esattamente come il Finlandese) dove sia  la realtà autoctona che la realtà  zingaro/tzigana si fondono creando sonorità intense giunte sino a noi sia con le struggenti melodie zingare sia grazie ad autori quali Bela Bartok  o Zoltan Kodali ( autore tra l’altro di quel  sublime canone a bocca chiuso che il coro esegue spesso all’inizio delle prove per “far fiato”).

Chi scrive ha visitato diverse volte l’Ungheria e cantando o semplicemente ascoltando tali brani “respira” la grande pianura magiara detta “puszta” dove i cavalli corrono liberi e lungo i cui filari di viti si prepara il vino Tokaj (con la Kappa e con qualche grado in più rispetto al nostro pur buono  “Friulano”!)

Il canto di Bepi de Marzi “Quando la luna”  una nostalgia struggente verso le “sue” montagne è dettato da un fatto biografico del grande maestro del canto corale: si trovava in viaggio di nozze in crociera lungo il mar Egeo e lungo il percorso delle isole del Peloponneso. Per quanto intriso di nostalgia verso le Dolomiti il canto è pervaso da una melodia tipica di quelle terre, quello stesso modo di “sentire la musica” tipico dei Greci che ha dato origine, tra l’altro alle toccanti melodie di Mikis Theodorakis (tra cui le celebre “Danza di Zorba”).

Culture diverse o meglio, come si diceva all’inizio culture “altre” che incontrano le nostre e ritornano  creando in chi ascolta (e in chi canta) la sensazione che “essere diverso è bello, è arricchente, è stimolante”. In poche parole fa crescere.

Non possiamo poi dimenticare quel famoso adagio ”Là dove senti cantare fermati … i malvagi non hanno canzoni ..”

Ma a conclusione desidero segnalare un’altra citazione. L’autore è Kahil Gibran poeta mistico libanese della prima metà del’900. L’opera da cui è tratta è il celeberrimo “Il Profeta”  “… il segreto del canto risiede tra la vibrazione della voce di chi canta ed il battito del cuore di chi ascolta …