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Marmoléda

MARMOLÉDA - Notiziario dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Marzo 2016 - Anno 18 -n.1 (67)

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Incontrando De Marzi ... tra armonie e buon umore

di Sandro Bergantin

 

Il primo incontro tra Lucio Finco e Bepi De Marzi -per quanto ne so e ricordo- avvenne nel 1966.

Ricorda De Marzi, con un'immagine onirica, nel fascicolo sui 40 anni del Coro Marmolada "Ti ricordi Lucio?... Era una sera al Circolo del Mare " -qui a due passi da dove siamo ora- "Cantavate tra le vele, le gomene, i trofei delle tempeste, reliquiario di un altro passato, dove gli uomini misuravano il tempo di là delle lagune. Venezia appariva dalle finestre come oblò. Ci sembrava di navigare, e le onde erano montagne, e le montagne erano tetti e altane, e i miti colombi erano aquile o pellicani. Un viaggio incantato, dal quale avrei voluto non tornare più".

Lucio era una persona profondamente umana, amante dell'amicizia, con quel senso di ironia scherzosa che solo i veneziani di antica data sanno esprimere e capire. (Memorabili le sue barzellette e il modo di raccontarle).

La sensibilità musicale, la voglia di conoscere nuove esperienze, di uscir fuori del classico repertorio SAT, l'aver fatto il militare negli alpini, il mistero di un vino dal nome sconosciuto come il "durello" e una valle, un paese. Arzignano, tutto questo spinse Lucio a stringere un rapporto di amicizia e stima con De Marzi e il suo coro.

Nel fine settimana partivamo il venerdì sera, dopo il lavoro, con la mia 850 beige a volte con i fari mezzi guerci a tagliare folate di nebbie invernali per partecipare al rito del dopo prove del coro "Crodaioli", passando di casa in casa, di cantina in cantina: da quella fornitissima del "nodaro" presidente, il notaio Pagani, a quella del Paride o di Mario Pansa, un po' più modeste ma mai sguarnite. Tra assaggi copiosi di "durello" delle varie zone e pane e soppressa, si scioglievano racconti di storie e passioni paesane, amori e tradimenti di un vecchio mondo, quello un po' emarginato della campagna, dei colli, delle contrà. Un mondo che, già allora, rappresentava l'ultimo bunker naturale nei confronti dell'alienante civiltà. Storie di montagne aggredite dalle mine e dai picconi che aprivano cave come carie gigantesche. Una montagna ferita.

E l'ora del ritorno a casa non arrivava mai. O meglio arrivava quando Lucio riusciva a realizzare il suo obiettivo: farsi dare da De Marzi la partitura appena ultimata di una sua canta. E poi, a volte, si finiva, con i pochi rimasti, nella piazza del paese, attorno alla fontana della Dafne, per l'ultima canta.

Una di quelle serate ebbe un finale non proprio tranquillo. È un episodio, questo, che forse avrete già sentito raccontare in altre occasioni. Quella volta con noi c'era anche Bruno Martin (addetto -si fa per dire- alle pubbliche relazioni). Dopo il solito giro di casa in casa, di cantina in cantina, si ricominciava d'accapo. La mia tolleranza al durello era scarsa rispetto alla compagnia. E l'ora del ritorno a casa non arrivava mai. Intanto si erano fatte già le tre di notte. Gli occhi, ormai stanchi, si chiudevano pesantemente. Così decisi di fare un bel scherzetto ai due veneziani: mi sarei fermato a dormire in una camera d'albergo. E che loro si arrangiassero. Accompagnai Lucio e Bruno a Vicenza e li lasciai nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria, in attesa del primo treno che sarebbe arrivato dopo le cinque del mattino. Nessuno sa che cosa si siano detti in quelle ore e quali storie raccontate.

Il legame con De Marzi e i Crodaioli ci portò a frequentare anche Carlo Geminiani -poeta mite e buono- che ha composto i testi di molti canti di Bepi. Sono ricordi anche qui pieni di umanità e buona tavola vicentina, che meriterebbero ancora altro tempo a disposizione. Solo un animo nobile come Carlo poteva scrivere, e questo è il tempo giusto per ricordarlo: .... "Era la notte bianca di Natale ....  silenziosa come frullo d'ale ... "  ed ancora ..."Natale che passa, Natale che viene, volemose bene..." .

Fugaci ricordi di 50 anni fa che hanno generato stima e riconoscenza. "Mi hai insegnato la delicatezza nelle interpretazioni delle mie storie" scrive ancora De Marzi a Lucio "che ricamavi con misura, gusto e arguzia."

Termino leggendo un breve sonetto di un "anonimo" di Cannaregio, che Carlo della Corte, scrittore veneziano ha messo in apertura del suo romanzo "Di alcune comparse a Venezia", perché mi sembra riassuma bene lo spirito di quegli anni, che ha cementato un legame fraterno che dura nel tempo.

 

Un veneto cantar, co tanto mosto

nel fiasco, e 'na gran slepa de polenta

verta davanti c' fa la luna,

e un contadin che somegia a Bertoldo

ma ga l'anema omerica,

e 'na putela fina che te par

Elena opur Beatrice

ma ga l'anema de 'na serva.