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Marmoléda

MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Dicembre 2016 - Anno 18 -n.4 (70)

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Il Coro Marmolada a Santa Maria dei Miracoli:

una sfida alla buona acustica

di Luigi Cerocchi

 

Nel dicembre 2015, ebbi modo di trattare  per il notiziario, un argomento che mi stava molto a cuore, che non poteva che discendere dalla cosiddetta mia “deformazione professionale”, dove,  i nuovi inserimenti architettonici nel tessuto storico, anche laddove  pervenutoci solo parzialmente, integro, intesi non solo come fattori estetici di qualità nel rispetto della connotazione identitaria di un luogo, ma anche come spazialità architettonica e artistica vissuta entro cui muoversi ed operare, è assimilabile, ne più ne meno alle armonie musicali ed ai ritmi di una corretta esibizione corale.

Si trattava, come forse molti lettori del notiziario ricorderanno, di un articolo intitolato “architettura e musica: una comune armonia”, ove il cosiddetto cubo di Piazzale Roma fu il pretesto per disquisire e riflettere sul concetto dell’inserimento, dell’architettura contemporanea in contesti urbani storici o meno, ma comunque con connotazioni urbanistiche ed edilizie caratterizzate e riconoscibili come tali, dalle quali non si può prescindere, proprio come dovrebbe avvenire in un concerto, dove ogni elemento componente il coro o l’orchestra ha una precisa funzione in una determinata collocazione in relazione agli altri componenti.

Tematiche affini, o comunque riconducibili al valore culturale del canto popolare corale, ebbi pure modo di trattare in altri numeri del notiziario. Cito tra questi “il canto popolare corale, un patrimonio da tutelare”.

Sono tutti argomenti che in qualche modo si ricollegano al concetto di rapporto qualitativo tra architettura, intesa come contenitore artistico e la buona acustica dei luoghi dove i cori si esibiscono e tra questi il Coro Marmolada.

Ci si potrebbe domandare, cosa c’entrano l’architettura ed i ritmi armonici, oppure il valore culturale di un coro di canti popolari, anche a tema religioso - che soprattutto per l’interpretazione dei testi raccontati, può essere riconosciuto come bene culturale da tutelare - con la qualità storico-artistica e con la buona acustica degli ambienti ove i cori si esprimono? In parte ho cercato di spiegarlo nei succitati articoli, ma cerco di darne una più compiuta spiegazione, come peraltro Sergio Piovesan ha cercato molto chiaramente di fare nell’editoriale del n.59 (marzo 2014) del notiziario e in due successivi suoi articoli del maggio e dicembre dello stesso anno (“il coro, l’acustica e la professionalità”  “i luoghi del …..bel cantare”).

La buona riuscita di una esibizione canora corale, non può che dipendere, oltre naturalmente che dalla buona preparazione dei coristi e del Maestro, dalla qualità e dalle caratteristiche dei luoghi, o meglio degli ambienti  confinati (per le esibizioni all’aperto il discorso è ben diverso) dove il coro si esprime, come il dimensionamento, la forma e i materiali costruttivi e di rivestimento di pareti e soffitti. Ma non basta, incidono, anche emotivamente sulla qualità della prestazione dei coristi e sulla godibilità dello spettacolo da parte del pubblico,  soprattutto i rapporti dimensionali, spaziali ed armonici, tra le varie parti dell’edificio, proporzionalmente e grammaticalmente corrette e connesse in un contesto artistico gradevole  e stimolante.

Domenica 11 dicembre il coro Marmolada si è esibito nella Chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Venezia. Quale migliore occasione per sperimentare ed avere una conferma di quanto detto anche in un ambiente di dimensioni relativamente modeste con una tipologia architettonica, formale e costruttiva elementare ( coro a parte), apparentemente acusticamente inadatta per esibizioni canore corali, specie se raffrontata ad architetture complesse e decisamente più grandiose in cui spesso si è esibito, con sicuro e comprovato successo, il coro Marmolada.

Non ero presente al concerto, come purtroppo mi capita spesso per motivi logistici e quindi non posso pronunciarmi sull’esito del concerto, ma conosco la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, non tanto per averla visitata di persona, quanto per averla studiata, insieme a molti altri edifici monumentali veneziani e veneti, nel corso dei miei studi per l’accesso ai ruoli tecnico-scientifici dell’allora Ministero per i Beni culturali ed ambientali e posso affermare con certezza, che sulla base  degli elementi conoscitivi da me acquisiti in tale circostanza, ed anche in seguito sui caratteri di tale manufatto, e conoscendo le peculiarità canore del coro Marmolada ed il suo repertorio, sicuramente oculatamente scelto in relazione a tali caratteristiche, l’esito del concerto non può che essere stato positivo.

Per spiegare le ragioni di questo mio convincimento, è doveroso fare un cenno più puntuale e circostanziato sulle predette caratteristiche di tale manufatto, peraltro, come si diceva, abbastanza diverse dalla maggior parte di quelle degli ambienti che hanno dato al coro esiti acustici eccellenti e tra questi cito la Chiesa dei SS. Maria e Donato a Murano , che secondo Sergio Piovesan è stata quella che ha dato i migliori risultati dal punto di vista acustico.

La costruzione della Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, così chiamata da un immagine votiva della Madonna,  nota per aver fatto un gran numero di miracoli, fu avviata nel 1481 da Pietro Solari, detto Lombardo, per le sue origini e proseguita dai figli, architetti e scultori, Antonio e Tullio.  Incastonata tra calli e campielli e fiancheggiata dall’omonimo rio, è senza dubbio  il primo esempio di architettura rinascimentale a Venezia. Lontana dalla purezza formale del Codussi, della classicità rinascimentale riprende solo gli elementi fondanti, ovvero l’ordine architettonico, interpretato però, come accedeva normalmente a Venezia, secondo il plurisecolare gusto locale di orientale provenienza, e dove  l’elemento architettonico portante, o simulato tale, l’ordine appunto, nella fattispecie il doppio ordine, peraltro con una giustapposizione inconsueta, corinzio il primo ordine e jonico il secondo, non s’impone per la sua plasticità, ma per le sue geometrie appiattite, in cui domina la policromia tipica della tradizione veneziana, ovvero il colore dei materiali naturali di rivestimento totalmente marmorei, ai quali è affidata anche una esuberante funzione decorativa.

Anche la coeva e non lontana Scuola di S.Marco, oggi ospedale civile dei SS.Giovanni e Paolo, opera dello stesso autore, ribadisce tali concetti. Nella Venezia medioevale fino al primo rinascimento, ma anche oltre, quando non è il colore, è la trama ed il “ricamo”degli elementi compositivi, come ad esempio in palazzo ducale o nella Ca' d’Oro, che qualifica e connota il  patrimonio edilizio storico, almeno fino a quando, con  il Sansovino prima e soprattutto con il Palladio e lo Scamozzi poi e a seguire, riemerge la plasticità tipica dell’architettura del rinascimento maturo, dove sono evidenti  le trasposizioni della classicità romana ivi importata dopo il Sacco di Roma.  Ai semplici ed essenziali ambienti ad aula  con coro, od anche a più navate ma con rapporti indefiniti dai quali però, come vedremo, si distacca la chiesa di S. Maria dei Miracoli,  si preferiscono impianti architettonici più complessi ed articolati, dove nulla sfugge alle regole del ritmo armonico e della modularità degli spazi.

Ciò che comunemente colpisce in S. Maria dei Miracoli è l’esterno, in particolare la facciata e la zona absidale; quest’ultima è l’unica visibile dai percorsi più frequentati e pertanto la più nota, mentre  purtroppo poco, tra la gente comune, si sa   dell’interno, grazie anche ai i testi di storia dell’arte che raramente li descrivono e quasi sempre lo fanno con pochi riferimenti alla conformazione spaziale, ai materiali costruttivi ed al rivestimento, che sono  invece  proprio gli elementi su cui ragionare ai fini delle risposte che questo deve dare alle esigenze acustiche dei coristi e di chi ascolta.

Guardando l’esterno di questo scrigno di marmi, colorati dalla natura e dal tempo, ci si potrebbe aspettare, per contro, un interno spoglio e banale, come spesso accadeva negli edifici sacri che l’hanno preceduta, invece la realtà è ben diversa. L’impianto ad aula, con volta a botte cassettonata ed il coro rialzato, raggiungibile con una ripida scalinata, sormontato da cupola su tamburo e la balaustra  con pulpiti marmorei ai lati  che delimitano la zona presbiteriale, e che sottolinea e rimarca una netta separazione tra l’area delle celebrazioni e l’assemblea dei fedeli,  sembrerebbe pensato più per l’ascolto della parola che non  per la musica. Le dimensioni, relativamente modeste, accentuate  dalla predetta separazione e la semplicità dell’involucro murario, sembrerebbero non favorire gli effetti sonori propri di un coro, che di norma e a seconda del repertorio, richiede spazi dilatati purché geometricamente perimetrali e   adeguatamente  dimensionati per quel tipo di canto, specie in altezza.

In santa Maria dei Miracoli, invece, con i coristi posizionati nel coro rialzato, nonostante le predette limitazioni, la presenza di superfici piane interamente marmoree, riduce sensibilmente l’assorbimento acustico, che invece è richiesto dalla voce parlata e la pressoché assenza di elementi in aggetto, evita eccessive diffrazioni delle onde sonore, contenendo la durata delle code sonore , altrimenti fastidiose per il loro sovrapporsi.

Certo c’e’ anche da rilevare che gli effetti acustici sonori sono ben diversi tra un ambiente vuoto e lo stesso ambiente pieno, e ancora diversi se esiste un apparato microfonico, che di fatto annulla gli effetti propri della sonorità pensata nella progettazione di questi preziosi ambienti. Ma i cori non necessitano di apparati microfonici, perché si affidano totalmente, per una corretta propagazione e diffusione del suono,  ai caratteri tipologico-formali e materici più volte citati, nonché all’entità delle superfici assorbenti quali appunto i rivestimenti parietali, gli arredi e il pubblico.

Non deve sorprendere pertanto se, a prescindere dagli ambienti cosiddetti “scatolari” privi cioè di connotazioni architettoniche ed artistiche di qualità, dove pure  può capitare di doversi esibire, ovviamente con scarsi risultati per quanto concerne la resa acustica e la godibilità dello spettacolo, nei locali storico-artistici, cosiddetti idonei per le esibizioni corali, apparentemente simili, si hanno esiti sonori i più diversi.

Sono le leggi della fisica che inesorabilmente condizionano tali esiti, a volte inaspettatamente, ma ricordando che nel caso ad esempio di molti edifici sacri, pur nel rispetto dei canoni costruttivi  del tempo, questi sono stati pensati anche in previsione della migliore acustica possibile, vuoi per il canto (vedi ad esempio le cattedrali gotiche per il canto Gregoriano), che per la voce parlata, sarà sempre possibile, con i dovuti accorgimenti per gli arredi, con le schermature e con  la giusta dislocazione del pubblico e dei coristi, ottenere effetti sonori, se non perfetti, almeno accettabili e tali da coniugare nella giusta misura  le peculiarità architettoniche  ed artistiche degli ambenti prescelti con la buona riuscita dei concerti.