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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Dicembre 2020 - Anno 22 - N.4 (85)

 

 

“ MERICA MERICA ”… a proposito di ‘ inni nazionali ’ …( seconda parte )

[ Contraddizioni e rimozioni di un difficile riposizionamento comunitario]

 

di Paolo Pietrobon

 

Nel precedente articolo dallo stesso titolo ho potuto fissare due elementi sostanziosi dell’epopea culturale migratoria italiana nel sud del Brasile, particolarmente nello stato di ‘ Rio Grande do Sul ’: il fatto che il testo ufficiale della canzone in cui oggi ancora si riconoscono i pronipoti di quegli immigrati “ fu codificato nel 2005 da una legge brasiliana che ha definito “La Merica”  inno della colonizzazione italiana nello stato del Rio Grande do Sul ”; e che “ dietro alla loro formalizzazione e ripetitività i canti sono simili alle narrazioni personali di tipo orale, i  loro temi possono essere variamente modulati – sviluppandone alcuni e tacendone altri – in maniera analoga al modo in cui un narratore può porgere la sua storia di vita adattandola a seconda della persona cui la racconta, del momento – anche storico – e del contesto in cui lo fa “.

Fino a poter ragionare di vere e proprie rimozioni …

 

Ora vediamola questa opera di “ autotutela ” – tra l’italianità di un paese-padre soccombente, dagli anni ’20, al fascismo nazionalista da un lato, e dall’altro il processo di integrazione nel paese ospite, geloso e imperioso nell’amalgamare le diverse nazionalità presenti, ma politicamente, e strategicamente ( dal 1942 dell’esplicita spinta americana verso il ripudio del fascismo della madrepatria ) alleato dei paesi capitalistici e antinazisti. Ambedue cose che comportarono, come vedremo, ostilità e pregiudizio per i nostri emigrati, salvo che per la loro dedizione e ‘ tranquillità sociale ’ nell’essere lavoratori e, via via, protagonisti del progresso economico di tante regioni inospitali di quello stato.

Non essendo specialista di storia americana, preferisco trattare il tema affidandomi a esplicite citazioni del testo che già nel primo articolo ho utilizzato: diciamo che sarò un po’ pigro, ma metterò a disposizione dei miei lettori un estratto qualitativo delle analisi in esso contenute.

Tra Ottocento e Novecento: “ Il fenomeno migratorio europeo ha caratterizzato lo scenario brasiliano, partecipando alla politica di Stato di ‘ branqueamento ’, semplicemente sostituendo la manodopera schiava nelle piantagioni di caffè o dedicandosi ai piccoli lavori urbani … [per questo obiettivo] l’immigrato europeo dovrebbe creare unità produttive in territori spesso occupati da popolazioni originarie ( gli indios ), garantire il potere effettivo dell’Impero in quelle zone e – attraverso matrimoni endogamici – trasformare la fisionomia del territorio … E attirare immigrati europei, inseriti all’apice di una piramide gerarchica delle razze, significava risanare la popolazione nazionale, ‘ farla bianca ’, ovvero ‘ branquear ’”.

Tra i nostri emigrati, d’altra parte, “ l’isolamento ha permesso la continuità di un mondo rurale fondato sull’economia familiare e culturalmente sulla coesione fra il mondo contadino e la Chiesa. La necessità di comunicazione interdialettale e di controllo del paesaggio con capitelli, chiese e case ha prodotto la rinascita di un mondo veneto-lombardo che era la rielaborazione delle diverse provenienze … [ così] nella politica locale il ruolo dell’immigrato cominciava ad essere rivalutato e la politica del PRR, il Partito repubblicano riogranense, cercava di occupare spazio in questo nuovo fronte elettorale ”.

In queste intricate seppure ‘ positive ’ evoluzioni prende consistenza il racconto “ di quell’esperienza avvincente che ha generato la zona d’immigrazione: comincia a nascere l’epopea migratoria italiana … e non sarà un caso che alla commemorazione del cinquantenario, 1875 – 1926, l’idea di emigrato italiano [ per bocca del nostro console, Arduini, NdR ] sarà sostituita da quella di ‘ italiano all’estero ’, una chiara indicazione mussoliniana per trasformare la condizione morale degli espatriati in contrapposizione alla vecchia Italia liberale che non li aveva riconosciuti … [e farli diventare] un appoggio alla politica nazionalista del Duce, che capitalizzava il successo dell’esperienza migratoria nel Brasile meridionale.

 

Il disagio per la politica fascista in Italia e nell’Africa, la tentazione della rimozione.

“ Il 3 ottobre 1935 Mussolini determina l’inizio dell’operazione militare italiana in Abissinia … di seguito l’Italia è dichiarata Stato aggressore da parte della Società delle Nazioni che vota alcune sanzioni economiche […] Benché il conflitto riguardasse l’Italia e l’Etiopia, nel contesto internazionale la disputa coinvolgeva inglesi e italiani, in un momento di cambiamento nelle relazioni storiche tra i due paesi. La risposta fascista sosteneva che l’azione internazionale cercasse di bloccare lo sviluppo italiano e puntava il dito contro questi stati che volevano frenare la crescita economica nazionale, chiedendo a tutti i connazionali, nella penisola o fuori confini, di partecipare allo sforzo patrio per la  difesa  della nazione”.

La chiamata alle armi ideologiche e confessionali trova ben presto ascolti determinati, ad ‘ alzo zero ’ si direbbe con linguaggio d’armi, appunto: ma già dal 1922, proprio nel Rio Grande do Sul il giornale “Staffetta riogranense” si era impegnato per la causa fascista, anche sugli eventi italiani, fino al punto di trattare con ironia beffarda episodi quale l’intimidazione perpetrata ai danni di Enrico Ferri a Rapallo, dove il deputato socialista era in vacanza, con un taglio ironico del racconto giornalistico che è invito all’accettazione della nuova forza politica in ascesa: “ Il deputato, semidio socialista, mentre stata a deliziarsi a Rapallo ricevette avviso dai fascisti di portar altrove la sua ciccia, se voleva avere il piacere di aver le coste sane. Ed egli, amante … della libertà, si sottomise volentieri e prese il volo verso altri lidi più ospitali. La libertà di pigliar quattro pacche fa alle volte prendere … risoluzioni eroiche se non fossero comiche “ (1).

 

E venne il momento, 1937 – 1945,  dello Estado Novo (2) e della seconda guerra mondiale.

“ Gli italiani e i loro discendenti vissero momenti di tensione durante il periodo della Seconda guerra (1939 – 1945), poiché il Brasile nel 1942 (3) si unì agli Alleati nella lotta all’Asse, formato da Germania, Giappone e Italia. Quest’ultima pertanto diventò ‘ nemica di guerra ’ e gli ‘ italiani ’ in Brasile cominciarono a essere percepiti come individui pericolosi e ostili … [ Proprio mentre] per lo  ‘ Estado Novo ’ la nazionalizzazione degli immigrati era un obiettivo politico. Vi era un intero apparato dello stato il quale si proponeva di formare l’ ‘uomo nuovo ’ tanto bramato dalla politica del governo comandato da Getulio Vargas … Il governo brasiliano inoltre aveva dato poca attenzione all’istruzione nelle colonie d’immigrazione. Molte scuole erano finanziate dagli stessi immigrati, il che rendeva il portoghese, in quanto ‘ lingua domestica ’, un qualcosa di distante. Furono i figli degli immigrati che, con la chiusura delle scuole italiane e l’apertura di quelle nazionali, impararono il portoghese e insegnarono l’idioma nazionale ai propri genitori ”.

E fu proprio nelle dimensioni delle relazioni sociali e della comunicazione linguistica – tra sentimento d’appartenenza italiana e percezione della necessità dell’integrazione nella nuova patria – che trovò alimentazione una certa cosiddetta “ rimozione”: da un lato dell’ ‘onta’ derivante dall’uguaglianza italiano = fascista, per molti immeritata e soggettivamente respinta, dall’altro del disconoscimento da parte della politica autoritaria di Vargas dell’impegno degli immigrati per l’accettazione e generalizzazione della lingua portoghese e la condivisione delle usanze del grande paese. In un caso e nell’altro, insomma, un greve magone da digerire, e spesso nascondere, a scapito della spontanea tendenza alla solidarietà e alla condivisione portate laggiù dai nostri migranti insieme con i propri stracci, i mannelli della buona semenza contadina, le preghiere e le imprecazioni per grandi sofferenze e fatiche terribili.

Tutte cose – considerazioni, confessioni, narrazioni, corrispondenze - che non poterono non essere ‘ prudentemente o rispettosamente ’ trattenute e velate ’ quando si trattava di comunicare con l’anima e l’esperienza dei propri colleghi, compagni, parenti, soprattutto quelli lasciati ma non dimenticati in Italia. Tutte cose che infine non poterono rimanere escluse dalle intime suggestioni e dal canto, dalla canzone, che sono di tali suggestioni canali prediletti di scambio e diffusione.

“ Insomma, poter ricordare e raccontare è senz’altro un diritto che le nuove generazioni dei discendenti italiani percepiscono come già acquisito. Così come poter dimenticare, forse, specialmente per quelle famiglie che furono legate in qualche modo al fascismo ”(4).

 

 

NOTE:

1.      Le parti in corsivo da “ Venetica ”, rivista di storia contemporanea degli Istituti per la Storia della Resistenza di Belluno, Padova, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza, 2019, Cierre Ed., “ I Veneti in Brasile e la storia dell’emigrazione”, a cura di Emilio Franzina: di Luis Fernando Beneduzi “ Italianità e politica estera fascista nel Brasile meridionale: una lettura sulla guerra in Abissinia ”, pagg. 235-247.

2.       Getúlio Vargas, politico e militare brasilianopresidente e dittatore del Brasile per due periodi, dal 1930 al 1945 e dal 1951 al 1954. Fu leader della rivoluzione brasiliana del 1930, che pose fine alla Prima Repubblica.

3.      La decisione fu presa dopo  la promessa USA di aiuti nella costruzione di una impresa siderurgica - la CSN - e dopo attacchi sottomarini a navi della marina mercantile brasiliana.

4.      Le parti in corsivo da “ Venetica ”, rivista di storia contemporanea degli Istituti per la Storia della Resistenza, citata: di Marica Catarina Chitolina Zanini “ Memorie non rivelate. I discendenti italiani del Brasile meridionale raccontano l’epoca dello ‘ Estado Novo ’ (1937-1945) e della Seconda guerra mondiale ”, pagg. 257-259.