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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Marzo 2021 - Anno 23 - N.1 (86)

 

Cosa sta dietro a una canzone

Enrico Pagnin

Qualche giorno fa, mentre guidavo, ascoltavo una radio locale che trasmetteva canzoni su richiesta.

A un certo punto, è andata in onda “Son tutte belle le mamme del mondo”, una canzone di metà anni '50, famosissima e ascoltatissima nei vecchi apparecchi radio. Infatti mi sono reso conto che conoscevo a memoria quasi tutti i passaggi.

Già da bambino la odiavo, pur non avendo i concetti di “sdolcinato”, “retorico”, “melenso”, “stucchevole”. Infatti, alla fine, il conduttore della trasmissione ha adoperato questi termini per commentare questo brano.

La canzone, complice la quasi mancanza di traffico, per cui ero poco impegnato nella guida, mi ha riportato alla mente ricordi, immagini, sensazioni di quegli anni, seguite da riflessioni sulle peculiarità della società degli anni '50 e '60, benché vissuti da bambino.

La conclusione è stata che malgrado la forma linguistico-comunicativa, insopportabile ai nostri giorni, i valori che stanno dietro alla maternità, all'amore materno, al ruolo educativo della madre, ai suoi sacrifici sono sempre attuali. E l'averli dimenticati ci ha portato alla mostruosità della maternità surrogata per coppie omosessuali.

Credo che un analogo atteggiamento di ascolto e riflessione dovrebbe  essere rivolto a tante canzoni del repertorio di noi cori cosiddetti “popolari”. Queste cantano il lavoro, la guerra, l'amore, il rapporto figli-genitori, la nostalgia, l'emigrazione..... Bisognerebbe cercare di cogliere la cultura, cioè l'atteggiamento di fronte alla vita e i modi di affrontarla, i valori che la rispecchiano e confrontarli con il nostro presente. Solo così il canto popolare diventa interessante.

Sarebbe bello per i nostri giovani, che a sentirli sembrano tanto superficiali e totalmente privi di spessore culturale, scoprire le paure, i sogni, le speranze,  l'ingenuità e la sfortuna degli uomini e donne delle generazioni precedenti, nell'affrontare guerre, povertà e fame e duro lavoro. Ma anche l'ingenuità, la capacità di accontentarsi di poco, la religiosità. Questo offrirebbe loro qualche spunto di riflessione sulla propria esistenza e contribuirebbe al formarsi di un'identità più precisa.

La cosa talvolta riesce con ascoltatori di una certa età. E chi canta scopre di entrare in sintonia col pubblico.

Se il coro è di altissimo livello, può succedere quello che un famoso etno-musicologo scrisse una volta: ”Il coro della SAT non è un coro trentino. Il coro della SAT è il Trentino”.

Ma direi che potremmo accontentarci che figli e nipoti, nel sentire un bel canto di tradizione popolare, sollevassero un attimo gli occhi dallo smartphone e si lasciassero trasportare dalle immagini sollevate dal testo e accarezzare dalla musica.