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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Marzo 2021 - Anno 23 - N.1 (86)

 

 

Anche i 71 anni di storia del "Marmolada"

fanno parte dei 1600 di Venezia

 Sergio Piovesan

 

Quest'anno 2021 la nostra Città ricorda e celebra il 1600° anniversario della sua fondazione. Secondo la leggenda e il mito il 25 marzo 421 i fuggiaschi dalla terraferma avrebbero costruito le prime abitazioni e la Chiesa di San Giacometo sulle isole della zona chiamata Rivo Alto. Non esiste, però, alcuna documentazione o fonte storica che avvalori questo fatto e che, invece, quasi convalidato dalla Repubblica Serenissima molti anni dopo e questo per motivi politici e di prestigio. La fondazione nel giorno dell'Annunciazione era qualcosa di più di una fondazione, era quasi un'incarnazione. E il mito si perpetuò nel corso dei secoli sempre per apportare maggior prestigio alla Repubblica e alle sue istituzioni.

E quest'anno, nonostante le difficoltà poste dalla pandemia, il Comune vuole ricordare con eventi questa data, ma ancora non si sa cosa sarà effettuato nonostante l'affollato comitato istituito per questo.

Noi del Coro Marmolada, non potendo effettuare alcun evento, anche e soprattutto perché siamo fermi da un anno e non sappiamo quando sarà la ripresa, vogliamo ugualmente ricordare quest'anniversario anche perché negli ultimi settantuno di questi milleseicento anni di storia noi ne facciamo parte.

E cosa vogliamo raccontare se non di canti, canti veneziani ovviamente, sia di quelli cantati sia di quelli studiati e riscoperti e, pur nelle nostre piccole disponibilità pubblicati.

Sono due i canti che abbiamo riportato alla ribalta, canti che il nostro pubblico conosce e ammira sia per la nostra interpretazione come per la nostra proposta e che in quest'articolo descriviamo. Degli altri, scoperti e studiati vi rimandiamo al prossimo numero di "Marmoléda".

 

"E mi me ne so 'ndao". 

A Venezia, vuoi per la particolarità del luogo, vuoi per il contatto continuo che il popolo, o meglio alcune categorie dello stesso, aveva con altre forme di cultura, i canti cosiddetti popolari non trovarono terreno fertile e quindi non si radicarono, non furono tramandati e di conseguenza caddero nel dimenticatoio.

Non così invece accadde nell'immediata periferia, nel vicino estuario, sulle isole che circondano Venezia e sulla gronda lagunare. Per questo motivo oggi alcuni canti lagunari vengono fatti passare per canti veneziani, come il caso appunto di "E mi me ne so 'ndao" che si conosce anche col secondo titolo di "Peregrinazioni lagunarie" e la cui origine risale alla metà del XVII secolo.

E` questo un canto di una polivocalità particolare comune all'area adriatica, nel tratto che va dall'Abruzzo all'Istria, dove viene chiamato rispettivamente "canto a vatoccu" (vatoccu è il batacchio della campana) e "canto alla longa" (canto da lontano). Le due definizioni individuano bene la caratteristica del canto che è appunto un "botta e risposta" perché a una strofa cantata da un barcaiolo, risponde, magari in lontananza, un altro barcaiolo, dalla barca o dalla riva.

La riscoperta di questo canto si deve ad Alan Lomax, etnomusicologo di fama mondiale che ha effettuato ricerche principalmente negli Stati  Uniti e in tutta Europa, ma la sua popolarità in Venezia è senz'altro dovuta a una studiosa e interprete del canto popolare veneziano, Luisa Ronchini, bergamasca trapiantata in laguna, nel 1965. La sua prima divulgazione in campo nazionale fu nel 1970 quando la RAI presentò un documentario sui "Tiepolo" dei quali in quell'anno furono allestite mostre favolose nella Villa Manin di Passariano (Ud) e, per l'incisione, a Udine. Il canto in questione era la sigla iniziale del documentario che si apriva con la visione di un sandalo (barca tipica) che, scivolando sulle piatte acque della laguna, attraversando i posti più suggestivi, arrivava a Venezia e in questo suo peregrinare la barca era immersa in una luce particolare, quella luce che proprio i Tiepolo, ma prima di loro anche altri pittori veneziani, che noi oggi chiamiamo vedutisti, seppero rappresentare così bene nelle loro opere d'arte.

E la particolare melodia di "E mi me ne so 'ndao" suggerisce agli ascoltatori, magari con un po' di fantasia, proprio l'idea di quella particolare luce, difficile da descrivere e che si può ammirare, e della quale si può anche godere, trovandosi immersi negli spazi che sembrano infiniti della laguna.

A fine degli anni '70 Lucio Finco, direttore artistico del Coro Marmolada, rielaborò con molta semplicità la melodia caratterizzandola con una voce solista baritonale, non triste, ma velatamente malinconica e nostalgica, sostenuta da un accompagnamento muto del coro.

Sul nostro canale Youtube trovate tre video con altrettante interpretazioni ed esecuzioni del canto

( https://www.coromarmolada.it/YOUTUBE.htm ).

 

"Canto dei battipali""

Anche questo è un canto che fa storia, un canto di lavoro, quello particolare dei "battipali", che nei suoi versi, numerosissimi e inventati nei diversi periodi, ricorda periodi e leggende di Venezia, della sua vita civile e religiosa. Però il motivo di questo canto, o meglio di questa cantilena, era quello di accompagnare e di coordinare i movimenti dei lavoratori che, con molta fatica, infiggevano nel fango della laguna, fino al caranto, pali lunghissimi che compattavano il terreno per poi poter innalzare sopra le costruzioni di palazzi e chiese.

Esistono diverse versioni del testo, composto di frasi che non hanno alcun significato compiuto, che non raccontano alcuna vicenda, ma che, pur prendendo spunto dalla storia e dagli emblemi della Serenissima e pur ricordando la fede e la religione, avevano come unico scopo quello di ritmare il lavoro.

Vi s'invoca Dio, Cristo e la Madonna ma, anche, si sente inneggiare al Leone di San Marco, quello con la spada al posto del Vangelo; non mancano i ricordi del glorioso Arsenale né per la “bela piaza che xe a San Marco” e neppure l’odio per i pagani “cani de mori” o “el turco cane”. A volte si trovano degli sconfinamenti che potrebbero definirsi triviali se non fossero bonari e privi di malizia. Il tutto è quindi un assieme di sacro e profano, di nostalgico e positivo, d'avventura e di fierezza, un miscuglio di doti e di debolezze che furono poi quelle del popolo della Serenissima.

La prima registrazione, e la successiva trascrizione di questo canto avvenne nel 1954 a Pellestrina (Venezia) da parte di Alan Lomax, mentre il testo, ed anche l’andamento musicale, ai quali si riferisce la nostra esecuzione, sono tratti da “I canti popolari italiani” di R. Leydi (1973).

Quello che ascolterete nell’esecuzione del “Marmolada”(vedi sempre nel canale Yotube del coro di cui al collegamento sopra indicato), non è il canto come era eseguito dai battipali durante il loro lavoro, ma è un pezzo elaborato ed armonizzato a quattro voci maschili da Giorgio Vacchi, musicista e direttore del Coro Stelutis di Bologna, elaborazione dedicata dal Maestro Vacci proprio al Coro Marmolada. Quest'armonizzazione prevede un'introduzione musicale, che vuole essere descrittiva dell’ambiente lagunare, e una parte di due solisti, ritmati dall’accompagnamento del coro, che, nell’emissione delle voci, esprimono la fatica.

 

C'è anche un terzo canto che è entrato solo per un'esecuzione nel repertorio della Marmolada, ed eseguito per un particolare ricordo in occasione del centenario della prima guerra mondiale. Si tratta de "Il diciaoto de novembre", o "Adio Venessia, adio", e narra la vicenda di quei veneziani che, dopo la disfatta di Caporetto (ott. 1917) trovandosi Venezia a pochissimi chilometri dal fronte e soggetta a bombardamenti, fuggirono profughi in altre località italiane.

In particolare è interessante il racconto del viaggio in vaporetto fino a Chioggia, con sosta a Malamocco dove gli abitanti dell'isola litoranea volevano conoscere da dove arrivavano questi veneziani e dove andavano.

Di questo canto, eseguito a una sola voce, non abbiamo alcuna registrazione.

È, però, anche questo un pezzo di storia della nostra città e, quindi, ritengo opportuno proporlo solo nel testo che è riportato in nota ([1]).

 


 

[1] Il diciaoto novembre una giornata scura,

montando in vaporeto i n'à fato ciapar paura.

Col fischio de la sirena, col rombo del canone,

noialtri povari profughi intenti all'incursione.

El mariner da bordo diceva "Andate a basso

che qualche mitragliatrice potrebbe farvi danno".

Addio, Venessia addio noi ce ne andiamo

addio Venessia addio Venessia salutiamo.

Passando par Malamocco ghe gera de le donete

che tutte ci dimandavano "Ma da che parte siete?"

Siamo da Canaregio San Giacomo e Castelo,

siamo fugiti via col nostro fagotelo.

Ed arrivati a Chioggia ci misero accampati

come fussimo stati i povari soldati.

Dopo tre ore bone, rivata la tradota,

ai poveri bambini un poca de aqua sporca.

E a noi per colazione la carne congelada

che dentro ghe conteneva qualche bona pissada.

E da Rovigo a Ferrara una lunga fermata

durante tuta la note fino alla matinada.

Dopo quarantott'ore del nostro penoso viaggio

siamo arrivati a Pesaro uso pellegrinaggio.