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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Febbraio 2022 - Anno 24 - N.1 (88)

 

 

 

“Canzoni da battello veneziane  - 1740-1750”

di Sergio Piovesan

 

Da molti anni, all'interno del mio gruppo corale, svolgo la funzione di presentatore e, proprio per questo, ho iniziato a documentarmi sulla storia dei vari canti.

Poi è nato il mio interesse anche per altri generi di canti e non solo per quelli cosiddetti popolari e, quindi, mi sono approcciato ai canti sacri e liturgici e, infine, anche ai canti da battello veneziani e alla loro storia.

Negli anni '90, essendo di professione informatico e quindi più addentro ai diversi software, per il coro ho iniziato a copiare spartiti da suddividere per le varie parti; dapprima  con i primi programmi di notazione musicale, alquanto farraginosi allora, per finire attualmente con MuseScore, un SW gratuito e molto completo.

Così ho iniziato una produzione di opuscoli "on line" di vari generi di musiche principalmente corali, opuscoli che si trovano sul mio sito e su quello del coro.

http://www.piovesan.net/MusicaCorale/MusicaCorale.htm

https://www.coromarmolada.it/EdizioniDiverse/EdizioniDiverse.htm .

Sono diventato -come mi definisco- un "amanuense musico-digitale".   

 

Prima di entrare nello specifico delle "Canzoni da battello veneziane" vorrei ricordare la prima pubblicazione, che venne edita a stampa, nata dall'ascolto di alcune "Villotte veneziane" dalla voce della signorina Ines Battain che molti veneziani conoscono.

Ho registrato queste villotte (sono 36), ma, non esistendo musica scritta (esistono pubblicazioni ottocentesche dei testi ma le musiche venivano tramandate solo oralmente), ho interessato un ex corista degli anni '50, Enzo Fantini, musicofilo, che ha provveduto alla loro trascrizione.  

 

Dopo questo, mi sono appassionato e, a tutt'oggi, ho copiato circa 400 spartiti di vario genere, il tutto pubblicato "on line", ma non solo.

Negli anni '90, dopo un concerto presso la Basilica di San Pietro di Castello, il coro è stato omaggiato  di una pubblicazione, edita dalla Regione del Veneto nel 1990 ([1]), in due volumi, una pubblicazione ponderosa sia dal punto di vista del contenuto ma anche fisicamente.  In tutto sono circa 1400 pagine in carta patinata e contiene oltre 600 partiture e relativi testi (alcuni brani, poi,  sono in più edizioni) e si tratta principalmente di musiche scritte tra il 1740 e il 1750.

Questo genere musicale nasce nella prima metà del 18° secolo e lo troviamo documentato in scritti di Goldoni, Goethe, Hasse e Rousseau. Le musiche poi interessarono anche musicisti quali Tartini e Beethoven.

Questa raccolta di copie anastatiche di spartiti manoscritti furono trovati dai due curatori (vedi nota n.1) in gran parte presso la Biblioteca del Museo Correr, ma anche presso la Fondazione Levi, la Biblioteca Querini-Stampalia e la Biblioteca Marciana.  Nella loro ricerca scoprirono che alcuni erano stati trasferiti presso la Biblioteca del Conservatorio ma sembra che lì non siano mai arrivati e, quindi, forse "smarriti". I due curatori  ritengono perciò che molti altri spartiti siano sparsi in raccolte private e pubbliche un po' in tutta Europa.

 

Di questi canti iniziai ad estrapolarne alcuni in base al contenuto testuale, soprattutto fra quelli che mi sembravano più di origine "popolare".

Ma sono veramente popolari?

Sappiamo che tutti canti ritenuti popolari hanno pur sempre avuto un autore o, forse, anche due, uno per il testo e uno per la musica.

Gli spartiti in questione non hanno indicazione di alcun autore. Solo verso la fine del secolo iniziarono a venir citati gli autori.

In quegli anni Venezia era oltremodo godereccia, e questo un po' in tutte le sue componenti sociali, avvicinandosi però verso la sua decadenza e la sua fine.

 

Carlo Goldoni, nelle sue "Memorie", scrive:

"...Un giorno, verso le nove di sera, una sonora sinfonia si fece sentire nel canale. Tutti si alzano e si preparano a goderne: terminata l'introduzione, si udì la voce affascinante di Agnese, che era la cantatrice in voga per le serenate, e che con la bellezza del suo organo e la chiarezza dell'espressione fece gustare la musica ed applaudire i versi. Quella canzone fece fortuna a Venezia, la si cantava dappertutto...."  La cantante citata era Agnese Amurat.

 

Ma chi erano gli autori di queste canzoni, sia dei testi che delle musiche che si sentivano per i campi e, soprattutto, per i canali veneziani, musiche che sollazzavano i cittadini ma anche i turisti europei, quelli che allora facevano il cosiddetto "Gran Tour" in Italia?

Senz'altro erano musicisti e poeti, allora conosciuti, ai quali venivano commissionate soprattutto serenate amorose, e questo sia da privati, ma anche dai complessi che suonavano. Però questi autori, che ovviamente venivano pagati, ritenevano cosa ridicola dichiararsi autori di canzonette popolari. Oggi si direbbe "sono solo canzonette" e, comunque, vale sempre il "pecunia non olet"!

 

Nascono, come già scritto, nella prima metà del '700 e le prime risentono della musica operistica del secolo precedente, opere che mostravano l'influenza dell'Arcadia, un'ambientazione, quindi, bucolica e mitologica.

Allora nei primi testi si trovavano innamorati che dichiarano il proprio amore a fanciulle dai nomi di Filli, Nice, Tirsi e Clori, nomi che nei testi successivi, invece,  si modificano in Nina, Nineta, Anzoleta e Catina e anche i nomi maschili sono Tonin, Zanetto  e Perin.

I testi sono in un veneziano che, forse per essere più comprensivi anche ai "foresti", tende a "toscanizzarsi", anche se troviamo parole e modi di dire lontani dall'odierna parlata veneziana.

Vi sono anche alcuni testi  che dimostrano come allora, nella nostra città ci fossero cittadini residenti di nazionalità diverse e, allora, troviamo testi in un veneziano contenenti anche lemmi tedeschi, armeni o turchi!

Si trovano anche 12 testi in puro francese e questo dimostra come il genere interessasse un pubblico più vasto di quello locale.   

Qualcuno ipotizza che, forse, ci abbia messo le mani Jean-Jacques Rousseau, che era anche musicista, e che fu a Venezia dal settembre del 1743 all'agosto dell'anno dopo in qualità di segretario dell'ambasciatore francese presso la Serenissima.

Ma che questo genere interessasse gli stranieri lo testimonia anche l'edizione di "Venetian ballads" del musicista tedesco Johann Adolf Hasse edita a Londra da John Walsh tra il 1746 e il 1750.

Questa edizione, che sembra opera del musicista tedesco, riporta tuttavia musiche molto spesso già presenti in manoscritti precedenti e sembra che la maggior parte del lavoro sia stato fatto da un musicista italiano, tale Adamo Scola. Ma allora non esisteva il diritto d'autore anche se a Venezia qualcosa del genere c'era già da tempo ma non per la musica. Inoltre in questa "Venetian ballads" si trovano molti errori soprattutto nei testi.

 

Una delle interpreti che ultimamente hanno recuperato ed interpretato questi canti da battello è Rachele Colombo che, nel 2017 ha prodotto un doppio CD intitolato “Cantar Venezia – Canzoni da battello” con ben 40 canti e un libretto con i testi e con gli spartiti adattati per chitarra.

IL CD è reperibile agli indirizzi di cui alla nota  ([2])

 

Un po' alla volta ho copiato alcuni di questi spartiti manoscritti e ho prodotto cinque opuscoli (vedi foto a fine articolo) e, nel fare questo lavoro, a volte mi sono trovato in difficoltà nel leggere gli spartiti per la grafia e per macchie presenti, soprattutto ai margini dove vengono indicati i simboli delle chiavi e degli accidenti in chiave; ma con pazienza e con l'aiuto di alcuni amici ([3]) che hanno controllato le mie copiature penso che quanto pubblicato sia oltremodo corretto. (Tutti gli opuscoli si trovano ai links indicati nella nota n.2 e, oltre alle partiture si può ascoltare la musica digitale creata con la digitazione delle note)

 

Un opuscolo, per esempio, è dedicato ai canti in lingua francese e uno a quelli composti solo per tenore.  E qui mi sono trovato a pensare perché solo questi undici canti scritti per voce maschile? 

Quasi tutti i canti da battello vedono come protagonista l'innamorato che esprime il suo sentimento e le sue attenzioni in musica, a volte un po' esuberanti, alla sua donna. Eccetto questi pochi canti in chiave di tenore, tutti gli altri sono in chiave di violino e i curatori di questa edizione del 1990 indicano per ogni brano la voce esecutrice e lo strumento, attribuendo il canto al soprano; per lo strumento, dove c'è, questo è sempre il basso continuo.

Si sa, però, che i complessi che accompagnavano la cantante erano composti anche da più strumenti e, quindi, c'era già un'orchestrazione diversa dall'originale ma non vi sono nella raccolta spartiti con orchestrazione e, quindi, molto probabilmente i componenti i complessi musicali improvvisavano.  

Inoltre, e si sa dagli scritti di personaggi illustri già nominati, erano donne le esecutrici e di alcune vengono ricordati anche i nomi.

Perché cantanti donne? 

Non ho trovato alcuna indicazione che chiarisca questo e, allora, mi sono fatto un'idea della quale, però, non ho trovato nulla che la supporti. 

Sappiamo che a Venezia c'erano numerosi "orfanatrofi" o "ospedali" nei quali veniva insegnata, soprattutto alle femmine, la musica.

Ai maschietti veniva insegnato un mestiere.

Alcune di queste fanciulle, una volta che uscivano da queste istituzioni, avendo avuta una buona educazione musicale, probabilmente continuavano a suonare e a cantare. Non vedo altri motivi, ma, ripeto, questa è solo una mia opinione.

Il primo opuscolo esce nel 2017 (vedi foto n.1° a fine articolo)

 

All’inizio accennavo ai cittadini presenti a Venezia ma di altre nazionalità e anche alcuni canti, probabilmente commissionati da questi, risentono delle parlate diverse con adattamenti al veneziano e all’italiano.

Riportiamo il testo di  “D’Armenia vegnira”  dove sentiamo un mercante armeno che tratta la più svariata mercanzia e il canto ne è un elenco (leggiamo gioie, tela indiana, porcellane cinesi, topazi, perle, ecc.) , ma nel ritornello vediamo una proposta d’amore alla “bella putta veneziana” alla quale il mercante promette tutto in cambio dell’amore.

Gran parte sono canti d’amore, amore appassionato anche duraturo, ma spesso solo richieste di un momento d’amore.

 

Il secondo opuscolo (vedi foto n. 2 a fine articolo) raggruppa dodici "canzonette" francesi alla moda dei canti da battello veneziani. Come accennato più sopra era forte l’interesse dei cittadini stranieri, di passaggio a Venezia durante il loro “Grand Tour”,  a questo tipo di canti che sentivano nelle serate in gondola lungo il Canal Grande.

Forse qualcuno di questi canti è opera di Jean Jacques Rousseau.

 

Ed eccoci al terzo ( vedi foto n. 3 a fine articolo) “Arie da batèlo de l’ano 1742, per tenore” con undici partiture per tenore composte tutte nel 1742. Queste sono le uniche per voce maschile, anche se tutti gli altri testi sono pur sempre dichiarazioni d’amore dell’uomo verso la sua amata, ma sono cantati da donne, come abbiamo accennato all’inizio.

Il quarto opuscolo (vedi foto n. 4 a fine articolo) contiene partiture composte negli anni '30 e '40 e, quindi, sono le prime di questo genere.

 

A margine vediamo il testo di un canto da battello dove il protagonista è un arrotino, il “molador” .

“Or vien dalla Lorena” è il titolo. Perché dalla Lorena? Perché questa è una regione francese dove non mancano le miniere di ferro e gli arrotini sono appunto coloro che lavorano il ferro, le lame che arrotano.

Ma al di là di questa nozione di geografia economica desideravo portare la vostra attenzione sulla somiglianza dei concetti con un altro testo di un canto trentino.

Nella seconda strofa si legge “…e zin e zon e zan, l’è un’arte che consola, l’è un bon mestier in man”.

Nel canto trentino (vedi a margine) dal titolo “Gerolemin” (vedi nella stessa immagine) leggiamo come ritornello di tutte le strofe le stesse parole.

Ma anche la musica è molto simile.

Questo è appunto un esempio di come, una volta, i canti passavano da una zona all’altra, magari ci mettevano decenni se non di più.

Infine il quinto opuscolo (vedi foto n.5 a fine articolo) raccoglie brani con una determinata caratteristica e l'ho intitolato "Canti da battello veneziani velatamente allusivi e licenziosi" (su alcuni si può togliere l'avverbio "velatamente").

Riportiamo il testo di uno di questi canti,  “Un’anguileta fresca” che colloco fra questo genere ma, non è l’unica, come, ad esempio in un’altra, “Xe nate zemèle” si allude alle tette.

 

Avendo riscontrato testi nei quali si trovano locuzioni diverse per indicare gli stessi lemmi, ma anche l'uso delle doppie che in veneziano sono rare, ho chiesto l'aiuto dell'amico Paolo Pietrobon, fra l'altro studioso della parlata veneziana, che ha provveduto a uniformare i testi.

Faccio solo un esempio: si trova scritto "xe" senza accento, con accento acuto o con accento grave, oppure si trova "L'è" e cose simili oltre alle doppie.

Con questo pensiamo di non aver stravolto i testi ma lascio il giudizio, se abbiamo fatto bene o no,  a chi avrà la pazienza di consultarli.

 

 

 

 

 

 

[1] “Canzoni da battello veneziane – 1740-1750” curata da Sergio Barcellona e Giuliano Titton – Ediz.

 

[2] Il cd fisico “Cantar Venezia” di Rachele Colombo  si può acquistare nel sito di NOTA editore al link https://www.nota.it/prodotto/cantar-venezia-canzoni-da-battello/

oppure  scrivendo a questa mail: [email protected]  e  IN TUTTI GLI STORE ONLINE (Amazon, Mondadori, ebay, etc.) si può acquistare sia CDBook fisico sia brani singoli in MP3

Per visualizzare e/o stampare la musica degli opuscoli contenenti spartiti di Canti da Battello veneziani andare al link http://www.piovesan.net/MusicaCorale/MusicaCorale.htm  e 

https://www.coromarmolada.it/EdizioniDiverse/EdizioniDiverse.htm 

[3] Claudio Favret, Enrico Pagnin, Roberto Foffano e Rolando Basso.