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MARMOLÉDA - Periodico dell'Associazione Culturale Coro Marmolada di Venezia

Febbraio 2022 - Anno 24 - N.1 (88)

 

Canzoni che hanno segnato la storia d’Italia

di Rolando Basso

 

Una quindicina di anni fa, in preparazione dei festeggiamenti per il sessantesimo di attività del Coro Marmolada, mi assunsi l’incarico di far ristampare il libretto dei canti del coro.

Oltre ai brani che avevano fatto e facevano parte del repertorio del coro, volli inserire una sezione per raccogliere brani che, in base alle mie conoscenze, avevano segnato la storia del nostro paese.

Ovviamente inserii il Canto degli Italiani, più conosciuto come Fratelli d’Italia, che ha accompagnato i fatti più salienti del risorgimento, con la nascita della Repubblica è stato scelto, il 12 ottobre 1946, come inno provvisorio, e, solamente con legge nº 181 del 4 dicembre 2017, ha lo status di inno nazionale.

Poi inserii La leggenda del Piave, canzone patriottica, scritta di getto da E.A. Mario (pseudonimo di Ermete Giovanni Gaeta) subito dopo la battaglia del Solstizio e pubblicata nel settembre 1918. Dopo l’8 settembre 1943 il governo italiano l'adottò provvisoriamente come inno nazionale, poiché si pensò fosse giusto sostituire la Marcia Reale con un canto che ricordasse la vittoria dell'Italia nel primo conflitto mondiale. La monarchia italiana era infatti stata messa in discussione per aver consentito l'instaurarsi della dittatura fascista.

La leggenda del Piave ebbe la funzione di inno nazionale italiano fino al 1944, quando fu reintrodotta la Marcia Reale dopo il ritorno di re e governo nella Capitale liberata e tornò ad essere inno nazionale a seguito del referendum che portò alla Repubblica Italiana fino a che, il al 12 ottobre 1946, il neo governo repubblicano adottò La Canzone degli Italiani come inno provvisorio.

Da allora, ai giorni nostri viene eseguita solitamente da bande e fanfare in occasione della posa delle corone ai monumenti ai caduti immediatamente dopo all'inno nazionale.

Inserii anche l’Inno alla gioia che dal 1985 è divenuto l'inno dell'Unione europea.

Ho aggiunto Va pensiero, coro inserito nella parte terza dell’opera di Giuseppe Verdi, Nabucodonosor (ora Nabucco). Il coro è stato interpretato come una metafora della condizione dell'Italia, assoggettata all'epoca al dominio austriaco; la censura di Vienna avrebbe certamente impedito la circolazione del brano, e da ciò scaturisce la scrittura allegorica.

Dal 9 marzo del 1842 divenne uno degli inni dei moti risorgimentali, causando a Verdi qualche problema con la censura austriaca. Al funerale di Giuseppe Verdi, per le vie di Milano, la gente intonò il «Va, pensiero» in cori spontanei.

È stato adottato (talora modificandone il testo) dagli esuli istriani, fiumani e dalmati come inno del loro esodo dalle terre perdute dopo il secondo conflitto mondiale

È stato proposto anche come inno nazionale italiano, con alcune modifiche testuali, o col testo originale, ritenuto però poco adatto perché è il canto di un popolo diverso dall'italiano (gli antichi ebrei) e per di più sconfitti.

Aggiunsi ‘O surdato ‘nnamurato e Lili Marleen. Sebbene appartenenti a due diversi periodi, la prima guerra mondiale il primo e la seconda il secondo, hanno avuto una genesi ed un destino similare. ‘O surdato ‘nnamurato ebbe larghissima diffusione nel corso della prima guerra mondiale; Lili Marlene ebbe lo stesso destino nel corso della seconda guerra mondiale.

Siamo nel 1915, per l’Italia l’inizio della tragica guerra di trincea, a cui prese parte un milione e mezzo di uomini in Italia. Si trattava di giovani poco più che ventenni, strappati alle proprie terre, alle proprie famiglie, ai grandi amori. Tra le dure condizioni climatiche ed umane che la guerra impose, si fecero strada sconforto, malinconia, amarezza. E qui, nel cupo clima, tra morti, feriti, prigionieri e dispersi, nasce spontaneamente la madre delle canzoni d’amore e tacitamente antibelliche, ‘O surdato ‘nnammurato, ispirata ai tristi sentimenti di un soldato costretto al fronte, esposti in una lettera scritta alla sua amata.

L’autore del testo, Aniello Califano, era un rampollo di agiata famiglia di Sorrento, sensibile al divertimento, alle belle donne e alla poesia. Lasciata Sorrento, si dirige a Napoli, dove comincia a scrivere versi per canzoni e poesie da dedicare alle sciantose. Allo scoppio della guerra si trova in città, dove imperversa la propaganda bellica e gli spettacoli nei café chantant sono colmi di retorica patriottica, tra lustrini, divise, bandiere tricolori e ballerine con cappelli da bersagliere. Di morti e dispersi non si parla, eppure sono migliaia i telegrammi giunti alle famiglie ad annunciare le drammatiche perdite.

E Califano, nonostante fosse socialmente e politicamente disimpegnato, pur amante delle feste e delle donne, era anche un poeta per niente insensibile a quanto accadeva intorno. Così, captando le notizie “non filtrate” di quanto in realtà accadeva al fronte, scrisse d’impulso in una sera i meravigliosi versi che ancor oggi fanno sognare ed emozionare.

Il testo giunse all’editore Gennarelli (successivamente convergente nella famosa casa editrice Bideri), il quale, commuovendosi nella lettura dei versi, intese musicarli trasformandoli in una canzone. Fu scelto Enrico Cannio, che compose una sorta di marcia insistente e malinconica insieme.

‘O surdato ‘nnamurato venne inizialmente osteggiato dall’ottusità degli alti comandi, che preferivano inni marziali e marce militaresche, e dalla propaganda militarista, perché ritenuta per quel periodo una “canzone disfattista” e antibellica. Tant’è che a quel tempo costituiva pericolo per chi soltanto la intonasse. La verità è che i vertici dello stato maggiore ne intuirono la forza e la misero al bando. Furono addirittura centinaia i soldati sorpresi a cantarla sul fronte, finendo poi di fronte alla corte marziale.

Dopo qualche mese, nel 1916, i vertici dovettero arrendersi alla bellezza e all’universalità che la canzone trasmetteva, canticchiata tra le truppe. Dopo censure e condanne, ‘O surdato ‘nnammurato vive ancor oggi come messaggio universale e di speranza nei momenti di sconforto, ricordando che è possibile sempre incanalare il dolore e la sofferenza in ciò che si ama e si sente.

Oggi è ritenuta una tra le canzoni più romantiche del vasto patrimonio della canzone napoletana di tradizione, oltre ad essere cantata a squarciagola dalla tifoseria calcistica partenopea.

Circa vent’anni più tardi inizia l’analoga storia di Lili Marleen, a volte citata come Lili Marlène.

Il testo originale proviene da un poemetto scritto da uno scrittore e poeta tedesco di Amburgo, Hans Leip, in procinto di partire per il fronte russo nel 1915 e intitolato La canzone di una giovane sentinella. Il poemetto era parte di un volume di poesie intitolato Die Harfenorgel. Il nome Lili Marleen fu coniato unendo quello della sua ragazza con quello di una giovane infermiera, Marleen, che sembra invece fosse la ragazza di un commilitone.

La storia di Lili Marleen attirò l'attenzione del musicista Norbert Schultze, autore di marce e di canzoni militaresche e coinvolto con il nazismo, che la musicò nel 1937.

La prima registrazione fu quella cantata da Lale Andersen per l'editrice Apollo-Verlag (1938) con il titolo originale Das Mädchen unter der Laterne (La ragazza sotto il lampione). La canzone, per il carattere decisamente antibellico del testo, venne osteggiata dal regime nazista perché considerata disfattista e antimilitarista tanto che il ministro della propaganda Joseph Goebbels fece distruggere l'incisione originale.

La prima pubblicazione con il titolo Lili Marleen (a cui venne aggiunto il sottotitolo Lied eines jungen Wachtpostens, in tedesco Canzone di una giovane sentinella) risale al 2 agosto 1939 per l’Electrola Studio di Berlino; disco, che in origine vendette pochissime copie.

Lili Marleen, cominciò ad avere una certa popolarità solo in seguito alla trasmissione da parte di una radio militare tedesca che, nel 1941, la diffuse tra gli Africa Korps del Felmaresciallo Erwin Rommel.

A seguito dell’occupazione nazista della Jugoslavia la registrazione venne ripescata dai sotterranei di Radio Berlino e inviata, con altro materiale considerato vecchio, a Radio Belgrado che, divenuta emittente militare tedesca, la trasmise per intrattenere l'esercito tedesco.

La canzone ebbe comunque una vita difficile: venne infatti osteggiata dal ministro della propaganda Joseph Goebbels che ne proibì la diffusione, ma le lettere di protesta dei soldati, tra cui anche il feldmaresciallo Rommel, fecero riprendere la trasmissione, addirittura tutte le sere alle 21:55, a chiusura dei programmi.

1942, su versi composti da Nino Rastelli, fu incisa dalla cantante Lina Termini, una versione in italiano anch'essa divenuta immediatamente molto popolare in Italia.

La più famosa interprete fuori dalla Germania fu sicuramente l'attrice e cantante tedesca Marlene Dietrich, che dal 1930 risiedeva negli Stati Uniti. Dal 1944 cantò la canzone per le truppe alleate.

Da allora Lili Marlene, tradotta in innumerevoli lingue, ebbe un enorme successo tra i soldati degli eserciti di entrambi i fronti, sensibili alla storia del soldato che pensa al suo amore lontano tanto da diventare la canzone di tutti i soldati al fronte, tedeschi o alleati.

Della canzone esiste anche una parodia antihitleriana, trasmessa ripetutamente dalla BBC negli anni della guerra.

Infine scelsi di completare la lista dei canti che hanno segnato la storia del nostro paese Bella ciao il canto partigiano per antonomasia.

Con mia grande sorpresa scoprii che Bella ciao solamente dal 1965 è l’inno ufficiale dell’intero movimento partigiano italiano.

Infatti la scelta di identificare Bella ciao come un canto partigiano nacque dalla volontà di trovare un testo che avesse valori universali di libertà e opposizione alle dittature e alla guerra, senza riferimenti politici o religiosi. Sarebbe stato difficile, altrimenti, unire le varie anime antifasciste che avevano lottato contro il nazifascismo, così diverse tra loro negli ideali eppure unite nella lotta comune contro l'invasor.

L'operazione ha avuto successo, se si pensa che oggi Bella ciao è uno dei testi più conosciuti, tradotti e cantati a livello mondiale. Qualcuno forse la ricorderà addirittura per essere entrata nella serie Netflix La casa di carta, qualcun altro probabilmente conoscerà le tante cover che sono state fatte negli anni (Modena City Ramblers e Banda Bassotti, ma anche Ska-P e perfino Tom Waits, solo per fare alcuni esempi) e che la rendono una canzone universale, non necessariamente legata al mondo della Resistenza.

Di recente Bella ciao ha avuto anche un significato storico-sociale a livello internazionale, comparendo in diversi momenti della storia politica di paesi diversi dall'Italia:

Non mi addentro nei meandri delle origini del canto. La storia di Bella ciao è stata indagata da molti storici e storiche, che hanno cercato di ricostruirne le origini e di ripercorrerne le trasformazioni. Sono stati versati fiumi di inchiostro senza, a mio parere, riuscire a trovare alcunché possa stabilirle con certezza. Infatti tutt’ora l’origine della canzone è ancora dibattuta.

Qualche anno dopo, approssimandosi la ricorrenza del centenario della prima guerra mondiale cercai di approfondire il tema dei canti e canzoni che, nel bene e nel male, hanno accompagnato e tutt’ora accompagnano la storia e la cronaca italiana.

Navigando fra i vari siti internet mi imbattei in Giovinezza, una canzone che consideravo di origine fascista, ed ebbi la grande sorpresa nello scoprire che invece fu una delle canzoni più diffuse della prima metà del XX secolo in Italia ed ebbe vasta eco anche all'estero.

Ma andiamo con ordine.

Nacque nel 1909 con il titolo Il Commiato, come canto goliardico di addio agli studi degli universitari di Torino. Autore del testo fu Nino Oxilia, che morirà il 18 novembre 1917, colpito da una scheggia di granata sul Monte Tomba, mentre a scrivere la musica fu Giuseppe Blanc, laureando in giurisprudenza e, allora, allievo del Liceo musicale.

Nel 1911 venne inserita nell'operetta Addio Giovinezza, il cui libretto era di Sandro Camasio e di Oxilia. Le parole gioiose e malinconiche dell'Oxilia celebravano la fine della spensierata età degli studi, ma anche le sue gioie, gli amori, il vigore e la spavalderia dell'aver vent'anni.

Narra Cesare Caravaglios che l'anno seguente, 1910, il Blanc, ormai sottotenente di complemento del Genio, partecipò ad un corso sciatori a Bardonecchia: una sera eseguì Il Commiato di fronte ad alpini ed ufficiali: secondo Asverso Gravelli costoro si entusiasmarono a tal punto a quelle note, che elessero il pezzo ad Inno degli skiatori. Tornando poi ai rispettivi reparti lo diffusero, tanto che le fanfare dei battaglioni Morbegno e Vestone del 5° Reggimento Alpini l'accolsero in repertorio, eseguendolo in occasione delle gare internazionali di sci a Cauterets e Lionan, in Francia.

Il Corpo degli Alpini, col titolo di Fiamme verdi su testo di Fernando Verna (alpino del Btg Vestone), lo innalzò quindi a proprio inno ufficiale (1911): il tenente Esposito, Medaglia d'oro al Valor Militare, lo faceva cantare ai suoi allievi ufficiali e il 3° Reggimento Alpini lo fece suonare come Inno degli Alpini durante la campagna di Libia.

In questa forma, durante la Grande Guerra, acquisisce una notevole popolarità, probabilmente fu la canzone maggiormente cantata nelle trincee della prima guerra mondiale, e alcuni versi vengono modificati in chiave bellica.

Passato dunque tra i militari, il canto goliardico finì per traverse vie a noi sconosciute nel canzoniere degli Arditi: Salvator Gotta e Cesare Caravaglios raccontano che, durante la Grande Guerra, Giuseppe Blanc, tenente degli sciatori, passando nei pressi di una baracca presso le linee italiane di Rovereto, sentì suonare al flauto le note della sua canzone: spinto dalla curiosità vi entrò e, chiesta ai soldati spiegazione, gli fu mostrato un foglio con le parole e la musica di un Inno degli arditi. Mario Palieri, nel suo volume Gli arditi, racconta che la prima compagnia del II Battaglione d'Assalto, partito da Sdricca per l'Altopiano della Bainsizza, l'avrebbe cantato per la prima volta, il 28 settembre 1917. L'inno fu cantato dai reparti d'assalto impegnati, dopo Caporetto, sulla linea del Piave.

Finito il conflitto nel biennio 1919-21, la musica di Blanc divenne via, via inno dei Legionari nella spedizione fiumana, su testo di Manni inno degli squadristi, con testi diversi inno di vari gruppi e associazioni legate al nascente Partito fascista ed anche gli Arditi del popolo, i primi antifascisti armati della storia, finirono per farsi su misura la propria Giovinezza. Infine nel 1925, su testo di Gotta inno trionfale del PNF e accompagnò il destino di quella dittatura.

Ciò che mi interessa sottolineare è che ci sono canzoni che, pur nascendo per uno scopo diverso, hanno segnato un’epoca o hanno accompagnato, e, come nel caso di Bella ciao, ancora accompagnano nel bene e nel male, la storia di una nazione.